"L'uomo ama creare e aprirsi delle strade, su questo non c'è dubbio. Ma allora perché egli ama così appassionatamente anche la distruzione e il caos? " (Dostoevskij). È questo l'inquietante interrogativo al centro del confronto tra un filosofo e un teologo che dà vita ad una coinvolgente discussione attorno all'eterna questione del rapporto del soggetto con il male all'interno della quale ci si imbatte in quella gratuità della "ferocia dell'uomo nei confronti del suo simile [che] supera tutto ciò che possono fare gli animali" e di fronte alla quale "persino gli animali feroci recedono inorriditi" (Lacan).
Ancora una volta l'antico grido babelico si è alzato: "Unità! Unità! Venite, raduniamoci, riduciamo il mondo alla ragione, imponiamo la democrazia, garantiamo la sicurezza, incrementiamo i consumi, costruiamo la pace universale". Come allora, anche oggi questo appello risuona contemporaneamente in modo maestoso e tragico, come un magnifico invito e come una terribile minaccia. Passando da Beauchamp a Balthasar, da Kafka a Scholem, da Hegel ad Heidegger, da Lacan a Zumthor, da Lévinas a Derrida, il testo di Petrosino legge il breve racconto biblico relativo alla costruzione della Torre di Babele mostrandone la sorprendente ed inquietante attualità. Un'originale ricerca filosofica sul senso umano dell'abitare e sul delirio del potere.
"Nell'attraversare quella stanza, nell'aprire quella finestra, nel rigovernare quel letto e quella cucina, il soggetto viene investito da ricordi, sensazioni, sentimenti, e così, senza averlo propriamente deciso, si trova a rivivere e ripensare, a immaginare e a fantasticare, come se egli fosse accolto da un flusso di emozioni e parole che gli rivela come quella stanza e quella finestra, nel letto e quella cucina non sono mai stati dei semplici oggetti a sua disposizione o dei meri spazi da occupare, essendo piuttosto il proprio luogo, la "propria casa" senza proprietà".