Che senso ha il fatto che siamo un essere con un corpo? Che cosa ha da dire la nostra epoca sul corpo, sulle sue dinamiche? Che relazione ha il corpo con la vita dello "spirito", con la vita dopo la morte? Un tema "difficile" e controverso che provoca il lettore in cerca di risposte. Non una trattazione sistematica ma brevi pensieri, per liberarsi da ideologie preconcette, culti chiusi in se stessi, specificazioni ristrette. Silvano Petrosino accompagna la riflessione del Cardinale sul "dopo morte" e sulla visione cristiana dell'esperienza umana, arricchendola e inquadrandola storicamente. Due autori e generi letterari differenti, che dialogano sul futuro del corpo con lucidità e l'unico intento di aiutare a pensare. Con un'approfondita introduzione di padre Carlo Casalone, presidente della Fondazione Martini, collaboratore per la Sezione scientifica della Pontificia Accademia per la Vita e docente presso la Pontificia Università Gregoriana (Roma). «Vorrei sapere del corpo la parola non detta, che è iscritta in esso, che ne dice il significato e il destino. Perché, se non la comprendiamo, distruggiamo il corpo facendone un assoluto, un idolo, un vuoto a cui sacrificare la vita.»
«L'epidemia che ci ha colpito si è manifestata con la violenza dell'imprevedibile» eppure prevedere e decidere il proprio benessere è oggi tra le condizioni principali della nostra società. Uno dei filosofi attuali più lucidi riflette sul dramma del coronavirus a partire dalle parole che usiamo per spiegare questo evento e le sue conseguenze: perché il "futuro" è diverso dall'"avvenire", il "mondo" dal "reale", la "scienza" dagli "scienziati", l'"ottimismo" dalla "speranza", ma anche perché la modalità del "morire" ci ha atterrito più della "morte" in sé, fino a comprendere che l'autentica "libertà" non consiste nel fare ciò che si vuole. Come ci ha cambiato l'epidemia? Che cosa possiamo fare per non farci sopraffare? «dovremmo essere più seri nel vivere il tempo, che non è mai solo il "nostro tempo", il tempo delle nostre "urgenze private"», afferma l'autore indicando un atteggiamento per il "dopo" e citando La peste di Camus: «bisogna restare, accettare lo scandalo, cominciare a camminare nelle tenebre e tentare di fare il bene».
"Nell'attraversare quella stanza, nell'aprire quella finestra, nel rigovernare quel letto e quella cucina, il soggetto viene investito da ricordi, sensazioni, sentimenti, e così, senza averlo propriamente deciso, si trova a rivivere e ripensare, a immaginare e a fantasticare, come se egli fosse accolto da un flusso di emozioni e parole che gli rivela come quella stanza e quella finestra, nel letto e quella cucina non sono mai stati dei semplici oggetti a sua disposizione o dei meri spazi da occupare, essendo piuttosto il proprio luogo, la "propria casa" senza proprietà".
Uno dei maggiori filosofi italiani riflette sul desiderio, tema molto in voga nella recente saggistica italiana. Questo fondamentale tratto antropologico viene letto paradossalmente nella sua valenza positiva, come segno di una mancanza radicale dell'essere umano. È lo spazio dove si manifesta l'alterità a cui è costitutivamente aperto l'uomo, la cui identità dipende dall'altro da sé (come nel bisogno del cibo, ma anche e soprattutto nella relazione). Questa mancanza non può mai essere saturata, come vorrebbe l'inganno della società dei consumi, che infatti si ingegna a contornare le merci di un'aura di desiderabilità estetica sempre nuova. Questa mancanza è piuttosto la radice di un'identità sempre aperta e in movimento, dove l'altro non rappresenta una minaccia, ma la sorprendente possibilità della libertà di realizzare se stessa attraverso l'esperienza. Il saggio termina con un'efficace è inusuale riflessione sul rapporto tra desiderio umano e Dio. Dio non è il compimento del desiderio, a modo di un tappabuchi: sarebbe come una proiezione dell'uomo. Dio è invece la fonte del desiderio, che dilata lo spirito umano nell'incessante è felice rapporto con l'oltre della realtà.
«La donna nel giardino rende familiari molti aspetti della condizione umana descrivendoli e affidando ad alcune parole-chiave il compito di comunicare ogni loro sfumatura. Solitudine, desiderio, mancanza, limite, smarrimento, legame, relazione acquistano uno spessore diverso. Esprimono tutta l'umanità dell'umano» - Giovanni Santambrogio, Il Domenicale del Sole 24Ore
Nel racconto della Genesi il serpente mette in campo una precisa strategia e usa astutamente il linguaggio per condurre Eva sul proprio terreno. Ed Eva risponde. Avrebbe potuto farlo in un altro modo? E cosa avrebbe potuto dire? Quando si decide, quando si è soli nel decidere, non bisognerebbe mai perdere di vista quei legami che ci costituiscono proprio in quanto soggetti capaci di decidere. Il serpente non solo separa l'albero della Conoscenza da quello della Vita, ma separa anche (per opporli) Eva da Dio ed Eva da Adamo. La donna è dunque sola di fronte alla proposta di diventare come Dio. La scena non potrebbe essere più drammatica.
Crisi è una parola a cui, in questi anni, abbiamo fatto l’abitudine. Una parola usata sempre in accezione negativa ma che, letta nella sua accezione di crinale, può trasformarsi in opportunità. Il senso di incertezza diffusa rende più radicali le domande di chi si affaccia alla vita adulta e, in una società frammentata, dove i saperi diventano sempre più tecnici e specializzati, le nuove generazioni faticano nella ricerca di senso, incapaci – per colpe non loro – di vedere il tutto in una prospettiva ampia e completa. Il rischio è di avere approcci ingenui ed estremi a domande complesse e di considerarsi in balia di un destino già scritto, di essere sopraffatti da un’effimera idea di eccellenza e gettarsi in una competizione violenta e sregolata. Petrosino e Massironi disegnano invece una strada di libertà personale e legami che si nutrono a vicenda, perché la realizzazione di ogni persona passa dalla vita delle comunità, dallo scambio tra pari età e tra generazioni.
La questione ecologica, la condizione animale, i nuovi contributi delle neuroscienze e la crisi economica più rilevante degli ultimi decenni richiedono di ridefinire lo statuto dell'uomo. In che cosa l'unico vivente che possa porsi in senso filosofico, etico e politico il problema dell'ambiente in cui vive, si distingue dall'animale? Come si riconosce il nocciolo della vita umana? E quali sono i limiti dell'economia capitalistica? La ripetuta insistenza sul supposto primato dei fatti rispetto alle parole, quindi ai pensieri, ha l'effetto di favorire la crescita dell'astratto e la tentazione di «coltivare e custodire» non il mondo ma più prosaicamente il proprio piccolo orto, nutrendo, a volte inconsapevolmente, una sorta di «sospetto» nei confronti di ogni riflessione. In un dialogo che coinvolge Lévinas e Derrida, Heidegger e Lacan, Blanchot e Péguy, Marx e Papa Francesco, due filosofi si confrontano su alcuni grandi temi contemporanei: dalla logica del capitalismo, che non sopporta la mancanza e rifiuta la perdita, alla sacralizzazione del mercato. Per ricordare che l'abitare dell'uomo non si risolve mai nel conquistare, nel sottomettere e nell'appropriarsi, me nel coltivare e nel custodire.
Questo libro, della collaudata collana «Cattedra del Confronto», affronta tre delle emozioni che più sembrano caratterizzare il nostro tempo. La paura - sociale, religiosa, etnica, affettiva - la rabbia - quotidiana, politica, televisiva, lavorativa - e lo stupore - che troppo spesso è sconcerto o semplice fascinazione. Attorno a queste tre, e ai legami che creano e distruggono, si confrontano gli autori di questo libro. Sono prospettive e voci differenti: lo psicanalista Luigi Zoja si confronta con la biblista Rosanna Virgili sulla paura, madre di tante emozioni e azioni; lo scrittore Paolo Nori ci provoca sulla rabbia, faccia a faccia con lo psicologo-teologo Stefano Federici che ci ricorda che l'ira è perfino divina; il filosofo Silvano Petrosino s'interroga sullo stupore e sulla bellezza incrociando la storica dell'arte e direttrice di Religion Today Katia Malatesta. «Le nostre relazioni con gli altri sono segnate dalle emozioni. L'incontro con l'altro non è mai semplicemente neutro. Gli altri si odiano o si amano, ci odiano o ci amano, ma la gamma delle emozioni è sterminata: gli altri possono essere noiosi, affascinanti, imbarazzanti, spaventosi, accoglienti, fastidiosi o rabbiosi, esasperanti o esasperati, inermi, divertenti, ingombranti, leziosi» (dall'introduzione di Andrea Decarli)
Emmanuel Lévinas è un ebreo lituano che diventa allievo di Martin Heidegger nella Germania dell'ascesa hitleriana, si trasferisce in Francia e porta con sé il lessico drammatico dell'esistenzialismo tedesco. Si riavvicina gradualmente alle sue radici, ripercorre la ricchissima tradizione della teologia ebraica fino ad arrischiare una toccante, radicale, personalissima rivisitazione della tradizione ebreo-orientale dei lettori e commentatori della Torah. Si trova a lavorare al confine tra due mondi e tra due linguaggi. Tra due sapienze, come le definisce Silvano Petrosino. Da un lato c'è l'invenzione greca della filosofia, della scienza dell'essere, del sapere come ricerca della verità, della tecnica e dell'economia come estrema realizzazione di quella ricerca e di quella vocazione antica. Dall'altro c'è l'invenzione ebraica del monoteismo, la fede inaudita di un popolo in un Dio che promette, che giudica, che consegna all'uomo una parola decisiva ed enigmatica. L'Europa di oggi, con le sue contraddizioni e le sue ricchezze, con le sue aperture irrinunciabili e le sue chiusure catastrofiche, è la terra dilaniata in cui greci ed ebrei continuano questo loro millenario e sorprendente dialogo. Con un'ipotesi interpretativa che coglie il filo rosso dell'intera opera di Lévinas, Silvano Petrosino, uno dei massimi specialisti del suo pensiero a livello internazionale, ci accompagna con appassionata chiarezza nel laboratorio vertiginoso di questo grande classico contemporaneo.
"Non si riesce a comprendere nulla della natura del denaro e delle mirabolanti capovolte che l'uomo compie attorno ad esso se non si passa dal modo d'essere di un soggetto che desidera ciò di cui non ha bisogno e che manca di ciò rispetto a cui non ha mai un sapere chiaro e distinto". Attraverso la lettura di Kafka, Kojève, Simmel, Heidegger, Lacan, Lévinas, una folgorante analisi delle ragioni che portano il soggetto a trasformare un mero strumento in quel fantasma vorace di fronte al quale ogni identità evapora e ogni volto si sfigura. Uno strumento utile per comprendere e smascherare l'inganno per eccellenza del nostro tempo.