Le nuove dipendenze vengono esplorate come l'espressione più dolorosa e significativa della tendenza emersa nella cultura contemporanea di negare che la coscienza sia il centro della condizione umana. Per comprendere la relazione tra questa tendenza culturale e le dipendenze il libro propone un percorso conoscitivo che si sviluppa in tre tappe. Nella prima vi sono alcune incursioni corsare nella cosmologia, nella paleoantropologia, nel linguaggio omerico, nella storia e negli archetipi dell'inconscio collettivo. Nella seconda tappa, vengono descritti i motivi per cui l'emersione della coscienza nella vita umana è sempre esposta al rischio di una regressione, di cui le dipendenze sono un esempio incontrovertibile. È necessario ricordare che negli ultimi decenni alla dipendenza distruttiva dalle droghe si è aggiunta quella, altrettanto distruttiva, da alcuni comportamenti. Comportamenti che normalmente fanno parte della vita quotidiana delle persone poiché riguardano il gioco, il sesso, l'attività sportiva, il lavoro, gli acquisti, l'uso di internet, il cibo e gli affetti. Infine, nella terza tappa le nuove dipendenze sono descritte e analizzate da due punti di vista differenti ma complementari. Il primo evidenzia lo stretto legame di queste dipendenze con le trasformazioni socioculturali che segnano il tempo presente, mentre il secondo le analizza utilizzando il contributo della psicologia contemporanea, soprattutto della psicopatologia, di stampo prevalentemente cognitivo.
Muovendo dalla concezione dell'uomo come essere progettuale, culturale e simbolico, il volume affronta le profonde trasformazioni che la cultura sociale contemporanea ha prodotto nella definizione del fondamento umano. Tra gli altri, analizza gli effetti delle tecnologie post elettroniche che hanno reso anfibia la condizione dell'uomo contemporaneo, trovandosi egli ad abitare sia lo spazio-tempo sia lo spazio-velocità e, quindi, un mondo non più naturale perché divenuto un sistema tecnico. A rendere ulteriormente problematico il rapporto dell'uomo con la realtà vi è la crisi di una lingua che sembra aver smarrito se stessa, poiché le sue parole non offrono più il possesso e il disvelamento del mondo. Questa crisi della parola investe anche la possibilità della coscienza di governare, nel segno della libertà e dell'autonomia, la vita delle persone e di conseguenza anche la possibilità di assumere la responsabilità delle proprie azioni riconoscendo la propria colpa. Tuttavia, se queste trasformazioni culturali hanno creato un solco profondo nei confronti della concezione dell'umano premoderno, altre, al contrario, hanno costruito un ponte con la tradizione. L'obiettivo del libro è anche quello di aiutare il lettore a riconoscere, di là delle trasformazioni culturali, le strutture profonde fondanti l'umano.
Il libro affronta il problema della tossicodipendenza dal punto di vista della psicologia culturale che, come ricorda Bruner, si fonda sull'assunto che la mente non può esistere senza la cultura, in altre parole senza il sistema simbolico condiviso dai membri di una comunità culturale. In questa prospettiva il fenomeno della tossicodipendenza è letto e interpretato in relazione alle trasformazioni promosse nelle culture sociali dei paesi industrializzati dalla modernità e in particolare dalla desacralizzazione. La tesi sviluppata nel libro è che la tossicodipendenza come epidemia sociale sia il frutto della crisi del sacro prodotta dalla modernità. Su questo sfondo sono descritte le droghe utilizzate in questa fase storica, la loro farmacodinamica e farmacocinetica, le attese dei consumatori, i loro effetti sulla persona insieme alla rassegna delle principali teorie psicologiche e psicopatologiche che sono state elaborate per cercare di spiegare il consumo delle sostanze stupefacenti e psicotrope e individuare le vie della prevenzione e della cura. Tra queste ultime sono analizzate in modo particolare le vie comunitarie. Infine, è sviluppato un modello di prevenzione il cui nucleo è stato approvato dalla Conferenza Nazionale sulle Tossicodipendenze di Genova del 2000 e di cui l'autore del libro è stato l'estensore
Il libro, frutto di un lavoro di ricerca trentennale, offre una descrizione, organizzata in una introduzione ed in due parti successive, di un modello di Pedagogia Sociale che, pur ribadendo l'appartenenza alla tradizione pedagogica italiana, cerca di stabilire un rapporto fecondo con la tradizione tedesca in cui la pedagogia sociale è nata e si è affermata.
Il sottotitolo di questo libro vuole rendere giustizia alla parola "animazione" che nella lingua italiana in questi ultimi quattro decenni ha subito un indebito e arbitrario mutamento di significato. Essa, infatti, è stata ed è utilizzata per indicare un insieme di attività ludiche, di intrattenimento e, nel migliore dei casi, espressive condotte in modo dinamico, vivace e coinvolgente. Questo utilizzo della parola "animazione" è arbitrario perché fa riferimento al significato della parola francese "animation" e non a quello autentico della lingua italiana del "dare anima" e del "dare, conservare e svolgere la vita". Volta al mondo educativo la parola animazione può perciò essere utilizzata per indicare una pedagogia che mette al centro dell'agire educativo la celebrazione della vita autenticamente umana tessuta dalla libertà, dalla creatività, dalla gioia, dall'amore per gli altri, dalla speranza come senso fondamentale dell'essere e, infine, dalla considerazione dello scacco e del fallimento come elementi ineliminabili dell'umano, che possono però, se educativamente sostenuti, essere origine di vita e non, invece, di distruttiva disperazione. Il titolo invece vuole alludere alla necessità, da parte dell'educare, di promuovere il ritorno dell'anima dall'esilio in cui l'ha collocata la modernità.