Oscar ha solo dieci anni, ma la sua vita sta già per finire. La leucemia lo sta uccidendo. E lui lo sa. Lo sa ma non può parlarne con nessuno, perché i grandi per paura fanno finta di non saperlo. Nell’ospedale in cui Oscar passa le sue giornate solo l’anziana signora vestita di rosa, che va sempre a trovarlo, capisce la sua voglia di risposte. E gli suggerisce un gioco: fingere di vivere dieci anni in un giorno, e scrivere a Dio per raccontargli la sua vita. Oscar ci sta: così si immagina di vivere a vent’anni, a quaranta, a novanta. A centodieci, dieci giorni dopo l’inizio del gioco, si addormenta. Ha lasciato un biglietto sul comodino: "Solo Dio ha il diritto di svegliarmi".
È la metà del XII secolo. Giovane ebreo di Colonia, Giuda supera una profonda crisi spirituale convertendosi al cristianesimo e divenendo sacerdote. Con il nome di Ermanno l'ex-Ebreo scrive in latino il racconto della sua conversione, l'Opusculum de conversione sua, dopo le Confessioni di Sant'Agostino una delle prime autobiografie comparse in Occidente. Ma, si chiedono gli storici, si tratta di un racconto vero o fittizio? Fu solo propaganda confezionata dai chierici cristiani? L'autore di questo libro ribalta la questione: vero o fittizio, il racconto pur autobiografico è espressione corale di una comunità, limpido specchio della mentalità e della cultura del suo tempo.
Schmitt affronta in questo libro una delle figure più dense e carismatiche della grande tradizione spirituale buddhista: Milarepa, il grande mago, poeta e santo che colora di elementi di stregoneria sciamanica l'antica religione. Ma la vita tormentata dell'eremita nel Tibet dell'undicesimo secolo fornisce al poliedrico Schmitt lo spunto per un'originalissima rielaborazione narrativa in forma di enigma.
Fate benefiche, visioni di fantasmi dell'aldilà, raduni di streghe nelle notti di luna piena, riti magici, folletti dell'abbondanza e della miseria: figure dell'immaginario e dell'inconscio collettivo indagate nel momento in cui presero forma. Il racconto curioso e ricco di fascino di quella cultura alternativa del sacro, condannata come superstiziosa dalla Chiesa e tuttavia sempre riemergente.
Carl Schmitt e Hans Blumenberg erano due opposti speculari: il primo critico acuto e radicale della modernità, il secondo teorico della sua piena legittimità e autonomia. Ma entrambi interni alle correnti più innovative e originali della cultura contemporanea. Estraneo a ogni nostalgia tradizionalista il primo, alieno da ogni ingenua retorica progressista il secondo. Furono avversari scientifici, Hans Blumenberg e Carl Schmitt: le rispettive concezioni sul fondamento e la giustificazione delle pretese conoscitive dell'epoca moderna erano radicalmente differenti e la discussione a riguardo proseguì anche in una serie di lettere che si scambiarono tra il 1971 e il 1978. Tale corrispondenza e i testi ritrovati nel lascito di Blumenberg documentano una controversia assai significativa, da cui emergono scambi di tipo scientifico e biografico. Ma furono avversari "necessari" l'uno all'altro, come due interlocutori che sanno di trovare nel confronto con l'altro la propria vera "questione". La replica di Carl Schmitt ha influito in maniera decisiva sul rifacimento della "Legittimità dell'età moderna" di Blumenberg e ha lasciato tracce evidenti sino alla successiva "Elaborazione del mito". Per questo motivo la presente opera riporta brani da entrambi i volumi, oltre a tutto lo scambio epistolare, testi inediti provenienti da opere postume di Blumenberg ed estratti da altri saggi già pubblicati.