«Voglio che questa gioia diventi un tuo possesso: non ti verrà mai meno, una volta che ne avrai scoperto l'origine. »
Scritto a partire dal momento del ritiro di Seneca dalla politica nel 62 d.C., il lungo dialogo De beneficiis in sette libri è un trattato sul rapporto tra il dare e il ricevere e, contestualmente, sul ‘criterio’ che deve regolare il comportamento e le relazioni tra gli uomini organizzati in società. Seneca lo individua nella voluntas o animus dandi beneficia, ossia nella ‘volontà’ o ‘intenzione’ di beneficare i propri simili. In questo concetto del dare beneficia dove la ‘volontà’ sostanzia e dirige la conoscenza, il filosofo vede il motore di una società, quella imperiale, che egli ha voluto rifondare sul piano etico e politico quand’era precettore e poi ministro di Nerone, e di cui ora intende tramandare, quasi si trattasse di un suo personale beneficio alla posterità, i principi ispiratori.
La traduzione italiana e la cura sono di Martino Menghi su testo critico messo a punto da François Préchac per la “Coll. Budé” (Les Belles Lettres, Paris 2003).
Al commento delle Lettere 94 e 95 di Seneca, che qui presento, intende ]ungere da introduzione il mio volume Educazione alla sapientia in Seneca, Brescia ~978. Da ciò dipende che l'esame linguistico-lessicale occupi qui uno spazio maggiore rispetto al chiarimento dei concetti filosofici, che considero ormai presupposto; ed è anche questa la ragione per cui sono stata costretta a rinviare ad un'opera mia con più frequenza di quanto mi piacesse.
Ho abbondato in citazioni anche estese di passi paralleli, perché ho pensato di riuscire in tal modo a porre debitamente in luce una delle caratteristiche più spiccate della prosa senecana: la ripresa di concetti già espressi altrove; essa avviene ora in/orma assai breve e semplicemente allusiva, ora con variazioni più o meno/orti che servono a chiarirli o ampliarli, sempre, comunque, mediante il richiamo significativo di alcuni termini chiave, che segnalano al lettore il ritorno di un motivo caro all'autore. Per questa ragione ci è sembrato che, se l'antica norma: "Omeron ex Omèrou safenìzein' vale certo per ogni autore, essa offra applicazione di particolare utilità nel caso di Seneca.
Ho rimandato ai libri senecani di mio marito più di quanto desiderassimo lui ed io e ne chiedo scusa al Lettore, ma rientra nello spirito della collana in cui appare il commento - nonché nelle norme dei direttori di essa - che una cosa già detta non venga ripetuta e ci si limiti a un rimando (salvo naturalmente il caso di aggiunte o correzioni). Questo stesso spirito comporta, d'altro canto, l'impegno a commentare in modo quanto possibile esauriente quei termini o concetti che appaiono per la prima volta, così da offrire eguali possibilità di rimando ai futuri commentatori. Ciò valga a giustificare l'ampiezza di alcune note che vorrebbero tener conto di gran parte dell'opera senecana.
Dopo le edizioni autorevoli del Haase, del Hense, del Be#rami, del Préchac e del Reynolds, mi è sembrato di po.
terrei fidare, per la costituzione del testo, dell'ultimo di tali editori, il Reynolds; mi limito, quindi, a segnalare i pochi passi in cui me ne discosto.
Ha letto in bozze tutto il mio lavoro l'amico pro/. Alberto Grilli: le sue molte osservazioni e suggestioni mi hanno permesso di correggere e migliorare; la gratitudine che gli debbo - e che qui gli esprimo cordialmente - credo quindi possa essere condivisa anche dal Lettore. Di quanto sia debitrice a mio marito, ho già detto nella premessa alla mia Educazione alla sapíentía,, mi basta qui ribadire che anche nella preparazione di questo commento ho potuto godere del suo consiglio e del suo sostegno.
Parma, Università, giugno ~979.
Maria Scarpat Bellincioni
Il dialogo "De clementia" parla di ciò per cui ogni uomo politico dovrebbe lottare: la giustizia, il benessere comune, la dignità e il rispetto dell'uomo in quanto uomo, nel segno di una clementia che pone il diritto al di sopra di ogni sopruso e di ogni inclinazione a nocere. Si tratta di un'opera di filosofia politica in cui Seneca teorizza e celebra il 'potere illuminato' e, per tale ragione, ebbe grande successo ed esercitò un notevole influsso anche sul pensiero politico dell'età moderna.
Da sempre gli esseri umani aspirano alla felicità, ma molti non sanno dove risieda. Spesso si lasciano sedurre dai piaceri dei sensi, che ingannano con le loro carezze, e trascurano la salute dell'animo. Ma la vera felicità non si trova nei beni apparenti. Non ai piaceri del corpo, «delle cucine e dei bordelli», bisogna abbandonarsi e neppure a quelli della ricchezza, perché labili, deperibili e dannosi per la mente. Ma allora dove cercare? E che mezzi ha la filosofia per aiutarci? A partire da queste domande Seneca, con tono acceso e partecipato, pagina dopo pagina, ci svela il segreto per vivere felici. Perché la felicità, per quanto sembri irraggiungibile, è alla portata di tutti.
È il decimo dei "Dialoghi" di Seneca, dedicato al suocero Pompeo Paolino, che aveva in quel momento l'importante incarico di prefetto dell'annona, cioè di raccolta e distribuzione del grano nell'Urbe. E proprio all'amico, oltre che parente, Seneca dà il consiglio di ritirarsi a vita privata, tralasciando ogni attività pubblica. Assumendo cioè un atteggiamento filosofico apparentemente epicureo, nonostante lo stesso Seneca fosse un esponente importante dello stoicismo romano. È in realtà una fase difficile, questa per Seneca, per un breve lasso di tempo fuori dai giochi politici, prima ancora di ritornare in auge grazie al nuovo imperatore Nerone. Il trattatello si basa su un paradosso. Non è la vita a essere breve, come invece comunemente si crede. Essa è lunga, purché la si sappia razionalmente impiegare. Però la vita non deve essere dedicata agli altri, ma al sapere e alla filosofia. L'approccio di Seneca in questo dialogo definisce un importante modello di vita spirituale per l'età classica: Seneca concepisce la filosofia come ricerca della virtù e pratica della libertà.