Fin dall'antichità gli ebrei non sono stati una grande potenza, eppure, la loro storia ha influenzato il mondo intero. La millenaria cultura ebraica è comprensibile solo tenendo conto delle relazioni con altri popoli ed altri ambienti: minoranze e maggioranze si sono influenzate a vicenda, senza che ciò annullasse la peculiarità ebraica, intrinsecamente contraddistinta da una costante dialettica tra universale e particolare. Nel corso del tempo, sono sorte così ricche elaborazioni culturali: dalla Bibbia al giudeo-ellenismo, dalle molteplici correnti ebraiche del primo secolo al Talmud, dalla qabbalah al chassidismo, dal sionismo alla variegata e spesso drammatica realtà attuale costituita dai due poli fondamentali dello Stato d'Israele e dalla diaspora. Questo libro a due voci è un racconto inedito e potente di una storia unica, lunga trenta secoli che, seppur segnata da fratture e conflitti, è stata in grado di produrre valori universali.
Il grande Rabbi Yehudah soffrì per tredici anni poiché non aveva avuto compassione di un vitello portato al mattatoio. Ma poi fu risanato perché, citando un salmo sulla misericordia, salvò delle piccole donnole.Perché la compassione si dispieghi occorre che trovi almeno tre compagni di cammino. Ci deve essere sommovimento di viscere, vera vicinanza e la presenza di un positivo senso di colpa. Se siamo impassibili e guardiamo con distacco la sofferenza altrui, il cuore non è mosso a compassione e restiamo freddi, non compassionevoli, perché nessuno può essere coinvolto se resta distante.Una riflessione su tre radici verbali della lingua ebraica consente di approfondire il tema. La prima è connessa alle viscere o più specificatamente all'utero, la seconda all'abitare e la terza è legata a un'ambivalenza profonda poiché significa tanto pentirsi quanto consolare. Se non si avverte come sperequazione inaccettabile e ingiustificata il confronto tra la propria salute e la malattia altrui, tra la propria pienezza e la mancanza inscritta nella vita del nostro prossimo, tra la propria gioia e la tristezza dell'altro, tra la propria fiducia e l'altrui disperazione non si è mossi ad autentica compassione.
Nelle testimonianze dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, il corpo - definitivamente trasformatosi in fumo e cenere per i "sommersi" - occupa sempre uno spazio centrale. Nel suo consumarsi e piagarsi esso è il luogo delle cicatrici eloquenti, della violenza subita, dello sforzo per la sopravvivenza, ma anche della carne spogliata della possibilità e della libertà di testimoniare qualcosa di "altro", come accade ai martiri. Il numero tatuato sul braccio delle vittime era, nella prospettiva di chi lo ha progettato, l'impronta tangibile della condizione di sottoumanità dei deportati, un marchio che espropria del "nome proprio" impedendo ad ognuno di diventare dignitosamente, umanamente, un "tu". Nella distruzione dei corpi, Auschwitz costringe i testimoni e i superstiti a ritrovare una parola irrimediabilmente privata della sua integrità, a riacquistare, per quanto possibile, le voci; a ridare lineamenti di volti umani a chi è stato reso fumo e cenere. E quindi, paradossalmente, a recuperare il fiato dei corpi dei vecchi e dei bambini - i primi a perire perché custodi della memoria e del futuro - riannodando i fili spezzati della continuità di un popolo.
Che fine ha fatto la Menorah, il simbolo per eccellenza del popolo ebraico che illuminava l'arca del Tempio di Gerusalemme? Dopo la distruzione del tempio e il saccheggio della città, nel 70 d.C., fu portata a Roma, in trionfo da Tito insieme agli altri tesori trafugati agli ebrei, un bottino talmente prezioso da essere raffigurato sull'Arco dell'imperatore. Per anni il candelabro fu conservato insieme con le altre spoglie della prima guerra giudaica, finché a Roma arrivarono i Vandali di Genserico che ne fecero ancora bottino di guerra portandola a Cartagine, di nuovo in trionfo. Ma solo finché Giustiniano non riuscì a recuperarla per trasferirla a Bisanzio, poi chissà... Stefan Zweig racconta il suo vagare come metafora stessa del popolo errante, pochi anni prima di porre fine alla propria esistenza di esiliato, in fuga dall'oppressione nazista. Nella postfazione Fabio Isman si mette a sua volta alla ricerca della Menorah per scoprire che potrebbe trovarsi ancora a Roma...
Gli ebrei sono caratterizzati dall'aspirazione a essere un popolo unito, ma hanno sempre conosciuto divisioni e separazioni interne; è un susseguirsi di persecuzioni, che tuttavia non hanno piegato la forte identità collettiva. Attraverso la religione e i riti, le tradizioni e le vicende storiche, l'autore spiega le ragioni della specificità ebraica, e mostra il grande contributo di un popolo che ha contribuito a fondare e sviluppare la cultura occidentale.
In questo libro, Stefani propone un'analisi dell'idea stessa di antigiudaismo, a partire dalla nascita della Chiesa cristiana e dal formarsi della sua identità per differenza. Abbandonando il termine antisemitismo, che è quello solitamente usato per indicare ogni forma di avversione o persecuzione nei confronti degli ebrei, l'autore studia il cammino dell'antigiudaismo, con tutte le varianti in cui è stato declinato nel corso di venti secoli.
La cultura del "fine settimana" affonda le proprie radici nelle Scritture, dai valori delle quali è andata però progressivamente allontanandosi. Di più, oggi lo stesso weekend, secolarizzazione del tempo biblico, rischia di essere a propria volta secolarizzato, disciolto nel tempo frammentato e continuo che caratterizza il presente. Sorge allora l'esigenza di far luce, con i saggi qui raccolti, su questa eredità dimenticata, di origine giudaico-cristiana, da cui deriva la scansione settimanale di un tempo coronato dal sabato. Proprio in quanto settimo, il sabato - o la domenica pensata come sabato cristiano -, pur essendo diverso da tutti gli altri giorni, ha bisogno dei precedenti sei per essere tale. Sono la cessazione, la quiete e il riposo a delimitare e completare l'opera che li ha preceduti. La separazione che introducono, oltre a dare pienezza al compiersi della creazione, porta a misurarsi con il senso del limite, tra umano e divino. Ecco perché parlare del sabato, a partire dalla Bibbia ebraica e cristiana, significa riflettere sul tempo, di Dio e degli uomini, interiore e collettivo.