Caro Salutis Cardor, celebre frase di Tertulliano (De resurrectione mortuorum, VIII, 6-7), scelta come motto e insegna dell'Istituto di Liturgia Pastorale "Santa Giustina, delinea in stile lapidario e con rara efficacia la funzione della carne di Cristo e nostra nel mistero della salvezza e nella liturgia. La collana, curata dall'Istituto e articolata in tre sezioni (Contributi, Studi, Sussidi), intende offrire a studiosi, operatori liturgici e al pubblico la ricchezza di pensiero e il fervore di stimoli propri di una chiesa che celebra e vive in maniera cosciente il suo mistero.
Parlare di liturgia e segreto può destare sorpresa e sospetto, soprattutto in un contesto culturale che, pur ossessionato dalla privacy, rendere tutto di dominio pubblico. Eppure la religione ricorre a i linguaggi "non comunicativi", in cui il segreto è parte decisiva della di religiosa. Esso custodisce o spazio dell'ineffabile, dell'altrove, si declina con dispositivi specifici come il silenzio, i luoghi di soglia, le interruzioni del flusso ordinario delle cose. Da un lato, il segreto impedisce la presunzione di una totale trasparenza dei riti rispetto al mistero di Dio,; dall'altro, ricorda l'inaccessiblità dell'esperienza rituale se non per partecipazione diretta. La questione del segreto rituale, vista sotto diverse angolature, può essere decisiva anche per l'attuale prassi celebrativa.
L'interpretazione razionalistica del mito, operata dall'illuminismo greco, segnò l'evoluzione occidentale e produsse una ferita nella cultura occidentale non ancora rimarginata. Vernant è lapidario: "Fra mythos e logos la distanza è ormai tale che non c'è più comunicazione; il dialogo è impossibile, la rottura compiuta". L'inesorabile estenuazione del mito sotto i colpi della indagine storico-critica attualmente è meno solida e sembra vacillare perché anche noi occidentali non siamo immuni dal "mito del dato", che si radica nella stessa ragion critica. Ogni verità infatti è sempre una credenza di verità, resa plausibile dal suo contesto culturale e dall'uso. Più che di verità finale e unica bisogna parlare di "programmi di verità" determinati dall'ambiente sociale. L'errore più frequente nel leggere i miti è decontestualizzarli e inserirli in un altro mondo mitologico. Ogni mitologia promana da un immaginario collettivo contestualizzato: i Greci antichi dal loro, noi dal nostro, per cui non si può demitizzare la cosmologia greca o biblica a partire dalla cosmologia scientifica galileiana. Non è solo un errore di prospettiva, ma va a interferire con la produzione della conoscenza, che è sempre una mitologizzazione, fosse anche dettata dal metodo scientifico induttivo. Questa acquisizione è rivoluzionaria e stenta a farsi strada nell'epistemologia neo-positivista sempre in auge...