Novembre 1642: tutto è pronto per il colossale bagno di sangue in cui, nel giorno di San Martino, dovranno rotolare ben diciassettemila teste di nobili, per il grande macello dell'aristocrazia di Francia. Ma la macchina si inceppa e tutto finisce in una bolla di sapone. Come mai? Un uomo bislacco, un sognatore che mentre incipria o rabbercia parrucche ormai stanche vagheggia di avere origini altissime, un essere mezzo Arlecchino e mezzo Charlot, attraversa come una torpedine impazzita il gran disegno del Cardinale. Per contrastare i progetti dei Titani, il destino si serve del folle parrucchiere Tandréde Turlupin. Il quale, fantasticando di essere riconosciuto da nobil madre, finirà per diventare l'ultimo campione dell'aristocrazia morente.
Ultimo libro pubblicato da Chatwin, questo romanzo fu subito salutato come "una gemma squisita, compatta, luccicante, riccamente sfaccettata".
A venticinque anni, nel 1934, Simone Weil scrisse queste Riflessioni, vero talismano che dovrebbe proteggere chiunque è costretto ad attraversare l’immenso ammasso di menzogne che circonda la parola «società». Come sempre nelle parole più ovvie, in essa si cela una realtà segreta e imponente, che agisce su di noi anche là dove nessuno la riconosce. La Weil è stata la prima a dire con perfetta chiarezza che l’uomo si è emancipato dalla servitù alla natura solo per sottomettersi a un’oppressione ancora più oscura, ancora più capricciosa e incontrollabile: quella esercitata dalla società stessa, poiché «sembra che l’uomo non riesca ad alleggerire il giogo delle necessità naturali senza appesantire nella stessa misura quello dell’oppressione sociale, come per il gioco di un equilibrio misterioso». Da questa intuizione centrale si diparte, con cristallina virtù argomentativa, una sequenza di ragionamenti che svelano nei meccanismi del potere come in quelli della produzione e dello scambio altrettanti volti di una stessa idolatria. Scritto quando Hitler era al potere da pochi mesi e quando Stalin era venerato da gran parte dell’intelligencija come «piccolo padre» di una nuova umanità, questo testo non ha un attimo di incertezza nel delineare l’orrore di quel presente. Ma, come sempre nella Weil, lo sguardo è così preciso proprio perché va al di là del presente e percepisce un’immagine inscalfibile del Bene, in rapporto alla quale giudica il mondo. È uno sguardo che ci induce a «sfuggire al contagio della follia e della vertigine collettiva tornando a stringere per conto proprio, al di sopra dell’idolo sociale, il patto originario dello spirito con l’universo».
Oltre che dell'eros e dell'eccesso, Georges Bataille fu anche un singolare teorico dell'economia, ed è in questo ambito delle sue speculazioni che si situano alcune delle sue scoperte più preziose. Non diversamente da Ricardo e da Marx, egli vedeva nella categoria del "sopvrappiù", e nel modo in cui una determinata civiltà la tratta, la chiave di volta per capire la fisionomia nascosta della civiltà stessa. Studiando le società primitive e confrontandole con la nostra, Bataille riconobbe in tutto il mondo moderno una sorta di fatale cecità legata al predominio indiscusso della categoria dell'utile, a cui tutto viene subordinato, oscurando così la necessità del superfluo.
Come base di una tecnologia di consumo che comprende il laser e il transistor, la meccanica quantistica è tutt'altro che nuova (il "quanto di energia" è familiare anche ai profani), e resta però, nei suoi fondamenti concettuali, un enigma inquietante. Visti da vicino, i fenomeni più semplici pongono continue sfide alla logica e al senso comune, e se la scoperta da parte di Einstein che lo spazio e il tempo sono di fatto un "continuum" deformabile colse il mondo di sorpresa, la nuova meccanica, rivelando un elemento di incertezza e di imprevedibilità al fondo delle cose, fu un vero e proprio trauma, dal quale la fisica non si è mai del tutto ripresa.
Parks ci guida attraverso una bizzarra galleria con titoli come "Adulterio", "Fedeltà", "Destino", ciascuno dei quali è già un romanzo e un trattatello sul tema designato. Temi eterni, come eterni sono i casi della vita. Così dal calcio ai fantasmi, dagli dei ai premi letterari, dai tormenti del cuore e del sesso alla gita aziendale, attraverso ogni episodio in sé compiuto ma sempre con un occhio rivolto al tutto, questi strani ibridi finiscono per disegnare un complesso autoritratto dello stesso scrittore, qui presente, oltre che nei panni del narratore, come ironica spalla dei protagonisti.
Un romanzo di avventure intellettuali e picaresche attraverso le follie del boom economico e le metamorfosi della società e del paesaggio, delle illusioni e dei caratteri. Notti senza fine di giovani che discutono dei loro autori e dei loro amori fino all'alba, progettando grandi opere letterarie, teatrali e musicali. Affetti, utopia, irrisioni e rivolte contro un oppressivo establishment culturale e politico. Ma anche la verve della café society, quando Roma era una capitale cosmopolita e "passavano tutti di qui" e le donne erano "molto più belle e più intelligenti e spiritose e anche più alte degli uomini corrispondenti". E che cosa significa aver vent'anni e molti desideri, nell'Italia di Petronio, di D'Annunzio e di sempre...
Il volume è una raccolta di scritti di Ceronetti che, accanto a fulminee perlustrazioni nei cunicoli del passato (i grandi amori che l'autore torna regolarmente a visitare: Bosch, i catari, Munch, Sade, Lucrezio, Céline), presenta testi che affrontano alcuni temi su cui la polemica è ancor oggi rovente: l'aborto e la scuola, la violenza e l'eutanasia.
Poeta afflitto dalla miseria e dalla noia, Ottavio di Saint-Vincent vive nella perenne attesa di qualcosa cui egli stesso non sa dare il nome, e solo questa irragionevole ma pervicace attesa lo trattiene dal suicidio. Ma il destino può assumere strane forme: quella, ad esempio di una duchessa ricchissima che, per sfuggire a sua volta alla noia, decide di raccogliere "un giovane povero, un uomo disperato", magari "ubriaco, addormentato, incosciente", e di elevarlo temporaneamente al rango di duca e suo sposo. E può poi accadere che la finzione generi una finzione ulteriore non a tutti gradita, forse neppure al suo rigoroso interprete, che si trova prigioniero di qualcosa che aveva fino ad allora fuggito: la costrizione.
"Come si spiega che sul palcoscenico la realtà possegga un fascino di cui è totalmente priva quando è lontana dalle scene?" Intorno a questo interrogativo ruota il "Manuale del critico", raccolta di testi brevi in cui Polgar affronta il tema del teatro da tutte le possibili angolature.