Tredicesimo volume della raccolta delle opere di Maigret. Le inchieste del commissario Maigret raccolte in questo volume sono state scritte tra l'ottobre del 1963 e il dicembre del 1966.
"Quello che mi interessa è poter scrivere un reportage esattamente nello stesso modo in cui scriverei un libro" afferma Emmanuel Carrére. Così, della "Giungla" di Calais, non ci racconta il fango, la violenza e la miseria del campo, bensiì tutto quello che c'è attorno: la rabbia e la frustrazione di una parte dei calesiani; la compassione e la solidarietà di un'altra parte; le fabbriche e i quartieri abbandonati; l'immane apparato poliziesco; il circo mediatico; il "turismo del dolore". E lo fa nel suo modo affabile e diretto, con lo sguardo, insieme lucido ed empatico, di chi si interroga costantemente su tutto - anche su se stesso.
"Dicono che molte donne siano gelose della suocera. Si lamentano del fatto che i mariti, quando tornano "a casa loro" anche solo per un'ora, assumono un'aria beata e particolarmente allegra che le irrita. "Il grande e grosso Torrence non era mai così raggiante come al rientro da un giretto "a casa sua". E "casa sua", per lui, era quella in cui aveva mosso i primi passi della carriera, il Quai des Orfèvres, dove, in qualità di ispettore della Polizia giudiziaria, era stato per quindici anni il braccio destro del commissario Maigret. "Per i colleghi, Torrence aveva fatto una brutta fine, diventando un detective privato. Per la maggior parte della gente, invece, aveva fatto fortuna, poiché adesso era, almeno ufficialmente, a capo della più seria, nota e illustre di tutte le agenzie investigative: l'Agenzia O".
Dodicesimo volume della raccolta delle opere di Maigret. Le inchieste del commissario Maigret raccolte in questo volume sono state scritte tra il giugno 1960 e il marzo 1963.
Tutto era cominciato (ma quando, esattamente? Lui stesso non riusciva a ricordarsene) con una improvvisa sensazione di vertigine, accompagnata da "un intenso e molesto calore alla gola". Poi, in seguito al ripetersi delle crisi, aveva consultato vari medici, l'ultimo dei quali gli aveva consigliato di prendere nota di che cosa aveva fatto, e mangiato, prima di ogni crisi. In quegli appunti, buttati giù su un foglietto che nascondeva tra le pagine di un libro, aveva deciso di annotare anche altro: quello che sua moglie, a differenza di lui, non aveva mangiato. E, dall'appartamento collegato attraverso una scala a chiocciola con la cartoleria di cui sua moglie era la "padrona", aveva cominciato a spiarla, ad ascoltare le sue telefonate, a cercare delle prove. A volte quasi si vergognava di rimuginare quei vaghi sospetti: si amavano da così tanto tempo, loro due! Altre volte, invece, gli veniva voglia di "afferrarla per le spalle" e, guardandola negli occhi "come si guardavano quando si stringevano appassionatamente l'uno all'altro", dirle: "Ho vissuto qui, con te, per quindici anni. Abbiamo fatto di tutto perché i nostri due corpi fossero un corpo solo, perché la tua saliva fosse la mia, perché il tuo odore e il mio odore fossero il nostro odore. Ci siamo accaniti a far sì che il nostro letto diventasse il nostro universo... Dimmi la verità". Ma sarebbe mai riuscito a formulare quella invocazione, a chiedere pietà?
A sei donne incontrate fra il 1932 e il 1935, quasi tutte sue amanti occasionali, sono indirizzate queste lettere di Céline, dove sempre risuona la petite musique del suo stile. Sei donne che Céline continua a seguire e proteggere: e, se si guarda bene dal parlare d'amore, non lesina consigli su come usare gli uomini nel modo migliore, cioè "per il piacere e per i soldi". Ma soprattutto, lettera dopo lettera, con una generosità che rende lacerante la violenza autodenigratoria ("Già vecchio, depravato, non ricco, malmesso insomma. Tutt'altro che un buon partito. Battona e malfido") , non cessa di illuminare per barbagli, a loro beneficio, il mondo. In fondo, scrive a Evelyne Pollet, "Crepare dopo essersi liberato, è almeno questa l'impresa d'un Uomo! Aver sputato ogni finzione...".
Come molti altri della sua generazione, dalle atrocità della Grande Guerra il "piccolo eroe" Bernard Jacquelain è stato trasformato in un "lupo" avido di piaceri e di denaro, cinico e disincantato, e unicamente attratto dal mondo luccicante dei faccendieri, degli affaristi, dei politici corrotti. A niente servirà la presenza dolcissima della giovane moglie: lui ha voglia di avventure, e di quella mediocre vita piccoloborghese non sa che farsene. Ma il fuoco di molti incendi verrà a devastare i campi della sua vita: un amore sordido, una débàcle finanziaria, un'altra guerra, un lutto atroce. Solo allora Bernard capirà che cosa vuole davvero - e saprà che da quel cumulo di ceneri può nascere una vita nuova.
Il volume contiene: Maigret si mette in viaggio, Gli scrupoli di Maigret, Maigret e i testimoni recalcitranti, Maigret si confida, Maigret in Corte d’Assise.
"G.7 è uno strano tipo. Nella vita quotidiana sembra più giovane di quanto non sia, e ha modi così gioviali che si stenta a prenderlo sul serio. Ma appena comincia a seguire un caso il suo atteggiamento cambia. Si chiude in se stesso. E, cosa più strana, assume un'aria timida che non si addice affatto all'immagine convenzionale del poliziotto. Mi è capitato di vedergli condurre un interrogatorio: ci mancava poco che si mettesse a balbettare. Nessuna ostentazione. Nessuna spavalderia. Semmai un certo imbarazzo, come se si sentisse fuori posto. Per ore e ore non fa il minimo accenno all'inchiesta. Beve. Mangia. Segue con lo sguardo il viavai della strada. Mi risponde a monosillabi. E alla fine, vedendogli prendere una decisione improvvisa, mi rendo conto con mio grande stupore che la sua mente non ha smesso un istante di lavorare."
"Il parassita che nel 1892 Jules Renard elesse a protagonista di un suo romanzo (...) non ha nulla dei suoi antenati, o non gli resta dei suoi antenati che quel maledetto vizio di ogni tempo di sedere alla tavola degli altri e diventare 'il convitato abituale'. Per raggiungere i suoi scopi (che non si limitano al mangiare e dormire) si serve della letteratura (...) Henri (è questo il suo nome) aspira a divenire l'idolo ben remunerato di una brava famiglia borghese, di un marito lavoratore, di una moglie attenta, che il profumo di una vita diversa, di esistenze godute e perdute alla fiamma della poesia, getta senza alcun bovarismo e col massimo controllo in uno stato di lieve abbandono, di stordito turbamento (...) L'impegno che lo sovrasta è quello d'incantarli, soffiando con abilità in quella specie di flauto dolce che è la poesia per chi non la conosce; di trasportarli sul suo illusorio palcoscenico, ov'egli, recitando una vita che non esiste e mai smettendo via via di complimentarsi con se stesso per l'ottimo lavoro che sta eseguendo, potrà cantare alla fine la sua vittoria." (Giovanni Macchia) Con un saggio di Alfredo Giuliani e una recensione di Marcel Schwob.
Decimo volume della raccolta delle opere di Maigret.
Al centro di questo romanzo si staglia - occhiuta, dispotica, orgogliosa - una figura femminile tra le più memorabili delle tante che Simenon ci ha regalato: quella della signora Pontreau. Vedova, con tre figlie, barricata in una sprezzante e dignitosa miseria, la vediamo, in una delle prime scene a cui assistiamo, spingere giù dalla finestrella del granaio, con implacabile freddezza, il genero paralizzato da una crisi di epilessia. La morte di quel buono a nulla, di quell'inutile biondino dalle gambe molli, le consentirà di mettere le mani su una parte della proprietà e di riprendere un saldo controllo sulle figlie. Ma sullo sfondo, delirante e minacciosa, c'è un'altra donna, una vecchia domestica a ore, che forse ha visto, che forse ha dei sospetti, e che potrebbe parlare, o ricattarla. Perché tutto sia soffocato, perché una greve cappa di silenzio scenda sulle vittime e sui colpevoli, e perché ogni cosa, il paese come la grande casa dalle finestre sprangate delle Pontreau, ripiombi in una calma sinistra, il prezzo da pagare sarà altissimo ma soprattutto occorreranno altre vittime. Con la crudele esattezza che è soltanto sua, Simenon ha ritratto una società arcaica e ripiegata su stessa, in cui è il potere delle donne a decidere della vita e della morte.