Un giorno, a New York, Oliver Sacks partecipa all'incontro organizzato da un batterista con una trentina di persone affette dalla sindrome di Tourette: "Tutti, in quella stanza, sembravano in balia dei loro tic: tic ciascuno con il suo tempo. Vedevo i tic erompere e diffondersi per contagio". Poi il batterista inizia a suonare, e tutti in cerchio lo seguono con i loro tamburi: come per incanto i tic scompaiono, e il gruppo si fonde in una perfetta sincronia ritmica. Questo stupefacente esempio, spiega Sacks, è solo una particolare variante del prodigio di "neurogamia", che si verifica ogniqualvolta il nostro sistema nervoso "si sposa" a quello di chi ci sta accanto attraverso il medium della musica. Presentando questo e molti altri casi con la consueta capacità di immedesimazione, Sacks esplora la "straordinaria forza neurale" della musica e i suoi nessi con le funzioni e disfunzioni del cervello.
Il ruolo delle formiche nella biosfera - dice Edward Wilson - è così importante che l'umanità forse non potrebbe sopravvivere senza di esse. Ma l'umanità, prigioniera della propria strategia arcaica della sopravvivenza a breve termine, è ancora troppo concentrata su se stessa e sui propri bisogni, e sta distruggendo la natura con la forza di un meteorite. Entro la fine del secolo, metà di tutte le specie potrebbero essere definitivamente uscite di scena. Avrà allora inizio quella che potrebbe venire ricordata un giorno come l'Era eremozoica - l'Età della Solitudine. I costi materiali e spirituali per le generazioni future rischierebbero di essere sbalorditivi, ma a scongiurare tutto questo non bastano mere considerazioni utilitaristiche. Per risultare realmente efficace, la strategia di conservazione deve tentare di collegare l'approccio razionale tipico della scienza con quello più emotivo e spirituale offerto dalla nostra innata "biofilia", tendenza che permane, seppure atrofizzata, persino nei bozzoli artificiali in cui scorre la nostra esistenza urbana e che potrebbe diventare il fondamento di una nuova etica. Wilson per la sua perorazione ha scelto la singolare forma di una lettera indirizzata a un immaginario uomo di chiesa, nella speranza che religione e scienza, "le forze più potenti nel mondo di oggi", possano incontrarsi "al di qua della metafisica" per salvare il futuro della vita sulla Terra.
Per i suoi contemporanei, Thomas Browne fu un grande antiquario, un medico illustre e, soprattutto, un "wit", definito volta a volta pedante o ironico, scienziato retrivo o promotore entusiasta della scienza nuova. Le sue opere sollevarono dispute teologiche e scientifiche, eruditi gli chiedevano consigli su disparate questioni. I lettori più moderni, a partire da Lamb, Coleridge, De Quincey, fino a Borges, scoprirono che Browne poteva essere considerato innanzitutto come letterato; che il fascino della sua prosa era, in certo modo, ineguagliato nella letteratura inglese; che l'astrusità delle sue preoccupazioni rendeva i suoi scritti ancor più rari e curiosi; che l'aura del remoto avvolgeva ogni pagina. Così Browne divenne uno scrittore per raffinati, una preziosità letteraria, una felice aberrazione. La sua opera - elusiva, fondata su di una cultura composita e scritta in una cadenza naturalmente religiosa e cerimoniale - si presenta come una complessa figura sul punto di disfarsi, come un mosaico le cui tessere stiano per essere separate e disperse.
Valentino Braitenberg, tra i pionieri della cibernetica, non è nuovo alle provocazioni intellettuali. Ne ha dato prova, già nel 1984, con un libro in cui proponeva di costruire semplici robot per "sintetizzare" comportamenti complessi che un osservatore esterno avrebbe attribuito a stati mentali come la paura, l'aggressività, la curiosità. Era un primo passo verso una modellazione "in silico" del vivente. La stessa originalità di impostazione, la stessa verve iconoclasta e lo stesso gusto per le contaminazioni interdisciplinari caratterizza le sue ricerche sul cervello, nelle quali ha sempre mirato a collegare le funzioni cerebrali ai fenomeni della psicologia. Gli è però rimasto pendente un debito: l'inserimento del mondo dei segnali e dei messaggi, dei cervelli e delle idee in una visione più generale, senza soluzione di continuità fra le cose biologiche e quelle inanimate. Colmare tale lacuna è un compito per il quale forse non siamo ancora maturi, ma sembra lecito affrontare il problema con un approccio che Braitenberg stesso definisce "presocratico".
Scopritore del principio di esclusione, che gli valse il Premio Nobel, Pauli non solo ha fornito determinanti contributi alla meccanica quantistica, ma si è interrogato, con una profondità ignota ad altri fisici, sull'esistenza di principi presenti universalmente nel processo psichico - principi che ha trovato negli archetipi di Jung. Ma che cosa è in realtà un archetipo? Per Pauli si tratta di immagini fondamentali e primitive che si impongono alla mente in maniera oggettiva e inconscia, e legate ai concerti fisici della scienza comune: da questo legame scaturisce quella unità di psiche e materia che senza alcun dubbio lo legava a Jung.
La scoperta della doppia elica del DNA nel 1953, cui Watson lavorava da anni, suggeriva la soluzione di due fra i più antichi misteri della biologia: l'archiviazione e la replicazione dell'informazione ereditaria. La doppia elica portava fin dentro la cellula una visione unitaria del mondo biologico e del mondo inanimato e, nella confusa complessità della biologia e nella sterminata varietà delle forme viventi, Watson introduceva un elemento materiale unificante e una nuova chiave interpretativa. Il cinquantenario della rivoluzione del DNA ha coinciso con la pubblicazione della prima sequenza del genoma umano e ciò ha offerto allo scienziato inglese l'occasione per una magistrale lettura della sua storia e dei suoi problemi.
Dopo decenni di dispute tra "innatisti" - secondo i quali esiste nell'uomo un nucleo arcaico scarsamente modificabile - e "empiristi" - invariabilmente darwiniani e fautori del primato dell'ambiente in nome di un'idea di progresso - tutte queste dicotomie appaiono prive di fondamento. Ben più interessanti di queste guerre di religione è il quadro che emerge dalla ricerca sul genoma, afferma Ridley in questo libro. In ogni essere umano, sostiene l'autore, sono presenti l'espressione delle emozioni di Darwin e l'eredità di Galton, gli istinti di James e i geni di De Vries, i riflessi di Pavlov e le associazioni di John Watson, l'esperienza formativa di Freud, la divisione del lavoro di Durkheim, l'imprinting di Lorenz.
Una scelta di testi "meno facili" operata tra le "Lectures on Physics" di Feynman. Filo conduttore di questo volume è una teoria tanto popolare quanto poco compresa: la teoria della relatività di Einstein. Come disse il fisico Freeman Dyson, che fu suo allievo al Caltech, in Feynman "il pensiero profondo e il fare burlesco e giocoso non erano parti separate di una personalità divisa... egli faceva le due cose contemporaneamente". Seguire una di queste lezioni richiede una costante attenzione ai trabocchetti che il fisico tende di continuo, avvalendosi di uno stile dialogico degno di un filosofo antico. In Feynman nessun concetto è così ovvio o elementare da non meritare un supplemento di indagine, un'analisi più attenta.
All'indomani del disastro dello Space Shuttle Challenger, nel 1986, il presidente degli Stati Uniti istituì una commissione governativa incaricata di far luce sulle cause della tragica esplosione. A farne parte fu chiamato anche Richard Feynman, e furono in molti a chiedersi quale apporto potesse dare, fra ingegneri, astronauti e tecnici aerospaziali, un sia pur celebre fisico teorico. Ma fu proprio Feynman a dimostrare, fra lo sbalordimento generale, che l'incidente era stato causato da una semplice guarnizione di gomma. La relazione che presentò figura in questo libro che raccoglie saggi di diverso argomento: dalla sociologia della scienza alla struttura dei calcolatori, dalla pedagogia al rapporto tra scienze e religione.
L'ipotesi del "principio antropico" venne proposta da Barrow e Tipler in questo libro apparso negli Stati Uniti nel 1986. Secondo questa teoria tutto ruota intorno a un nucleo ineludibile: se non si presentassero un numero allarmante di straordinarie coincidenze nella forma delle leggi fisiche e nei valori delle costanti di natura, la biochimica, la vita e la vita intelligente non sarebbero possibili. Non solo un universo preso a caso non consentirebbe la vita, ma non vi sarebbero possibili neppure gli oggetti astronomici comuni e la materia ordinaria. Muovendo da questa constatazione si giunge alla conclusione che vi sia una necessità, e il principio antropico debole, che si arresta al riconoscimento dei fatti, evolve in quello forte.
"Sento quindi sono". Potrebbe essere il motto di questo libro, dove Damasio prosegue sulla via intrapresa con "L'errore di Cartesio". Qui si tratta di avvicinarsi alla "coscienza", nel senso di consapevolezza, attraverso l'emozione. Ma come farlo con rigore scientifico? Come sottoporre l'esperienza più volatile e multiforme, tutta in prima persona, ai più sottili criteri della scienza, che sono tutti in terza persona? Tale interrogativo si pone oggi agli scienziati che hanno posto la coscienza al centro delle loro ricerche. In questo libro l'autore mescola e sovrappone l'analisi al livello neurofisiologico e quella al livello psicologico, trattando alcuni casi clinici e delineando i tratti di una teoria generale della coscienza.