La visione egizia dell'Aldilà, meglio nota come "Libro dell'Amduat", può essere considerata un grande patrimonio dell'umanità. L'impatto che quest'opera ebbe sulla cultura degli antichi egizi, caratterizzandola, permase per oltre un millennio, dando vita a un vero e proprio genere letterario - i libri dell'Aldilà - che confluirono nella letteratura del periodo greco-romano convergendo, quindi, nei testi gnostici dei trattati ermetici e plasmando poi l'idea cristiana di Paradiso. Le interpretazioni formulate nel libro riguardo questi testi sono molto originali e plausibili, seppur non sempre allineate con gli studi "canonici" dei cosiddetti esperti; per tale ragione, il lavoro può costituire un buono spunto per ulteriori riflessioni e approfondimenti.
Alcuni regnanti della XVIII Dinastia furono pedine inconsapevoli di un gioco di potere abilmente gestito dai sacerdoti eliopolitani e tebani mediante la strumentalizzazione delle eclissi solari? Forse le vite di Akhenaton, Nefertiti, Smenkhkara e Tutankhamon avrebbero avuto un epilogo meno tragico se lo scibile degli antichi, perpetuato per migliaia di anni in forma criptata, fosse stato esteso anche ai sovrani e al popolo? Per trovare risposte esaustive a questi e a centinaia di altri interrogativi i lettori potranno seguire il lungo percorso fatto, abbracciante millenni di storia, sulla scia degli innumerevoli indizi disseminati dagli stessi Egizi che non solo parrebbero suggerire realtà storiche diverse ma consentirebbero anche di risalire dal Nuovo Regno al Primo Tempo, in cui l'Egitto era governato dai re divini, e addirittura all'epoca in cui avrebbero vissuto gli Antenati che generarono gli dei primigeni citati nei testi sulle pareti del tempio di Edfu.
Atti del Convegno internazionale (Villa Mondragone, Monte Porzio Catone (RM), 27-29 novembre 2008).
Dal punto di vista storico, un legame strettissimo tra religione e diritto ha accompagnato con varie modalità tutta la vicenda dell’umanità. Oggi, però, di fronte alle accese discussioni e alle perplessità suscitate intorno a questioni come, ad esempio, l’esposizione del crocefisso nei luoghi pubblici, l’uso del velo islamico, la definizione delle festività, è necessaria un’approfondita riconsiderazione del sistema vigente per realizzare l’armonizzazione di esigenze e diritti spesso in conflitto tra loro. In principio era la legge e in principio era il giudice: i due modelli si contendono la scena e spetta al giurista, con la sua infaticabile mediazione tra ius e lex, tra equità e giustizia, coltivare l’incantesimo del diritto. E spetta al giurista a maggior ragione in un’epoca come la nostra, nella quale, per quanto ci riguarda, Europa attende e, come nel mito, per la vergine figlia di Fenice ci si dà battaglia e questa volta si inizia proprio dai simboli religiosi.
Questo volume, per la prima volta in Italia, pone a tema l'approccio alla religione derivante dalla teoria e dalle ricerche sull'attaccamento. Solo da pochi decenni la teoria dell'attaccamento si è venuta ponendo come un approccio specifico nell'ambito accademico della mainstream pychology. Fatto ancora più recente è l'applicazione alla religione del paradigma dell'attaccamento. Pionieri in questo campo, sono stati, a partire dagli anni Novanta, Lee A. Kirkpatrick e Pehr Granqvist. Oggi l'argomento è di attualità e suscita ampio interesse e dibattiti tra i cultori della psicologia della religione in ambito internazionale. A questo progetto vorrebbe dare un contributo anche questo volume. La novità del binomio attaccamento e religione è ben evidenziata da Pehr Granqvist che apriva un recente congresso sul tema, tenuto a Milano dalla Società Italiana di Psicologia della Religione, con queste parole: «Dopo diversi anni di ricerca nell'area "attaccamento e religione", sono veramente lieto di portare il mio contributo al primo congresso internazionale dedicato esclusivamente all'applicazione della teoria dell'attaccamento nell'ambito della ricerca sulla religione. Anche se la teoria e la ricerca sull'attaccamento hanno già dato contributi importanti alla psicologia della religione, credo che in futuro, il loro rilievo nella psicologia della religione potrà solo aumentare. Spero che il mio intervento possa fornire qualche indicazione sulle direzioni future di questo sviluppo».Mario Aletti, psicologo psicoanalista, è docente di Psicologia della Religione e di Psicologia dinamica presso l'Università "Cattolica" e la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale (Milano). Socio fondatore e presidente della Società Italiana di Psicologia della Religione, è membro del comitato di direzione dell'International Journal for the Psychology of Religion e dell'Archiv für Religionpsychologie. Dal 2007 è membro eletto del Board dell'IAPR-International Association for the Psychology of Religion. Ha pubblicato diversi volumi, a partire dal manuale Psicologia della religione (con G. Milanesi, 1973) e numerosi articoli in riviste internazionali.Germano Rossi, psicologo, è docente di Psicometria presso l'Università di Milano-Bicocca. Si interessa di psicologia delle comunicazioni artistiche (in particolare la musica) e dei comportamenti e atteggiamenti religiosi sia in ambito individuale (religiosità) sia in quello sociale (fondamentalismo). Per la Società Italiana di Psicologia della Religione ha organizzato diversi convegni ed è stato curatore (con M. Aletti) di diversi volumi sulla psicologia della religione.Contributi di Mario Aletti, Luca Carissimi, Rosalinda Cassibba, Daniela Convertini, Rocco Coppa, Alessandro Costantini, Antonella Delle Fave, Raffaella Di Marzio, Federica Durante, Georgina Falco, Kazimierz Franczak, Sergio Gatto, Pehr Granqvist, Salvatore Iovine, Maura Lichino, Alessandro Longatti, Tiziana Magro, Roberto Mattioli, Andrea Menegotto, Riccardo Molinelli, Lorenzo Montali, Paolo Riva, Germano Rossi, Giovanni Sorge, Gertrud Stickler, Fabio Tartarini, Ines Testoni, Chiara Volpato
Il volume è un tentativo di analizzare il rapporto difficile e contraddittorio che intercorre tra cinema (o perlomeno tra l'idea occidentale di cinema) e buddhismo. Attraverso l'analisi delle opere di tre dei maggiori autori cinematografici viventi che hanno affrontato, da occidentali, il tema del buddhismo, Scorsese, Herzog e Bertolucci (i film presi in considerazione sono, ovviamente, "Kundun", "Piccolo Buddha" e "Kalachakra", cui si aggiunge anche "Sette anni in Tibet" di Annaud), l'autore costruisce un complesso affresco di interrelazioni, di rimandi, di incastri tra la filosofia buddhista e il materialismo capitalista del mondo occidentale. "L'analisi filmica quindi", per usare le parole dell'introduzione di Giovanni Spagnoletti, "si riprende la libertà e la fantasia interpretativa che le compete, proponendo degli scenari altri rispetto a quanto di consueto si legge nei lavori di esegesi cinefila".