I contributi raccolti in questo volume indagano tanto il campo degli enti matematici e fisici quanto quello degli oggetti sociali e fittizi, ma ampio spazio è dedicato anche alla prospettiva storica e non manca un'analisi dell'intreccio tra ontologia e politica. Per la rilevanza dei problemi posti e l'originalità delle soluzioni offerte, unitamente al rigore delle argomentazioni utilizzate e all'accuratezza degli apparati bibliografici, esso costituisce un utile strumento per orientarsi in uno dei più rilevanti dibattiti filosofici contemporanei.
Nel Fedro di Platone l'anima è descritta usando l'immagine di un carro guidato da un auriga e tirato da due cavalli di cui uno riottoso e cattivo si ribella all'altro che vuole seguire le schiere degli dèi, supreme essenze ideali. Le anime che a differenza degli dèi non si congiungono sempre alle idee, rappresentano bene l'antinomia più volte richiamata in sede critica a proposito degli autori, Verga, De Roberto, Brancati, Tomasi di Lampedusa, Sciascia, fino ad alcuni contemporanei, di cui si occupano i saggi raccolti nel presente volume: tra luce e ombra, tra mito e storia, tra ragione e mistero, tra isolamento ed esibizione, tra lirismo memoriale e registrazione impersonale. Ma per ognuno di loro si mostra come i termini finiscano col coincidere nel segno della circolarità più che in quello dell'antinomia; così è possibile rinvenire in molti scrittori siciliani tracce evidenti di questa duplice e simultanea anima, del loro coerente trascorrere dal sentimento alla ragione, dall'istinto all'analisi, dalla fantasia alla verità, dal mito alla storia, dal mistero al reale.
La frequenza tematica dei topoi amorosi nell'opera di Federico De Roberto permette un inquadramento della sua produzione nei termini del "discorso amoroso" di cui parlava Roland Barthes, vale a dire del dialogo tra vita e libri, della dispersione per frammenti di un sentire dissimulato per svariate motivazioni e mascherato nel gioco della scrittura. Sul doppio binario della ricerca di motivazioni soggettive e oggettive che spieghino il continuo interrogarsi dell'autore catanese sul vero o falso idealismo romantico, vengono verificate le matrici culturali della frequenza di temi quali il conflitto eros-thanatos, l'illusorietà della vita, la solitudine e l'esclusione del personaggio, la retorica dell'amore e dell'eros, l'adulterio. Si tratta nella maggior parte dei casi di una prassi d'intermittenze tra realtà e finzione in cui i documenti, alcuni dei quali inediti, si configurano come la più palese mise en abîme delle immagini e delle idee che alimentano l'invenzione narrativa.
Il presente lavoro si prefigge l'obiettivo di ricostruire la riflessione giuridica di Salvatore Pugliatti, con particolare riguardo alla metodologia e alla teoria della interpretazione. A tale scopo, si è tentato di mettere in luce il rapporto tra l'attività del giurista e la imponente cultura del Pugliatti umanista, musicologo, letterato e critico d'arte. Ne emerge il profilo di un personaggio avvincente, "vero uomo del Rinascimento", capace di segnare, con la sua multiforme personalità, il panorama culturale italiano del Novecento.
Questo volume tenta di far uscire la figura e l'opera di Eugenio d'Ors dal più che quarantennale oblio in cui in Italia sembra precipitato. Pensatore tra i principali del Novecento iberico e saggista assai tradotto e ascoltato in Italia, d'Ors sembra pagare alcuni malintesi e una difficile fruizione della sua opera, al contempo rapsodica e monumentale, frammentaria e onnicomprensiva. In questo testo il catalano Eugenio d'Ors viene saggiato soprattutto a partire dalla sua opera principale, il Glossario, composto di glosse quotidiane succedutesi con regolarità, per circa quarantasei anni. Attraverso la minuta analisi del momento germinale dell'opera, iniziata nel 1906 in lingua catalana, obiettivo dichiarato di questo lavoro è l'inserimento della "forma-glossario" nel quadro di una tassonomia ragionata dei generi filosofici.
Il volume raccoglie una serie di riflessioni che l'autore ha avuto modo di sviluppare, nel corso degli anni, su alcuni dei più importanti profili della prova civile. Il volume si pone quale ideale prosecuzione della monografia "La prova giudiziale. Contributo alla teoria del giudizio di fatto nel processo". Seguendo la prospettiva sviluppata in tale monografia, la prova civile viene qui esaminata osservandola, oltre che dal punto di vista dell'attività processuale che essa implica, soprattutto dal punto di vista del ragionamento probatorio che segue alla sua acquisizione ai fini della formazione del convincimento del giudice.
Non suoni irriverente il titolo di questo libro, evocatore di faticoso e incompiuto lavorio, adoperato a proposito di chi, Benedetto Croce, voleva essere ricordato come "tutto pensiero". Ma a usarlo, quel termine "rappezzo", davanti all'Estetica che si accingeva a riscrivere, fu lo stesso Croce, come attestano i suoi Taccuini di lavoro. E da lì è stato tratto, assunto come l'emblema di una condanna alla perpetua riscrittura, a un ininterrotto adeguamento dei propri testi al tempo. Croce fu infatti inesauribile scrittore, e uno dei grandi, ma anche implacabile correttore di se stesso. E fu scrittore ancor prima di farsi filosofo. La sua scrittura fu sempre continua rielaborazione, incessante rincorsa del suo pensiero. E dei suoi testi soprattutto quelli originati nella prima fase (giovanile, ottocentesca, napoletana), ebbero il destino di essere ripetutamente riscritti. Questo libro ne restituisce i caratteri peculiari e i significati originari, rimasti occultati sotto il palinsesto delle riscritture novecentesche, obliati tra le ingiallite pagine di rare riviste.
Gli scritti raccolti in questo volume sono il tentativo di fare il punto della situazione sulla condizione della cosiddetta crisi dell'architettura contemporanea. L'architettura sta quindi per morire? O è già morta? La domanda, data la quantità di saggi che ne hanno certificata la fine, sembrerebbe alquanto retorica. Forse non è morta e permane in uno stato di agonia da più di mezzo secolo. Ma chi e come dovrebbe destarla? Facile a dire che è finita; ogni epoca ha detto che il proprio tempo era peggiore di quello passato. L'architettura contemporanea, tuttavia, è agonizzante, in stato comatoso, in crisi, non dà più risposte alla società, manca di riferimenti, è relativa, autoreferenziale, cinica e distaccata dai veri problemi, non si rinnova, si è ridotta ad arte fine a se stessa. Cosa si dovrebbe fare allora? Tutti lì a dire come non dovrebbe essere, mai nessuno a dire come invece dovrebbe essere, pervasi dal relativismo. Prima però di decretarne definitivamente la fine dovremmo capire cosa è l'architettura oggi.
Il Pervigilium Veneris, un componimento adespoto e non datato in 93 settenari trocaici, descrive la veglia di una festa religiosa, che si terrà in Sicilia, a Ibla, in onore di Venere, la dea che promuove l'amore concorde e della quale si tessono gli elogi. Il carme si apre con l'esaltazione della primavera e dell'amore e il poeta, con soave abbandono, canta le gioie della primavera congiunte con le gioie dell'amore: il verso che proclama l'imminenza e l'universalità dell'amore, cras amet qui numquam amauit quique amauit cras amet, apre e sigilla il carme, scandendo anche le dieci strofe che segnano i tempi del rito e del mito; ma nella chiusa il poeta, con malinconica sensibilità, oppone alle immagini di amore totalizzante la propria condizione di persona esclusa, negata alle feste dell'amore e del canto, che non sa farsi rondine e recuperare la gioia del canto. Con sottile malinconia, che lo rende incredibilmente attuale, si chiede quando verrà per lui 'primavera', quando potrà anche lui porre fine al suo silenzio. Il carme, in cui si mescolano temi popolari ed erudizione letteraria, elementi linguistici del sermo vulgaris e preziosismi lessicali, è stato attribuito agli autori più diversi, da Catullo (I sec. a. C.) a Lussorio (VI sec. d. C.): forse nessuna opera, alla ricerca del suo autore, ha mai oscillato per sette secoli. Del Pervigilium Veneris si fornisce qui l'edizione critica con introduzione, traduzione e commento.
"Questo è un libro di donne, è un libro sulle donne. Un drappello di studiose tra Sicilia e Europa si avvicendarono infatti, per esplicita e opportuna scelta della Fondazione Sciascia, a trattare fra il 3 e il 4 dicembre 2010 a Racalmuto, patria dello scrittore e sede della Fondazione, un tema mai affrontato da chi pur strenuamente s'interroga sull'opera e sul pensiero di Leonardo Sciascia e sul suo lascito di moralità e di stile. Mai trattato, dunque, quel tema cui il convegno s'intitolava (Le donne, la donna nell'opera (e nella Sicilia) di Leonardo Sciascia); e semmai solo alluso a mezza bocca, per sussurrare con sussiego (e plateale ignoranza) che di donne ce n'è ben poche e poco rilevanti in quell'opera. Non potevano essere, perciò, che donne a verificare, eventualmente smentire e comunque dire l'ultima parola su quel pregiudizio, affrontandolo con tutto il peso e lo spessore della loro netta, appassionata e appassionante differenza di genere."