Tra il 1817 e il 1837 il mondo fu flagellato da una pandemia di colera, malattia fino a quel momento sconosciuta, che la scienza medica si rivelò impreparata ad affrontare. Morbo implacabile, dal decorso velocissimo, la sua diffusione fu favorita dall'organizzazione della società dell'epoca, caratterizzata da infrastrutture arretrate (servizi igienici, fognature, acquedotti) e dallo sviluppo dei traffici a livello mondiale. Subito interpretato come una nuova peste, il colera riaccese quella psicosi fatta di disperata volontà di resistenza, rassegnazione, rabbia e angoscia di fronte all'inesorabile aggressività della morte, che si era radicata nell'inconscio collettivo durante le pestilenze dei secoli precedenti, e che nell'Ottocento sembrava del tutto rimossa. Il libro ricostruisce gli eventi dell'epidemia che colpì violentemente Roma nel 1837, facendo ricorso ad autentici documenti del tempo: lettere, memorie, atti ufficiali delle istituzioni, cronache, articoli e testi letterari.
La lingua madre della Città Eterna è il latino, ma davvero gli antichi romani parlavano solo quello? E come siamo passati dal latino al romanesco? Si può dire che Roma non abbia un vero dialetto ma una parlata? Luca Serianni risponde a queste domande partendo dai primi insediamenti etruschi e latini per arrivare alle lingue contemporanee della capitale, passando per la fase cruciale dei Papi medicei del Cinquecento, la cui corte è principale artefice della "toscanizzazione" del volgare parlato a Roma. Ma sono tante le incursioni linguistiche che hanno modificato il romanesco arcaico. "Le mille lingue di Roma" è una mappa che segue le sorti alterne di una lingua forgiata da dinamiche costanti di integrazione e che ha per risultato l'essenziale e originario plurilinguismo della nostra capitale.