Ma chi sono in realtà questi dissidenti? Da dove nasce la loro opposizione e che senso ha? Possono in definitiva cambiare qualcosa? Con questi interrogativi Vàclav Havel apre "Il potere dei senza potere", lo scritto che lo rese celebre e che terminò nel 1978, pochi mesi prima di essere arrestato. Il futuro Presidente della Repubblica Ceca qui porta a compimento la sua analisi dell'ordine socio-politico nei Paesi dell'Europa comunista: è il mondo del post-totalitarismo, che impone ai cittadini una "vita nella menzogna", dove i bisogni autentici dell'esistenza sono assenti o presi in considerazione solo come ingranaggi della macchina del sistema. In questo quadro, il dissenso non nasce da una presa di posizione ideologica - "l'uomo prende coscienza di essere un dissidente quando lo è già da un pezzo" - e il "potere dei senza potere" è il risveglio del bisogno di "vivere nella verità", è una fase elementare e sponranea della rivolta contro le manipolazioni che, da qualunque parre provengano, tendono sempre ad annullare il valore dell'individuo. Scritto con implacabile esattezza poetica, al di là del suo enorme valore storico e nella spietata disamina dei meccanismi del consenso, "Il potere dei senza potere" mostra allora la sua inquietante attualità.
La versione ufficiale racconta che Aldo Moro viene rapito il 16 marzo 1978 dalle Brigate rosse e che lo Stato rifiuta ogni tipo di trattativa con i rapitori. La conseguenza: l'ostaggio viene ucciso il 9 maggio. Nel corso degli anni però si sono rincorse le voci su un'altra trattativa politica e segreta, fallita in extremis. Più volte si è ipotizzato anche che il prigioniero possa essere stato ucciso non nella periferia di Roma, come dicono le Br, ma al centro della capitale, in quella via Caetani dove fu ritrovato il corpo. Per la prima volta attraverso queste pagine alcuni testimoni diretti, molto vicini alla vicenda, raccontano che il 9 maggio del 1978 lo statista democristiano doveva essere liberato, a seguito di un accordo. La Santa Sede, infatti, stava per consegnare ai brigatisti un riscatto di 25 miliardi di vecchie lire. Contestualmente, la Dc stava per esprimersi a favore di una trattativa umanitaria mentre il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, si apprestava a firmare un provvedimento di clemenza nei confronti di un terrorista in carcere. Ma, soprattutto, ci sarebbe stato il riconoscimento delle Br come soggetto politico da parte del governo della Jugoslavia del maresciallo Tito, leader dei Paesi non allineati. Via Caetani doveva essere dunque il luogo dello scambio ma divenne quello del delitto. Perché quell'accordo saltò?
Che cosa è la moralità? Si può forse portare la legge morale nella vita sociale, applicarla alle relazioni internazionali? E ammettendo che vi trovi posto, questo posto sarà il primo? Quando c'è conflitto tra la legge morale e la politica forse che la legge morale non deve dire l'ultima parola? Ecco il problema". Dal pensiero di Sturzo emerge fortemente il concetto della necessità di limitare il potere politico e la sua etica, per opporvi il perseguimento del bene comune e la difesa del valore della persona. Tutto ciò è indispensabile per evitare la crisi della democrazia: la crisi dell'identità unitaria dello spinto collettivo e l'abbandono di una finalità etica dello Stato. Apre questa raccolta di scritti di Sturzo, curata da Cecilia Dau Novelli, il celebre appello "Ai liberi e forti", scritto all'indomani della Grande Guerra, in un momento di grave incertezza politica. Non fu - come ha scritto Gabriele De Rosa, un documento ideologico di partito che parlava ai soli militanti, né segui le logiche interne alla vecchia opposizione cattolica, ma piuttosto un documento nuovo che venne rivolto ai cittadini dello Stato italiano - anche se sulla carta ancora sudditi del Regno - che avevano consolidato il diritto di cittadinanza e di voto con il sangue versato nelle trincee del Carso.
La costruzione dei quartieri popolari, il Progetto Fori, la consacrazione dell'estate romana e la metropolitana che unisce il centro con le borgate: il ritratto del politico che in soli due anni ha trasformato la Capitale. Il 7 ottobre del 1981 scompare Luigi Petroselli: il sindaco di Roma "morto sul lavoro come un edile", per citare le parole dei giornali del tempo. I suoi funerali diventano un evento senza precedenti. Vi partecipano politici e personaggi di spicco, tra cui il primo cittadino di Parigi, il conservatore Jaques Chirac, nonostante un'idea di città completamente differente. Petroselli vuole unificare il centro storico alle periferie, dove vive confinata un'umanità usata solo come forza lavoro. Così, infatti, erano in quegli anni le borgate della Capitale, paragonabili agli slum delle metropoli del Terzo mondo. Il sindaco "umile" lotta per ridare dignità e diritti a un'intera città. In soli due anni rivoluziona il tessuto urbano: con l'Estate romana riporta in piazza i cittadini impauriti dagli Anni di Piombo, avvia i nuovi lavori della metropolitana, parte con la costruzione dei quartieri popolari e progetta la chiusura di via dei Fori imperiali, per restituirla alla storia riallacciandola al parco dell'Appia antica. È un infarto a spezzare il suo sogno di città ideale. Ella Baffoni, giornalista de "l'Unità", e Vezio De Lucia, tra i massimi urbanisti italiani, ricostruiscono la figura e l'operato di Petroselli a trent'anni dalla sua morte
Nei due decenni passati Mohamed El Baradei ha ricoperto un ruolo chiave nei conflitti più delicati del nostro tempo, mantenendo la propria credibilità di interlocutore sia nel mondo arabo sia in Occidente. Egiziano e strenuo oppositore del regime di Hosni Mubarak, nel 1997 viene nominato direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, rendendosi protagonista di battaglie diplomatiche in cui denuncia l’ipocrisia del regime di non proliferazione nucleare, l’assoluta non cooperazione dei servizi segreti, il continuo raggiro delle regole a discapito dei concordati, della diplomazia e della collaborazione dei Paesi in possesso di armamenti.
Quando necessario, nella sua veste di diplomatico, non ha esitato ad ammonire l’operato degli inglesi, degli israeliani e soprattutto degli americani: nel 2003 smentì clamorosamente la presenza di un piano bellico nucleare di Saddam Hussein.
Per i suoi sforzi nel controllo della prolificazione delle armi nucleari, El Baradei e la sua agenzia hanno ricevuto nel 2005 il Premio Nobel per la Pace.
Per la prima volta in un libro, racconta dei suoi dodici anni passati alla guida dell’AIEA: le discussioni avvenute prima dell’invasione americana in Iraq, tra gli ispettori Onu e Dick Cheney, Condoleeza Rice e Colin Powel. Le richieste di Mubarak, di Gheddafi, i difficili rapporti con Ahmadinejad, la ricerca di diplomazia con Siria, India e lo scontro lacerante con Israele. In questi giorni, mentre il suo libro è pronto per andare in stampa, El Baradei ha infiammato, con i suoi interventi, Piazza Tahrir e a lui si guarda come uno dei probabili candidati alle prossime elezioni presidenziali egiziane.
MOHAMED EL BARADEI
(Il Cairo, 17 giugno 1942) è un diplomatico egiziano. E’ stato per anni l’ambasciatore del suo Paese presso l’Onu. Ha studiato diritto all’Università del Cairo, dove si è laureato nel 1962. Ha proseguito gli studi a New York, nel 1974 ha conseguito un dottorato in diritto internazionale presso la New York University. Nel 1984 entra a far parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) fino a diventarne il segretario generale dal dicembre del 1997 al novembre del 2009. Dal 27 novembre 2002, assieme a Hans Blix, ha guidato gli ispettori Onu e dell’Aiea nell’ambito della risoluzione Onu 1441 per il disarmo delle armi di distruzione di massa. Nel 2005, per il suo impegno come direttore dell’Aiea, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace.
In sedici giorni avviene tutto. Avviene che quattro donne realizzate nel lavoro e negli affetti prima si scontrino, poi si conoscano e perfino si amino. Avviene, soprattutto, che il procuratore Del Campo venga a capo di un maledetto intrigo, in cui è difficile conciliare il senso della legge con il desiderio di giustizia. Il mistero si infittisce quando quella che sembra solo una torbida vicenda giudiziaria inizia a mostrare il volto terribile della corruzione politica, della criminalità economica e dell'ipocrisia ecclesiastica. Il procuratore Del Campo si rende conto di procedere su un terreno minato eppure avanza. Fino all'ultima pagina.
Ottaviano Del Turco, ultimo segretario del Partito socialista italiano, uscito indenne da Mani Pulite, finisce in carcere il 14 luglio 2008. L'accusa è pesantissima: da governatore dell'Abruzzo ha gestito un sistema di corruzione e tangenti fondato su un intreccio perverso tra politica, cliniche private e banche. Milioni e milioni di euro in cambio di rimborsi gonfiati e leggi vantaggiose. Ma il caso abruzzese non è una storia a sé. Nel grande business della sanità italiana nessuno vuole rinunciare alla sua fetta di torta: politici, dirigenti Asl, cliniche private, banche. La sanità rappresenta il capitolo di spesa più consistente nel bilancio di ogni Regione, un pozzo senza fondo a cui tutti vogliono attingere. Gli esempi, negli ultimi anni, sono tanti: dalla rete di lady Asl nel Lazio di Storace ai rimborsi truccati della casa di cura Santa Rita di Milano. Senza dimenticare l'ex-governatore siciliano Totò Cuffaro, condannato per favoreggiamento del re delle cliniche isolane in odore di mafia, Michele Aiello. Questa inchiesta ricostruisce passo dopo passo la storia della dissennata politica sanitaria abruzzese, dai tempi del "gasparismo" all'era Del Turco. E racconta un sistema malato, forse paradigmatico, che affonda le radici lontano nel tempo.
Questo libro avrebbe potuto chiamarsi "Il libro nero del Pd", ma forse avrebbe dato l'impressione di un brogliaccio qualunquista e antipolitico, come ce ne sono tanti. È invece un appassionato e amaro racconto di errori, di occasioni mancate, di false partenze che hanno caratterizzato la parabola e la crisi politica del partito. È un ragionamento che lascia poco spazio a illusioni e delusioni: il mancato ricambio di leader e dirigenti e l'assenza di prospettiva per le voci nuove hanno fatto risaltare ancora di più un clima interno torvo e velenoso. Il vivace dibattito dei cittadini e degli iscritti sul web è rimasto del tutto inascoltato. Lo Statuto del Partito democratico conta 11.225 parole, settecento più della Costituzione italiana. Sono state prodotte migliaia di pagine di documenti, programmi, statuti, manifesti, codici, regolamenti, carte dei valori e della cittadinanza alternativamente inutili o inapplicati. Una sovrastruttura normativa per coprire un vuoto di identità, organizzazione, coerenza, credibilità. La continua faida fra dirigenti Ds e Margherita, una guerra per bande, ha mostrato chiaramente che i militanti e i cittadini sono affezionati all'unità del partito molto più dei "colonnelli". A cosa porterà tutto questo? Alcune figure nuove stanno emergendo, e chiedono a gran voce una completa trasformazione: per constatarlo basta scorrere le pagine finali di questo libro. (Prefazione di Edmondo Berselli)