Daniel vive a Quarto Oggiaro, periferia di Milano. In famiglia il clima è teso, pochi soldi e continui litigi. Cresce nei cortili delle case popolari, ama il calcio e in campo è il più forte, tanto che a dieci anni gioca con la maglia dell'Inter. Le aspettative su di lui sono altissime, e non vuole deluderle. Ma quando, durante una partita, Daniel manca il goal decisivo, il sogno di diventare un calciatore famoso è infranto per sempre. Alle medie Daniel è un bullo temuto da tutti, carico di rabbia e aggressività. Sente che l'unico modo per guadagnarsi il rispetto è incutere paura e non temere niente, neanche di fare un colpo in banca. E infatti, lui le rapine arriva a farle per davvero, finché finisce al Beccaria, il carcere minorile. È considerato un ragazzo perduto, irrecuperabile. A segnare la svolta, l'incontro con don Claudio, il cappellano del carcere. Daniel viene affidato alla sua comunità, che accoglie i "ragazzi difficili", e lentamente impara a guardare le cose da una nuova prospettiva... Dall'autore di #disobbediente! e Viva la Costituzione, un'appassionante storia vera di rinascita, amicizia e amore per la vita. Età di lettura: da 11 anni.
Anna sta recitando una parte, ma non lo sa. O forse non vuole saperlo, perché altrimenti dovrebbe chiedersi chi è, e cosa desidera dalla vita. Del resto, ha due meravigliosi bambini, un padre che la adora e un marito chirurgo estetico che è appena diventato primario di Villa Sant'Orsola, la clinica privata di famiglia. Ha anche un amante, Javier, il papà spagnolo di una compagna di scuola del figlio: si incontrano due volte alla settimana in un appartamento che diventa subito uno splendido altrove, un luogo di abbandono. E allora, cos'è che non funziona? I nodi, si sa, presto o tardi arrivano al pettine. Il suo matrimonio, il suo rapporto con i figli, la reputazione della clinica: uno dopo l'altro, tutti i pilastri della sua esistenza iniziano a vacillare. Anna è costretta a fare ciò che non avrebbe mai immaginato: aprire gli occhi e attraversare il confine sottile che separa l'apparenza dalla realtà. Per scoprire che le ferite, anche se fanno male, a volte sono crepe dalle quali può entrare una nuova luce. Con lucidità e una scrittura che non concede niente alla retorica, "Le imperfette" getta uno sguardo su quel groviglio interiore che ci portiamo dentro, dove le bugie che gli altri ci raccontano si mescolano agli inganni dei nostri stessi sensi. Vincitore del premio DeA Planeta 2020.
E se Francesco d'Assisi fosse vissuto ai giorni nostri? Francesco ha diciotto anni e un grande fuoco che gli arde dentro. Non è capace di stare fermo un attimo e conduce una vita a cento all'ora, tra discoteche e ristoranti di lusso insieme agli amici. Grazie alla sua famiglia, non ha problemi di soldi e può avere tutto ciò che desidera. Francesco però non sa che cosa desidera. Forse sono le ragazze. Forse sono le corse in moto. Forse è semplicemente il divertimento puro. Ma se fosse qualcosa di più? Qualcosa che non riesce a vedere, mentre sfreccia per le strade della città, in sella al suo bolide? Sarà l'incredibile incontro con don G. a cambiare tutto e a spingere il ragazzo a rallentare, fino a fermarsi, per osservare ciò che gli sta attorno. Un mondo fatto di piccole e grandi sofferenze, di ingiustizie, solitudine, ma anche pieno di persone dal cuore grande, pronte a rimboccarsi le maniche per aiutare gli altri. Grazie al confronto con gli amici, Chiara e Ruf, Francesco deciderà così di mettersi in viaggio, percorrendo a piedi mezza Italia, per scoprire che cosa vuole e chi è per davvero. Dopo il "Ammare", i Pellai orchestrano un racconto senza tempo, dimostrando che la storia di Francesco d'Assisi è più moderna che mai. I Pellai ci regalano un romanzo in cui Francesco è un adolescente del nostro millennio. Pieno di dubbi, desideri, passioni. Pronto a sbagliare, ma anche a cambiare il mondo. Età di lettura: da 12 anni.
«Confesso, con Neruda, che ho vissuto. Ma mi corre l'obbligo di confessare anche che, alla mia veneranda età, molte delle cose per le quali ho vissuto mi appaiono fatte da una persona che aveva il mio nome, le mie fattezze, ma che sostanzialmente non ero io.» Inizia così questa specie di autobiografia, leggera come l'aria, fatta di frammenti di vita allegri e malinconici. Con pochi tocchi della sua inconfondibile scrittura, Andrea Camilleri allestisce una galleria di incontri, letture, ricordi ed emozioni, un'agrodolce cronaca dell'età che avanza. Perché «il tempo è una giostra sempre in funzione. Tu sali su un cavalluccio o un'automobilina, fai un bel po' di giri, poi, con le buone o con le cattive, ti fanno scendere».
Una storia piena di speranza, di amore, di attaccamento alla vita. Un inno alla resilienza.
Tutto comincia alle sei di mattina, in radio, dove due giornalisti assonnati si danno il turno. Lui sta cercando di svegliarsi con un caffè, lei sta correndo a casa dopo aver lavorato tutta la notte. E succede che nella fretta i due scambiano per errore i loro cellulari. Si rivedono qualche ora più tardi e da un dialogo quasi surreale nasce un invito al cinema, poi a una mostra, un aperitivo, una gita in montagna.
Francesca è bassina, impertinente, ha i capelli biondi arruffati e due occhioni blu che illuminano il mondo. È una forza della natura, sempre in movimento, sempre allegra: per questo la chiamano Wondy, da Wonder Woman. Alessandro è scherzoso e un po’ goffo, si lascia travolgere da Francesca e dall’amore che presto li lega. Con lei, giorno dopo giorno impara a vivere pienamente ogni emozione, a non arretrare di fronte alle difficoltà. E così, insieme, con una forza di volontà che somiglia a un superpotere, si troveranno a combattere la più terribile delle battaglie, quella che non si può vincere. Ma anche dopo la morte sono tante le cose che restano: due figli, un gatto, un bonsai, tanti amici e, soprattutto, una straordinaria capacità di assorbire gli urti senza rompersi mai. Anzi, guardando sempre avanti, col sorriso sulle labbra.
Non è una favola, quella di Alessandro e di Wondy. È però una storia piena di speranza, di amore, di attaccamento alla vita; un inno alla resilienza, quella da esercitare quotidianamente. Perché le storie più belle non hanno il lieto fine: semplicemente non finiscono.
«Dopo una serata tristissima e dopo una notte quasi insonne, sono uscito stamane di casa alle nove e sono andato a vedere se tra la posta di quell’ora ci fosse la lettera desiderata ed aspettata con una così terribile ansietà. Non c’era», scrive un disperato Gabriele D’Annunzio a Barbara Leoni, e continua: «Se alle cinque non arrivasse la lettera? Se io rimanessi tutto il giorno senza sapere nulla di te? Sarebbe orribile. Io non ci posso pensare senza terrore.»
Le lettere del passato ci parlano d’amore in modi e toni spesso diversi dai nostri. Hanno presupposti ormai a noi sconosciuti: la distanza, il segreto, l’attesa. Per gli amanti lontani è il tentativo di mantenere vivo un legame sfidando i chilometri e i tempi lunghi delle poste; per gli amanti vicini la lettera è invece il luogo in cui si confessano le paure, i bisogni, ciò che un tempo a voce spesso non si poteva dire. Per entrambi, vicini e lontani, dilatava con dolcezza i ritmi della comunicazione e quelli propri dell’amore.
Di fronte alla pagina bianca, l’amore epistolare si concretizzava in parole capaci di tracciare ogni fase del rapporto, ogni sfumatura di un sentimento complesso e mutevole. Ci sono lettere che raccontano l’amore coniugale, a volte illuminandone le crepe in superficie; altre ci parlano di un amore che si ferma sulle soglie dell’amicizia, sublimandosi in stima e rispetto; ci sono poi quelle infiammate di passione o avvelenate dalla gelosia, quelle dolorose della rinuncia, dell’abbandono, del distacco. Ciascuna è unica e singolare, rivelatrice: il prodotto inimitabile dell’incontro di due vite.
Guido Davico Bonino ci guida fra i meccanismi del sentimento amoroso sfruttando lo sterminato patrimonio di lettere di grandi personaggi italiani: nomi celebri come Luigi Pirandello, Giacomo Leopardi e Grazia Deledda o meno noti ma preziosi come Andrea Calmo e Cassandra Fedele, lettere di scrittrici e scrittori ma anche di politici e partigiani, compositori, cantanti e pittori.
Viverla con coraggio per sconfiggerla, sopravvivere per raccontarla: la malattia non trasforma solamente il corpo, ma spesso costringe a mutare abitudini, priorità, stile di vita, con il rischio costante di perdere parte della propria identità. Da questa idea nasce la medicina narrativa, che ha individuato nello storytelling un utile strumento terapeutico. Vivi due volte è una raccolta che nasce dalla campagna Viverla Tutta promossa dall’azienda farmaceutica Pfizer: per questo volume Scuola Holden ha selezionato 20 racconti autobiografici di persone che hanno sconfitto la malattia, 20 testimonianze che ci restituiscono i sentimenti e i pensieri di chi intraprende la difficile esperienza di un percorso di cura. Un libro che, pur raccontando la malattia, è attraversato dall’energia ostinata della vita.
"State per leggere undici storie d'amore molto diverse tra loro. Al centro di queste storie trovate le città, le case, gli oggetti, le persone, le famiglie, il lavoro, le immagini, gli uomini e le donne: i legami che durano per tutta la vita e quelli che segnano un momento di passaggio; le scelte accurate, le decisioni impulsive e le conseguenze di entrambe. Questa antologia nasce dal mio desiderio di leggere racconti inediti di dieci scrittrici italiane. A tutte loro ho fatto la stessa domanda: raccontami quello che hai amato. Le autrici erano libere di muoversi in qualsiasi direzione, bastava che la storia fosse vera. Per molte di loro - autrici di romanzi, saggi, reportage - dire 'io' era una novità quasi assoluta. Attraverso i loro racconti ho sentito che stavo cominciando a conoscerle. Per cominciare a conoscere qualcuno, devo vedere cosa gli provoca una reazione forte. Il modo più semplice è fare una domanda [...]. Se esiste un collegamento tra queste scrittrici italiane, è il forte senso dell'identità individuale: la maniera in cui sta sempre cambiando, unita alla consapevolezza che alcune parti di noi, nel bene e nel male, sono destinate a farci compagnia per molto tempo". (Violetta Bellocchio)
Reparto di neurochirurgia dell'ospedale Bellaria di Bologna. Caterina ha due anni e otto mesi. E un tumore al cervello. I suoi occhi grandi e bruni ti guardano sempre dritto e ti catturano. Come si attraversa un dolore come questo? Occorre stringere la propria ansia dentro di sé e combattere. Caterina viene operata. Muove poco il braccio e la gamba sinistra, non riesce a stare seduta, l'occhio sinistro ha uno strabismo convergente. Ma, nonostante tutto, è viva. Dopo i "cento metri" dell'operazione, comincia la "maratona" della chemioterapia. Lorenzo la corre con lei, corre attraverso il dolore e l'angosciosa incertezza del futuro. Eppure il futuro è ancora una storia che si può immaginare. In una sequenza di sliding doors che si intrecciano con la storia della malattia, Caterina è adolescente e poi giovane donna, va all'università, si laurea, trova un lavoro, si sposa. Il futuro di Caterina, Lorenzo l'ha scritto in questo libro: per sopravvivere, per rendere omaggio alla vita, per non dimenticare, per guardare avanti.