Una montagna alta 44.000 miliardi di dollari. A tanto ammonta il debito pubblico mondiale, ovvero quello contratto dagli Stati, nel 2017. Se a questo aggiungiamo il debito privato dei cittadini, delle famiglie e delle imprese, si raggiunge la cifra di quasi 200.000 miliardi di dollari. Il pianeta Terra può dirsi in bancarotta. Con l'avvento del modello neoliberale, la finanziarizzazione del capitalismo ha investito l'economia, la società, l'ecosistema e l'intera vita delle persone, con la necessità di mettere a valore l'intera esistenza. Per raggiungere tale obiettivo la trappola del debito è particolarmente funzionale sia in termini economici, sia come nuova narrazione della storia e del disciplinamento della società. La trappola del debito porta con sé la forza egemonica di una visione compiuta del mondo, ma anche la tragica realtà di un impoverimento di massa scientificamente praticato. Demistificarne la narrazione, mettendo in campo il ripudio del debito, e praticare con le lotte sociali la definanziarizzazione della società, attraverso la riappropriazione sociale della ricchezza collettivamente prodotta, sono le strade che dobbiamo iniziare a percorrere.
All'interno del complesso, incerto e contrastato scenario economico e politico attuale, il libro analizza il fenomeno del suprematismo e del terrorismo bianco che investe tutti i paesi occidentali. Vengono accuratamente ricostruite le caratteristiche di questo fenomeno, attraverso l'analisi delle sue basi storiche, economico-politiche, culturali e ideologiche, delle narrazioni retoriche delle forze politiche conservatrici e di destra, delle trasformazioni indotte dal neoliberismo. Ne emerge un mondo apocalittico e dispotico che affonda le proprie secolari radici nel colonialismo e nella nascita del capitalismo. D'altro canto, il suprematismo bianco è insito nella costituzione e nelle politiche dell'
immigrazione degli Stati Uniti, "faro della democrazia globale". Se negli anni Sessanta i movimenti sociali per i diritti civili hanno messo in discussione questo carattere fondativo della società americana, forme di razzismo e suprematismo continuano a essere istituzionalizzate nelle politiche del welfare e della sicurezza interna, in un mondo sempre più paranoico e classista.
Il documento, corredato da un ampio apparato di note che ne favorisce la comprensione, ricostruisce, fase per fase - dal biennio 1968-69 alla metà degli anni Ottanta - i convulsi mutamenti del contesto storico-politico del nostro paese, permettendo al tempo stesso di entrare all'interno di dinamiche ancora oggi sconosciute della complessa storia delle Brigate rosse. Soprattutto il lento ma inesorabile dissidio tra la componente dei suoi fondatori storici imprigionati da anni e la direzione esterna. Dissidio insanabile che, dopo il tragico esito del sequestro Moro, sfocerà in una serie di scissioni e poi nella dissociazione e nel «pentimento» da parte di molti dei suoi militanti, preludio all'esaurirsi di quel progetto politico rivoluzionario.
Di fronte alla crisi dello Stato-nazione assistiamo a un nuovo «protagonismo» delle metropoli. La città diventa metropoli globale non solo quando supera il milione di abitanti, ma quando gli interessi economici prevalgono sul controllo politico; quando nuovi «soggetti urbani» subentrano ai cittadini; quando nasce il dualismo tra centro e periferie e la lotta al «degrado» viene utilizzata per favorire le speculazioni; quando la storia della città diventa brand per le agenzie del turismo globale; quando la «valorizzazione» delle vecchie borgate aumenta il costo della vita e fa impazzire il mercato immobiliare. Ma la metropoli si scopre viva nelle pratiche di resistenza urbana, nell'innovazione sociale «dal basso», persino nei conflitti, spesso ignorati in periferia ma duramente repressi nella vetrina del centro storico. In transizione verso una forma-ibrida che modifica il concetto di cittadinanza, la metropoli oggi è senza voce. Non più fabbrica, non più macchina, non solo supermarket, spesso lunapark: il libro ne tratteggia gli elementi essenziali dal punto di vista socio-economico e culturale, illuminando il percorso che porta alla progressiva abolizione della città pubblica.
Cambiamento climatico, crisi degli ecosistemi, inquinamento, esaurimento delle risorse, collasso ambientale: gli ultimi giorni dell'umanità potrebbero essere quelli di massima potenza di Homo sapiens, quando l'essere umano avrà forse compiuto il suo progetto di dominio sul cosmo distruggendo la natura stessa e le condizioni della vita sul pianeta. Quest'epoca, dove a rischio è l'esistenza di tutti i viventi, è stata da molti identificata con una nuova era geologica: l'Antropocene - l'epoca dove per la prima volta gli esseri umani sono una forza della natura superiore alle altre, una forza capace di determinare il corso della storia del pianeta Terra. Il libro rende conto dell'esteso dibattito internazionale che ormai da alcuni anni ha assunto il paradigma dell'Antropocene come orizzonte a partire dal quale ripensare il presente e il futuro della vita umana, e non solo - dibattito che ha visto la pubblicazione di centinaia di volumi a cavallo tra diverse discipline: ecologia, ambientalismo, antropologia, sociologia e scienza politica. Partendo da un'analisi delle concezioni di natura di cui l'Antropocene è solo l'ultima, e attraverso le questioni principali poste dall'etica dell'ambiente e dalla filosofia politica, il libro analizza le politiche che sono state impiegate nell'ultimo decennio per fronteggiare i problemi posti dall'Antropocene, provando a immaginare un paradigma di azione basata su nuove forme di partecipazione individuale e pratiche collettive.
"Le piante viaggiano. Soprattutto le erbe. Si spostano in silenzio, in balìa dei venti. Niente è possibile contro il vento. Se mietessimo le nuvole, resteremmo sorpresi di raccogliere imponderabili semi mischiati di loess, le polveri fertili. Già in cielo si disegnano paesaggi imprevedibili. Il caso organizza i dettagli, per la diffusione delle specie ricorre a ogni possibile vettore. Non c'è nulla che non sia adatto al trasporto: dalle correnti marine alle suole delle scarpe. Ma la gran parte del viaggio spetta agli animali. La natura prende in prestito gli uccelli consumatori di bacche, le formiche giardiniere, le docili pecore, sovversive, il cui vello racchiude campi e campi di sementi. E poi l'uomo. Animale tormentato in continuo movimento, libero scambiatore della diversità. L'evoluzione ha il suo tornaconto. La società no. Il minimo progetto di gestione cozza contro il calendario delle previsioni. Come ordinare, gerarchizzare, imporre, quando a ogni angolo spuntano possibilità? Come conservare il paesaggio, gestirne il dispendio se si trasforma col passare degli uragani? Quale schema tecnocratico applicare agli straripamenti della natura, alla sua violenza? Al cospetto dei venti e degli uccelli rimane il problema dei divieti. La natura creativa condanna il legislatore a rivedere i testi, a cercare parole rassicuranti. [...] Cosa diventeremo se gli stranieri occupano le nostre terre? È questione di sopravvivenza...
"The perfect storm" è un'espressione diventata usuale nel linguaggio della finanza globale. Descrive perfettamente vicende che hanno come sfondo i commerci via mare e come protagoniste navi che affrontano tempeste reali. Imbarcazioni che, nonostante la tecnica costruttiva e le strumentazioni di bordo sofisticate, rischiano ancora oggi il naufragio, soprattutto se le cosiddette "commercial pressure" costringono un comandante a trascurare misure di prudenza in navigazione. Vite umane che vengono giocate per risparmiare qualche dollaro. Altrettanto devastanti sono i naufragi finanziari di società con migliaia di dipendenti che di punto in bianco crollano. Dal fallimento della compagnia coreana Hanjin al naufragio del cargo Bulk Jupiter, l'autore tesse un unico filo tra eventi all'apparenza così distanti: la degenerazione di un sistema più capace di distruggere ricchezza che di crearla. Ma il suo sguardo non si ferma rassegnato su chi paga il prezzo più alto, la sua pazienza ricompone un dispositivo di razionalità capace di proteggerci dalla furia delle tempeste perfette o almeno di evitarci di andarvi incontro alla cieca.
Questo libro intende offrire strumenti e visioni per interpretare l'Italia contemporanea. Dopo la lunga stagione del fordismo novecentesco imperniato sulla dialettica capitale-lavoro e quella del postfordismo basato sull'egemonia della micro e piccole impresa territorializzata, siamo oggi entrati in una nuova fase, quella dell'economia circolare, nella quale la nostra socialità è alla base della creazione del valore economico. In questo contesto cambia la relazione tra economia, società e istituzioni regolative. Non più la verticalità del fordismo che includeva con il welfare e i diritti, non più l'orizzontalità dell'economia diffusa che includeva con il fare impresa, bensì la circolarità tra il nostro essere, il nostro sentire, il nostro pensare, connesso senza mediazioni al grande gioco dei flussi globali, dove non è chiaro se il destino individuale e collettivo si configuri come ruota della fortuna o come ruota del criceto.
Gli enunciati politici o letterari hanno effetti sul reale: definiscono non solo dei modelli di parola o di azione, ma anche dei regimi di intensità sensibile. Generano delle mappature del visibile, dei percorsi di connessione tra visibile e dicibile, delle relazioni tra modi di essere, modi di fare e modi di dire. Definiscono variazioni delle intensità sensibili, delle percezioni e delle capacità dei corpi. In questo modo si impadroniscono degli umani qualunque, creano scarti, aprono derivazioni, trasformano i modi, le velocità e le traiettorie con cui tali umani aderiscono a una condizione, reagiscono alle situazioni, riconoscono le loro stesse immagini. Riconfigurano la cartina del sensibile facendo venire meno la divisione funzionale dei gesti e dei ritmi propri del ciclo naturale della produzione, della riproduzione e della sottomissione. L'uomo è un animale politico, perché è un animale letterario che si lascia sviare dalla sua destinazione "naturale" dal potere delle parole.
La filosofia «politica» è da sempre sospesa in un limbo fra il campo della filosofia e quello della scienza politica: qual è il suo statuto? quale il suo canone? come si differenzia da una storia delle politiche o da una teoria politica? esiste una specificità italiana nel praticarla?
Per dare risposta a tali questioni, è necessario operare un radicale spostamento di prospettiva: passare dalla «filosofia politica» a una «politica della filosofia». Perché la filosofia, checché se ne dica, è anzitutto una pratica: una pratica del sapere che produce significati, discorsi, forme di verità e falsità, istituzioni e da qui effetti sull’ambito sociale e della vita politica.
Per questo occorre anzitutto interrogare l’istituzione all’interno della quale avviene l’insegnamento di questa disciplina e che è la sede di validazione dei saperi filosofici: l’Università. Si scopre allora che l’Università non è affatto un luogo neutro di trasmissione del sapere filosofico, né è sempre stata la sede nella quale veniva praticata la filosofia. Si tratta tutto sommato di un’invenzione recente, la quale ha effetti di potere sui filosofi stessi e sulla pratica del pensiero. Effetti non positivi quando l’Università diventa un’istituzione del neoliberismo. Per questo alla filosofia oggi spetta il compito di fare politica.
Temporali e cimiteri, land art e insetti, volpi volanti e dèi del giardino. Poi migrazioni, vagabondaggi, erranza umana e vegetale. Architetture urbane e del paesaggio. Radici secolari. Talpe sovversive e cani randagi. Un libro lungo vent'anni che raccoglie il farsi del pensiero e della pratica di Gilles Clément, giardiniere, paesaggista e filosofo francese. Ritroviamo gli incolti, il meticciato, il terzo paesaggio, il giardino planetario e il giardino in movimento - temi cari all'autore e per i quali è oggi noto. Ma anche le nuvole, il bioma, Jean-Baptiste Lamarck e il posto degli umani nella biosfera. A tenere insieme tutto questo è Louisa Jones, curatrice del volume, e il pensiero stesso di Gilles Clément, a partire dalla filosofìa di una Terra intesa come vivente, sulla quale "la vita avanza seguendo un caos poetico, che si offre a tutti coloro che sono disposti a non chiudere gli occhi". Postfazione di Andrea Di Salvo.
Tra il pullulare di discorsi sul capitalismo avanzato spicca l'assenza di analisi sui corpi. Sono in tanti a focalizzarsi sul capitalismo cognitivo, trascurando il versante della produzione materiale sul quale si fonda l'economia della vita. Melinda Cooper e Catherine Waldby con questo libro colmano tale lacuna, mostrando come la bioeconomia si sia sviluppata a partire dalle capacità biologiche insite nei corpi stessi, e in particolare nei corpi delle donne. Tra i più fiorenti settori del capitalismo ci sono infatti quelli trainati dalle scienze della vita. Medicina riproduttiva e medicina rigenerativa hanno aperto nuovi mercati globali, la cui fonte di plusvalore coincide direttamente con le potenzialità generative dei corpi delle donne, ma non solo. Aumenta la domanda di oociti, uteri, sperma, placenta, sangue del cordone ombelicale, cellule staminali, embrioni. Spuntano cliniche specializzate in fecondazione assistita e maternità sostitutiva e agenzie intermediarie pronte a fornire questi materiali in vivo, dagli Stati Uniti all'India, passando per l'Europa dell'Est e la Cina. Ma chi sono i fornitori di questi materiali? Cooper e Waldby analizzano il lavoro riproduttivo e rigenerativo ai tempi del biopotere, focalizzandosi più che su questioni etiche e giuridiche sulle condizioni di vita di una manodopera "clinica" oggi globalmente diffusa, quando il capitalismo fa dell'appropriazione della vita una nuova frontiera di colonizzazione dietro la spinta di nuove tecnologie...