Don Pino Puglisi visto attraverso gli occhi di un ragazzino della parrocchia del quartiere Brancaccio a Palermo dove il sacerdote ha operato aiutando le coscienze a rifiutare la violenza mafiosa ed è stato ucciso il 15 settembre del 1993; la missione e il coraggio di un sacerdote umile che ha incarnato l'anelito di giustizia del Vangelo, un martire dei nostri giorni, letti attraverso le pagine di un diario: pagine semplici che attraverso la cronaca che fa un ragazzino di 13 anni, racconta la fatica di crescere in un ambiente difficile, in un periodo drammatico per la storia della Sicilia segnato dalle stragi mafiose di Capaci e di via D'Amelio ma anche la nuova coscienza civile generata proprio da quei tragici avvenimenti e la grande sfida che inizia nella vita di ciascuno quando sceglie da che parte stare. Età di lettura: da 11 anni.
Il libro racconta la storia di Federico Del Prete, commerciante ambulante ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 18 febbraio 2002. Per difendere la categoria dei venditori dei mercati, vessati e taglieggiati dalla camorra, Del Prete aveva fondato il Sindacato Nazionale Autonomo Ambulanti. Nonostante minacce e intimidazioni di ogni genere egli aveva denunciato estorsori e criminali e alla vigilia di un processo contro il feroce clan La Torre, il giorno prima della sua deposizione in tribunale, venne ammazzato. Del Prete fu un cittadino esemplare e coraggioso al quale lo Stato non seppe garantire protezione adeguata se non concedergli dopo morto la medaglia d'oro al valore civile. Questo libro, in una Italia di pavidi, di faccendieri, di corrotti e di collusi, restituisce per la prima volta la memoria di un uomo che seppe resistere e presenta l'azione di quanti, dopo la sua morte, si impegnarono efficacemente nella ricerca di esecutori e mandanti. Con una prefazione del magistrato Raffaele Cantone e una testimonianza di Gennaro Del Prete, figlio di Federico.
L'Italia è arrivata stremata ai titoli di coda del lungometraggio berlusconiano. Stremati, impoveriti, incattiviti gli italiani. Stremate le parole, logorate dagli slogan, ingozzate di significati impropri, traumatizzate dalle risse. Più il brutto diventa consueto, meno sembra brutto: vale per i paesaggi e vale per i discorsi. Eppure i discorsi corretti, le argomentazioni logiche sono l'ossigeno della democrazia. Proviamo a fare un elenco delle parole più ferite, più stanche, più tradite. Piantiamo dei paletti, come facevano gli antichi quando fondavano una città nuova. Proponiamo che il 2012 sia l'anno in cui il linguaggio riprenda fiato, con una specie di vaccinazione di massa dalle manipolazioni e dalle mistificazioni: per la politica un bagno di umiltà, per i cittadini un recupero di senso critico.
Ogni suicidio è il prodotto di una violenza implosa contro se stessi. L'assenza del conflitto che connota oggi le relazioni prossime fra genitori e figli, insegnanti e alunni, sembra trasformarsi in una violenza che i giovani indirizzano contro se stessi attraverso una molteplicità di condotte autodistruttive che nel suicidio rintracciano il game over. Il suicidio giovanile è la forma 'orrorista' di un'autoviolenza derivata da un'insufficienza di legami significativi che minano l'identità nel suo formarsi. È orrorista perché è finalizzata alla distruzione di quel corpo che si associa ad una finta costruzione del Sé sociale, mentre il nucleo più autentico della soggettività sfugge allo sguardo dell'altro ed ogni legame sembra essersi reciso irreversibilmente. Il saggio analizza la storia di tre giovani suicidi. Tre storie spezzate di giovani che non avevano imparato a difendersi stando dentro quel conflitto con l'altro significativo che consente l'affermazione della propria identità.