Ana Blandiana è una delle voci liriche rumene più suggestive: una fama letteraria accompagnata dalla rilevanza del suo impegno civile e costruita attraverso una serie di volumi di versi e prosa fantastica che hanno definito via via la sua personalità creativa. La sua opera è un'incessante meditazione sulla creazione artistica e sulla natura umana: la purezza e la caduta nel peccato, la morte e la sopravvivenza, l'amore come aspirazione all'assoluto e insieme fuga dalla materialità contingente conferiscono alla sua poesia una dimensione fuori dal tempo. Il suo obiettivo è una solenne semplicità, che pone al centro del suo cosmo cose mortificate, vilipese e disadorne, anche se vive e trepidanti come la misteriosa natura dei paesaggi rumeni.
"Ehi - questa è l'America all'inizio del XXI secolo dove perfino la disperazione sfoggia un catalogo patinato e la democrazia è finalmente diventata pubblica."
"Le mie poesie saccheggiano quasi tutto, timori, progetti, congetture e stupori, cercano prove di infedeltà, frammenti di ispirazione. Indifferenti alla sofferenza che descrivono, odiano tutto quello che amo, credono solo nella loro insularità."
È spesso una data, un’ora del giorno, una stagione, a dare l’avvio alle poesie di Philip Schultz, o un oggetto, una strada, una persona. Elementi di per sé insignificanti, fortuiti, ma che accendono la memoria, annullano le distanze, squarciano i veli di rimozione in un abbraccio liberatorio con il tempo. Gran parte della lirica di Schultz sembra scaturire dal bisogno di assecondare i ricordi che lo incalzano e lo assediano scagliandolo in un passato non riconciliato. Dettagli visivi, sensazioni tattili e il dolore ancora lacerante di affetti perduti si compongono alla fine in un insieme dove il passato è ancora vivo, e la lingua è sempre in tumulto e fortemente emotiva. Figlio di emigrati provenienti dai margini dell’impero russo agli inizi del XX secolo, Schultz ripercorre nelle sue poesie momenti e passaggi nodali della sua esperienza biografica: l’infanzia emarginata a Rochester (NY), la precarietà esistenziale degli anni giovanili nel corso della guerra del Vietnam, il senso di stupore e quasi di colpa per il successo inaspettato, giunto in età matura, insieme agli affetti familiari: «Non mi aspettavo di avere una famiglia;/ non mi aspettavo la felicità», confessa in una poesia. Il presente resta comunque «inabitabile» e il futuro «inequivocabile/ nel suo desiderio di sfuggirmi». La felicità appartiene forse ai figli che corrono insieme ai cani lungo l’oceano, «un posto magico», «un regno/ dove andiamo per sentirci umani,/ e essere grati».
Per un intero secolo, da quando, nel 1898-1900, Giosuè Carducci ne patrocinò la prima edizione a stampa, lo "Zibaldone di pensieri" di Giacomo Leopardi è assurto a simbolo del "frammento" per eccellenza. Quello che è da tutti considerato un capolavoro assoluto di prosa letteraria, è stato presentato da una lunga tradizione come un'opera volutamente asistematica, un flusso di pensieri senza ordine. A distanza di più di un secolo da quella prima edizione carducciana, il meticoloso e acuto lavoro critico-filologico di Fabiana Cacciapuoti ha portato alla luce l'idea di una grande opera per "trattati", di cui l'enorme mole di appunti raccolti nei quaderni null'altro rappresenta che l'immane lavoro preparatorio; un testo dotato di precise chiavi di lettura, organizzabile - se non compiutamente organizzato - a partire da ben definiti fuochi tematici. Una traccia di un simile progetto è contenuta nella lettera con cui Leopardi rispondeva, il 13 settembre 1826, al suo editore milanese Antonio Fortunato Stella, che gli aveva chiesto di comporre un dizionario filosofico alla maniera di Voltaire. Con un Preludio di Antonio Prete.
"Disloca, il punto d'osservazione, porta il pensiero fino all'orlo di una nuvola, e ancora più oltre, di là dal cerchio lunare: vedrai allora, in quelle lontananze, che niente della terra è cancellato."
A dare notorietà al grande autore piemontese furono alcune delle sue opere in prosa, rimaste tra i capolavori della letteratura italiana di tutti i tempi: da "Cristo si è fermato a Eboli" a "L'orologio". Ma come ha dimostrato la pubblicazione delle sue opere saggistiche, Levi fu artista eclettico e instancabile pensatore, che passava con estrema scioltezza dalla pagina alla tela, dal dibattito pubblico ai versi. La scrittura poetica infatti attraversa l'intero arco della vita di Carlo Levi, ed è strettamente intrecciata alla sua opera di prosatore e alla multiforme attività di pittore, politico e intellettuale. Egli stesso ne era ben consapevole, se nel 1963 scriveva a Giulio Einaudi: "II "Cristo si è fermato a Eboli" fu dapprima esperienza, e pittura e poesia, e poi teoria e gioia di verità... per diventare infine e apertamente racconto". Questo volume raccoglie in edizione integrale i suoi principali testi poetici, alcuni dei quali solo episodicamente apparsi su riviste o cataloghi di mostre o in antologie incomplete e filologicamente inadeguate. Si tratta di un materiale che, seppur talora disuguale negli esiti lirici, è tuttavia imponente per vastità e interesse e restituisce un tassello importante per la conoscenza dell'opera leviana, rivelandone un aspetto rimasto sempre in ombra.
L'esordio alla poesia di uno dei massimi studiosi di letteratura italiani. Una biografia interiore, estesa in un ventaglio molto vasto di registri, di toni, di misure, ma unificata dalla presenza forte della natura. Una natura percepita come lingua del paesaggio ma soprattutto come silenzioso mostrarsi delle cose, come movimento di apparizione e sparizione, come annuncio e declino, come fulgore e ferita. La presenza - dei viventi e delle cose confina, in questi versi, con l'ombra di un senso che sempre si ritrae, fluttuante tra l'impossibile e il metafisico. Temi e motivi propri dei libri teorici e critici di Prete (la luce e l'ombra, l'elemento stellare e lunare, la vertigine della parola) affiorano consegnati alla musica del verso. Il titolo è un omaggio al paesaggio salentino, da cui l'autore proviene, terra dove si possono incontrare quelle misteriose antiche pietre. E indica il senso della verticalità, della interrogazione estrema e in certo senso originaria che trascorre in questi versi.