"Come immaginare il futuro dell'Europa dopo un'invasione dell'Ucraina che l'ha costretta a interrogarsi sulla propria ragion d'essere e sul proprio ruolo? e quale può essere l'impegno della cultura in questo scenario?"
Questo libro segue la traccia lasciata da Marta di Betania che, nella tradizione evangelica, accoglie nella sua casa un ospite inatteso e straordinario. Marta non è solo colei che rassetta in cucina; Marta è il simbolo della vita attiva e a Marta quell'ospite rivela cose mai dette a nessuno. Come Teresa Batista, che accompagna i capitoli del libro, Marta è donna di amori e di guerre, di fedi e di scelte dove la donna del Medioevo celebra Dio e la propria personalità. Essere Marta vuol dire essere dentro le cose, esserne vittima oppure ordinatrice, caritatevole o vendicativa, ma significa anche essere colei che accoglie: l'impegno personale, le aspirazioni, il misurarsi con i molti disagi e con il rischio dei sentimenti. Il Medioevo non lascia molte alternative al grafico sociale della donna chiusa in ruoli subalterni o soltanto familiari. Invece esistono comportamenti femminili che eludono questa geografia e prendono la scena. Si tratta di vere protagoniste, donne famose, anonime o dimenticate, personaggi che letteratura, storiografia e poesia raccontano tra colori, voci e silenzi. Nell'immagine di copertina Vermeer dipinge Marta che offre il pane: è una donna che rappresenta, oltre il tempo, la vita attiva; è una donna che agisce, nutre, prega e s'impegna. Tutte le donne della storia sono modi di essere Marta e reggono il mondo. Nell'universo sociale così mutevole e difettivo la vita attiva si esprime nell'amore, ma anche nelle guerre, nelle rivalità per il potere, nella gestione della carità e delle accoglienze, nelle devozioni e nei tradimenti. La vita febbrile e la facile morte: sono le due estremità di un segmento di esistenze dove regine, devote e assassine, affiancano le solitudini drammatiche di principesse emarginate, e le donne virtuose e sapienti, monache o laiche, non si meravigliano ai licenziosi abbandoni di chi segue l'illusione di sentirsi diversa per non essere inquieta. Marta opera in un teatro di scene incessanti dove si muovono indimenticabili fisionomie di un modo d'essere donna nel Medioevo.
Sulla scia dei numerosi storici che nel corso dei secoli, con esiti naturalmente assai diversi, si sono posti lo scopo di scrivere la storia del proprio tempo, Massimo L. Salvadori in questo saggio ricostruisce le vicende che dall'avvento del governo di Margaret Thatcher in Gran Bretagna e della presidenza di Ronald Reagan negli Stati Uniti e dal profilarsi della crisi strutturale culminata nel crollo dell'impero guidato dall'Unione Sovietica giungono ai giorni nostri. Un quarantennio che, in un quadro segnato dalle accelerate trasformazioni provocate sia dagli straordinari progressi scientifici e tecnologici sia dalla globalizzazione dell'economia, ha dato un nuovo volto alla storia del mondo. Caratteristica precipua del secolo XX è stata infatti la rapidità dei mutamenti in ogni settore dell'attività umana: senza precedenti per quantità e qualità. Si è assistito a radicali sconvolgimenti, poi a guerre e rivoluzioni che hanno ridisegnato in maniera profonda la mappa geopolitica, la dislocazione della potenza politica, economica, militare degli Stati e delle alleanze tra di essi. La fine della guerra fredda aveva suscitato negli Stati Uniti l'illusione che al grande scontro epocale potesse seguire una globalizzazione politica posta sotto il segno della democrazia liberale e da una globalizzazione economica ispirata ai principî del capitalismo, entrambe sotto la tutela di quella che nell'ultimo decennio del secolo si presentava come l'unica superpotenza. Ma la «globalizzazione democratica» ha fallito, e anche quella economica, dopo un primo periodo di successo, è entrata in una fase involutiva. Un grande libro di scenario, necessario più che mai in un momento come quello attuale, per comprendere come le vicende geopolitiche degli ultimi quarant'anni abbiano condotto a una nuova recrudescenza dello scontro tra due blocchi, e come l'Europa abbia in larga parte mancato la sua funzione storica di unione e di pace.
L'Italia è il paese del sole e del vento, perché allora dipende così tanto dalle fonti fossili, che paga a caro prezzo in periodi di crisi come questo? È come se un paese ricchissimo di mari e bacini di pesca invece di investire in pescherecci e canne da pesca si ostinasse a importare il pesce a carissimo prezzo dall'estero. Se la Norvegia è arrivata al 66% di energia da fonti rinnovabili (eolico e fotovoltaico), perché noi siamo appena al 16%? Non solo abbiamo il bisogno di produrre energia senza emettere sostanze inquinanti e gas che alterano il clima, ma dobbiamo anche sprecarla il meno possibile. Accompagnare l'elettrificazione dei consumi, là dove possibile, con la produzione da fonti rinnovabili è la via maestra per lo sviluppo sostenibile, economico, ambientale e sociale. Le sofferenze insegnano, amava ricordare lo storico greco Erodoto, e purtroppo l'umanità sembra aver bisogno della pedagogia delle catastrofi. Già prima dell'invasione dell'Ucraina sapevamo che le fonti rinnovabili erano il futuro per almeno tre motivi fondamentali: la riduzione dell'inquinamento dell'aria e quindi la salute, la riduzione delle emissioni e quindi la lotta al riscaldamento globale, e la convenienza di prezzo.
Nella tradizione culturale europea, la pazienza è una virtù fondamentale, anche se minore, che i Greci accostavano al coraggio e il pensiero cristiano alla speranza e alla carità. Oggi, quello che già Georg Simmel chiamava il «ritmo impaziente della vita moderna» sembra farne una nozione del tutto inattuale. Tuttavia, essa può rivelarsi una risorsa quanto mai preziosa, come emerge dalla riflessione sul rapporto dell'essere umano con il tempo e con l'attesa che Andrea Tagliapietra conduce in queste pagine. La pazienza s'inscrive nel tempo del corpo, fatto di lentezza, vulnerabilità e mortalità. Essa fa emergere il significato del corpo come fondo biologico dell'uomo nel suo essere animale. Allora, accanto al discorso «umano, troppo umano» della filosofia, ecco l'urgenza di guardare allo specchio del mondo animale e di prendere in considerazione quelle «icone del pensiero» che, nell'arte, esprimono la metafora animale in continuità con il genere umano. Si scopre così che, nella pittura europea, l'immagine della pazienza è stata spesso affidata a una specie animale che da sempre accorda i propri passi a quelli dell'uomo. Nell'arte i cani fanno la loro comparsa come silenziosi dettagli. Di essi quasi non ci si accorge, tanto la loro presenza risulta consueta e comune. Eppure spesso sono proprio loro a scandire il tempo della scena. Fondendo l'analisi filosofica e l'osservazione di oltre cento opere d'arte, l'autore rivela l'attualità non antropocentrica della pazienza, intesa come strada per giungere a una piena responsabilità nei confronti del tempo vissuto, fondamento della relazione ospitale con gli altri esseri e presupposto indispensabile per abitare il mondo avendone finalmente cura. Da Dürer a Goya, da Bassano a Leonardo fino a Marc, Balla e Warhol, i cani del tempo ci conducono all'antidoto della più pura forma di pazienza, quella dell'attenzione per ciò che semplicemente accade, che è anche la più difficile da conservare nell'epoca impaziente e distratta in cui viviamo.
Come fu possibile che uno Stato liberale si consegnasse nelle mani di un dittatore? Di chi furono le responsabilità? Quali i disagi, quali le aspirazioni e le tensioni di cui il fascismo seppe approfittare? L'analisi di Luca Falsini rintraccia le radici di questo capovolgimento nelle inquietudini di inizio secolo, in una congerie di fattori - politici, economici e culturali - alimentati da una cultura nazionalista e imperialista esasperata poi dallo scoppio del conflitto. Furono anni gravati da fragilità economiche, da incertezze su come governare il passaggio da una società agricola a una moderna, con un ruolo di primo piano svolto dai partiti e dalle loro ideologie; con aggregazioni politiche che nascono e altre che muoiono, con diversi modelli di eversione, con pezzi dell'esercito che disertano e altri che flirtano con i sovversivi. Nuove pulsioni di cui il fascismo seppe farsi interprete meglio degli altri contendenti politici. I partiti di massa, accecati dalla conflittualità interna, persero la visione complessiva di quanto stava accadendo ed ebbero responsabilità importanti sulla mancata creazione di un fronte antifascista, ma le leve del comando erano altrove.
Importanti studi scientifici ipotizzano che il desiderio di viaggiare e di fare esperienze nuove risieda in un gene del Dna, il Drd4-7R. Ma non è necessario appellarsi a un fattore genetico per comprendere come la mobilità, l'esigenza di viaggiare sia un profondo bisogno di tutti. Lo abbiamo riscontrato durante i lockdown: improvvisamente ci siamo riscoperti runner incalliti, bisognosi di spazi aperti, amanti della natura, sostenitori dell'ambiente, ecologisti oltremisura. La verità è che noi, popolo vocato alla migrazione, non siamo mai riusciti a stare immobili: chi ha potuto non si è fermato, oppure è ritornato, o ancora è in attesa di andare come un velocista sulla linea di partenza. E ciò è vero per tutti i popoli, ancor più quando entrano in gioco esigenze di sopravvivenza. La mobilità come valore, come risorsa naturale, per chi si muove e per chi accoglie, per tutti noi che nasciamo «figli del vento»: è questo il faro che guida l'analisi svolta nel volume da Delfina Licata, grazie al lavoro e alle ricerche che da anni svolge per la Fondazione Migrantes. Prefazione di Andrea Riccardi.
Città fiorite, case ornate di ricami preziosi, università gremite e cinte da orti e frutteti odorosi, l'ingegno e la scienza al servizio della comunità, il sole e la pioggia fonti primarie di benessere e progresso, la guerra il ricordo sbiadito di un passato senza ritorno - non è il mondo sognato dalla generazione di Fridays for Future, ma l'invenzione visionaria, armoniosa e immaginifica cadenzata tra le pagine di un racconto folgorante scritto oltre un secolo fa. "Il sogno della pace" è una lettura spiazzante capace di ridare fiato alla speranza, come solo la letteratura può fare in tempi come i nostri di rinnovata furia bellica. Il viaggio onirico della giovane protagonista alla scoperta di un mondo ignoto e magnifico mette a nudo l'inadeguatezza e il logoramento del paradigma maschile fondato sull'uso della forza e della guerra; e lo fa senza bisogno di invettive, bensì mostrando agli occhi dei lettori la piana evidenza del suo contrario: un modello tutto nuovo inaugurato dalle donne che pone il sapere, la conoscenza, la cura di sé e degli spazi, e la convivenza pacifica, alla base dell'esistenza umana. Una lettura visionaria e inebriante, feconda di suggestioni per il nostro inquieto presente. Età di lettura: da 10 anni.
Vi è un protagonista che ha attraversato per mezzo secolo le vicende eversive italiane. Lo troviamo a fianco del presidente degli Stati Uniti e seduto al tavolo da poker con Buscetta, nella fondazione di una massoneria universale e tra i congiurati della Rosa dei Venti, vicino a Junio Valerio Borghese e in rapporti con vertici militari, della diplomazia e degli affari. È il principe palermitano Gianfranco Alliata di Montereale, uscito indenne dalle vicende penali che lo videro coinvolto a partire da quando il suo nome risuonò tra i mandanti della prima strage della Repubblica, l'eccidio di Portella della Ginestra, essendo stato il suo accusatore avvelenato per tempo in una cella dell'Ucciardone. Un'esistenza rimasta nell'ombra, su cui fa luce il saggio di Giovanni Tamburino, il magistrato che nel 1974 a Padova condusse l'inchiesta contro la struttura eversiva di stampo neofascista denominata Rosa dei Venti. Il volume attinge a una ricca documentazione inedita, custodita nell'Archivio storico della Camera, ad atti giudiziari, a fondi archivistici finora inesplorati.
Il Principe è probabilmente il trattato politico più letto al mondo ma anche uno dei più fraintesi: in qualche modo schiacciato sotto la leggenda nera che accompagna ancora oggi il suo autore. In occasione del quinto centenario, nel 2013, la Donzelli editore aveva pubblicato una prima edizione con testo a fronte in italiano moderno a cura di Carmine Donzelli, che aveva rivoluzionato la lettura del testo e riscosso grandi consensi in Italia e all'estero. A distanza di dieci anni, quell'operazione si sdoppia e si impreziosisce, dando vita a due diverse edizioni: una più agile, in cui il testo del Principe è accompagnato dalla traduzione in italiano corrente e da un nuovo commento e da un'introduzione appositamente pensati per un pubblico generalista. Nella presente edizione, assai arricchita rispetto al 2013, Gabriele Pedullà entra invece in profondità nel testo, esplorando la cultura che lo ha prodotto e rivelando un Machiavelli inedito. Giurisprudenza, medicina, teologia, astrologia, filosofia, teoria militare, pittura, scultura: tutti i campi della civiltà rinascimentale sono stati passati al setaccio per illuminare la teoria politica di Machiavelli come mai era stato fatto in precedenza.
«Cosa significa uguaglianza?» è la domanda da cui nasce questo volume, necessaria per avviare un discorso orientato alle possibili soluzioni piuttosto che al solo riconoscimento del problema. Oggi il nostro paese è lacerato da grandi disuguaglianze - territoriali, di genere, generazionali, economiche e sociali - che la pandemia ha reso più evidenti e ha ulteriormente aggravato. È per questa ragione che dobbiamo immaginare, avviare e diffondere percorsi in grado di garantire a tutti i cittadini la possibilità di svilupparsi pienamente, avendo accesso a condizioni di vita dignitose, per poter mettere a frutto il proprio potenziale. Questo volume raccoglie idee e possibili soluzioni, con l'intento di alimentare un dibattito sempre più urgente e di diventare una base comune di riflessione a disposizione di coloro che sul contrasto alle disuguaglianze vogliono o debbono cimentarsi. A partire da una sorta di lessico fondamentale dell'uguaglianza - da Bambini a Welfare -, un gruppo di pensatori, scrittori, intellettuali e professionisti, che si occupano dei temi relativi alle cause delle disuguaglianze, alle pratiche per contrastarle e per costruire una società più giusta, provano ad attribuire a ogni voce un senso nel composito mosaico socioeconomico e culturale dell'uguaglianza. Introduzione di Francesco Profumo. Prefazione di Giorgio Righetti.
Molto si è scritto sulla corrispondenza di Vincent van Gogh con suo fratello Theo, con il quale condivideva la passione per la pittura e che finanziò la sua carriera d'artista, accudendolo fino alla fine dei suoi giorni. Ben poco, invece, si sa delle tre sorelle Van Gogh: Anna, Elisabeth (Lies) e Willemien (Wil), che pure segnarono in vario modo la vita del pittore e contribuirono alla sua fortuna postuma. Attraverso l'analisi di lettere per la gran parte inedite, Willem-Jan Verlinden ripercorre le biografie delle sorelle Van Gogh, tre donne diverse per temperamento e destino, tratteggiando al contempo un quadro della condizione femminile tra la metà del XIX e l'inizio del XX secolo. Anna, la sorella maggiore, ligia alla rigida mentalità protestante dei Van Gogh, ebbe un rapporto burrascoso con Vincent, disapprovandone i comportamenti ritenuti contrari ai valori familiari. Lies intrattenne una scandalosa relazione con un uomo sposato e coltivò le sue aspirazioni letterarie, ma, caduta in povertà, fu costretta a vendere molti dei dipinti del fratello per sopravvivere. Fu però con Willemien, la sorella minore, che Vincent intrattenne il rapporto più stretto, uniti nell'amore per l'arte e per la letteratura.