«Gli immigrati sono troppi». «Hanno tutti il telefonino». «Sono tutti terroristi». «Ci rubano il lavoro». «Non pagano le tasse». «Basta salvataggi in mare». Sono alcuni dei luoghi comuni e delle fake news che si ascoltano per strada o si leggono sui social o sui giornali e che contribuiscono a definire l'orientamento dell'opinione pubblica. Le storie vissute dai migranti, raccontate - come avviene in questo libro - da chi li incontra quotidianamente, contribuiscono a sfatare le dicerie, presentando la realtà dei fatti e le reali dimensioni dei fenomeni. Un contributo che, a partire da chi frequenta direttamente o indirettamente luoghi di incontro e condivisione con i migranti, può aiutare a comprendere meglio le persone oltre i pregiudizi.
«Anche nei momenti in cui l'uomo tocca il fondo e rasenta il confine con l'essere bestia, c'è sempre un foro di luce dal quale è possibile vedere la speranza di ricominciare da capo». Questo libro racconta storie di persone che hanno sbagliato per i motivi più diversi: l'educazione (non) ricevuta, l'ambiente di vita, il miraggio dei soldi facili, gli eventi traumatici improvvisi, le violenze domestiche, i momenti di rabbia o di follia, l'incapacità di uscire da situazioni infernali. Ma racconta soprattutto storie di donne e uomini che hanno avuto la possibilità di un riscatto morale, civile o spirituale, grazie alle pene alternative al carcere, al conforto di chi ha dato loro fiducia e le ha considerate innanzitutto persone, alle famiglie che hanno saputo aspettare e offrire loro una ragione di speranza, alle comunità che le hanno accolte senza giudicare, a chi ha saputo offrire loro la possibilità di un lavoro e di sentirsi utili.
«No, non è correndo, non è nel tumulto delle folle e nella calca di cento cose scompigliate che la bellezza si schiude e si riconosce. La solitudine, il silenzio, il riposo sono necessari ad ogni nascita, e se talvolta un pensiero o un capolavoro scaturisce in un lampo, è perché l’ha preceduto una lunga incubazione di vagabondaggio ozioso».In questo breve testo degli anni Trenta Jacques Leclercq celebra le dolcezze e le virtù dell’indolenza e della lentezza, fondamentali per poter pensare, ammirare e rendere la nostra vita propriamente umana.
Sommario
Elogio della pigrizia. Supplemento all’elogio della pigrizia. Nota di lettura. Virtù della lentezza (E. Pace).
Note sull'autore
Jacques Leclercq (1891-1971), moralista e sociologo, è stato canonico e professore all'Università cattolica di Lovanio. Nel 1926 ha fondato e diretto la rivista La Cité chrétienne. Ha inoltre partecipato alla fondazione dell’École des Sciences politiques et sociales e della Société d'Études politiques et sociales.
Tra le sue opere: Leçons de droit naturel (5 volumi, 1927-37); Essais de morale catholique (4 volumi, 1931-38); Introduction à la sociologie (1948); La philosophie morale de St. Thomas devant la pensée contemporaine (1955); Du droit naturel à la sociologie (2 volumi, 1960), Le révolution de l'homme au 20e siècle (1963); Croire en Jésus-Christ (1967); Où va l'Église d'aujourd'hui? (1969).
Questo testo risale al 1967, anno in cui Perec entra a far parte dell'OuLiPo, l'opificio di letteratura potenziale, con Raymond Queneau, Jacques Roubaud e Italo Calvino.
La forza di rottura che il free jazz – o new thing – porta nello stallo e nella stagnazione che seguono la morte di Charlie Parker, consente all'autore di chiarire questioni che riguardano soprattutto i problemi della scrittura.
Il contributo di Perec – osserva Paolo Fabbri – potrebbe smussare il duro giudizio sull'esoterismo delle avanguardie pronunciato dal grande storico del Novecento Eric J. Hobsbawm, secondo il quale il jazz e il cinema, più del cubismo e delle ricerche musicali dotte, hanno rappresentato le esperienze estetiche più ricche di senso per gli uomini del XX secolo.
sommario
La cosa. Nota di lettura. Un gioco esemplare di vincoli e libertà (P. Fabbri).
note sull'autore
Georges Perec (1936-1982), scrittore francese, si impone con il primo romanzo Le cose e nel 1967 entra a far parte dell'OuLiPo divenendone ben presto figura di spicco. La sua opera principale è La vita, istruzioni per l'uso, nella quale descrive in modo metodico, tra ironia e pessimismo, le persone e le cose presenti e passate di un caseggiato parigino.
Paolo Fabbri, semiologo, ha collaborato per molti anni con Algirdas J. Greimas a Parigi e con Umberto Eco a Bologna. Ha insegnato nelle Università di Firenze, Urbino, Palermo, Bologna e in molti atenei europei e americani. È stato direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Parigi.
Alle origini della democrazia, nell’Atene di Pericle, solo al presidente della boulé, il consiglio cittadino, era consentito prendere appunti sulla sua tavoletta di cera. Gli altri membri dovevano parlare a braccio, per garantire la sorgiva sincerità del confronto faccia a faccia. Oggi, al tempo di Internet, si può comunicare tutto a tutti, in tempo reale, su scala planetaria, ma non c’è più nulla da comunicare di umanamente significativo e profondo. Si sono persi il contatto diretto, il linguaggio del corpo, il fatto e l’antefatto, il peso e la complessità dell’esperire umano. Tutto è semplificato, alleggerito, velocizzato. Basta cliccare. Ma l’uomo numerico è preciso e svuotato nello stesso tempo. È rapido, veloce, perpetuamente nomade o navigatore nell’oceano-pattumiera del web, ma sedentario. Vede tutto e non tocca niente. È frenetico e immobile nello stesso tempo, informato di tutto e concentrato su niente. Perché nella nostra società irretita, sempre interconnessa e fragilissima, Internet e gli altri innumerevoli media celebrano e consacrano la confusione fra valori strumentali a valori finali.
Sommario
Prologo. I. Il miracolo dell’«ordine sociale». II. Macchina e persona. III. Filosofia della miseria e miseria della filosofia. IV. Alienazione e relazione umana. V. La protesta che non propone. VI. L’atrofia della memoria come collante sociale. VII. La socialità fredda e superficiale. VIII. La nuova preghiera del mattino. IX. L’avvento degli uomini vuoti. X. Conversare con se stessi. XI. Lacrime di coccodrillo. XII. La realtà de-realizzata. XIII. Il nomadismo sedentario. XIV. Una sfida al momento perduta. XV. I nuovi esclusi. XVI. La vita interiore in pericolo.
Note sull'autore
Franco Ferrarotti, professore emerito di Sociologia all'Università di Roma «La Sapienza», direttore della rivista La Critica sociologica, è stato deputato indipendente al Parlamento italiano dal 1958 al 1963. Tra i fondatori, a Ginevra, del Consiglio dei Comuni d'Europa, ha assunto la responsabilità della divisione Facteurs sociaux dell’Ocse. Nominato Directeur d’études alla Maison des Sciences de l'Homme di Parigi, ha ricevuto il premio per la carriera dall'Accademia nazionale dei Lincei ed è stato nominato Cavaliere di gran croce al merito della Repubblica. Con EDB ha pubblicato: La religione dissacrante. Coscienza e utopia nell'epoca della crisi (2013); Rivoluzione e trascendenza (2013); La concreta utopia di Adriano Olivetti (22016); Scienza e coscienza. Verità personali e pratiche pubbliche (2014); Elogio del piromane appassionato. Lettura e vita interiore nella società digitale (2015); Al Santuario con Pavese. Storia di un'amicizia (22016); Il conte di Vinadio. Felice Balbo e il marxismo come eresia cristiana (2016), Attualità di Lutero. La Riforma e i paradossi del mondo moderno (22017).
Il mondo è caduto preda della "teologia" liberista dell’accumulazione e della crescita infinita, secondo la quale il mercato è onnisciente, onnipotente e onnipresente: conosce il valore di ogni cosa, può innalzare le nazioni o mandare in rovina intere famiglie. Nulla sfugge al suo potere di mercificazione e non gli mancano certo le dottrine, i profeti e lo zelo "evangelico" per convertire il mondo al proprio stile di vita.
Secondo il teologo americano Harvey Cox è necessario smascherare questa pseudoteologia e dimostrare che il modo in cui opera l’economia mondiale non è naturale né inevitabile, ma è plasmato da un sistema di valori e simboli globali, che diventano più comprensibili quando vengono interpretati come una religione.
Per Cox è dunque in atto una divinizzazione del mercato e tutti i problemi del mondo – crescita delle disuguaglianze, riscaldamento globale, ingiustizie causate dalla povertà mondiale – sono sempre più difficili da risolvere.
Don Chisciotte è un matto che fa ridere e un brav’uomo che commuove. Questa contraddizione ne costituisce la modernità fondamentale, un tratto paragonabile a una sola figura della letteratura europea: il principe Amleto di Shakespeare, anch’egli avvolto in un dilemma radicale. Mentre Don Chisciotte unisce illusione e dinamismo lasciandosi disarcionare ogni volta, la mente fine di Amleto scopre tutte le menzogne del mondo, ma non è in grado di agire come dovrebbe e come ritiene di fare.
Da quattrocento anni l’eroe di Cervantes ignora i confini, attraversa le frontiere e cavalca in quell’enorme spazio comune di ispirazione che è l’Europa, lo spazio in cui l’identità del continente si radica, contrapponendo alla violenza il viaggio delle storie narrate e recitate, dei quadri, della musica, delle idee e delle filosofie.
Tre temi fondamentali, affidati ad altrettanti studiosi del mondo moderno, per comprendere la vita di oggi e il suo futuro.
Con una nota di lettura di Gennaro Matino.
Un'immagine può uccidere? Può rendere assassini? Può essere considerata responsabile di crimini e di delitti?Dall'attacco alle Torri gemelle dell'11 settembre 2001 alle stragi dell'Isis il terrorismo si è impossessato dello spazio mediatico. La morte distribuita ciecamente e l'esibizione dei gesti più selvaggi vengono proposti, come in una performance, non solo ai governi e ai vertici militari, ma anche al pubblico inorridito e affascinato che guarda la televisione e naviga su YouTube. Le battaglie che si svolgono sugli schermi orientano i cittadini a pensare il visibile e l'invisibile come legami determinanti nell'analisi politica. Per questo è necessario prendere sul serio la formazione degli sguardi, comprendere che cos'è un'immagine, quali rapporti intrattiene con la violenza e quali possibilità le restano di offrire libertà a una comunità non criminale.
«Supponiamo di riuscire un giorno a spiegare meccanicamente l'insieme dei nostri comportamenti e delle scelte che riteniamo libere. Significherebbe la fine della moralità, della responsabilità e della vita sociale?». Fino alla seconda metà del secolo scorso eravamo convinti che i nostri atti fossero la conseguenza di libere decisioni. Biologia e neuroscienze dimostrano invece che alcuni dei nostri comportamenti, dei nostri sentimenti e delle nostre passioni sono determinati da fenomeni biologici oltre che da meccanismi sociali, psicologici e linguistici. Quando si scopre che una decisione è condizionata da uno scompenso ormonale, una disposizione genetica, un particolare contesto sociale o culturale l'idea che possiamo liberamente decidere dei nostri atti viene drasticamente rovesciata. Ma in un mondo interamente determinato possono ancora esistere libertà, vita sociale e morale? La tradizione etica di cui siamo eredi afferma che in assenza di libero arbitrio, non c'è nemmeno libertà, responsabilità e morale. È dunque possibile concepire una libertà diversa dal libero arbitrio? E pensare una diversa responsabilità e una diversa morale a partire dagli scenari e dai meccanismi che la scienza ci rivela?
In molti luoghi del nostro Paese la mentalità mafiosa si insinua nel modo di pensare comune. È la mentalità dei boss, delle donne di mafia e dei giovani in carriera nelle cosche, ma anche quella che si respira nelle relazioni, nelle parole e nei silenzi delle città. Piegate al raggiungimento degli scopi criminali dei clan, le regole «educative» criminali si impongono nelle comunità locali e insegnano il potere della forza, l'importanza di riprodurre modalità rigide e ripetitive di comportamenti sociali - come la riscossione del pizzo - mostrano che chi apprende, dopo essere stato messo alla prova, ottiene fiducia e fa carriera. L'educazione dei giovani criminali, allenati a collocare in secondo piano i sentimenti e l'amicizia, avviene sul campo, anche attraverso le condanne, pure feroci, di coloro che sbagliano, dimostrazioni lampanti che uno sparuto gruppo di persone riesce ad «ammaestrare» interi quartieri e intere città. Una vera e propria «pedagogia mafiosa» che si può contrastare solo con un'educazione alternativa.