“Maria di Nazaret, pur completamente abbandonata alla volontà del Signore, fu tutt’altro che donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna che non dubitò di proclamare che Dio è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo”.
(Paolo VI, Marialis cultus, 37)
Nel 2015 la Chiesa cattolica ha celebrato il cinquantesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II, che è stato una pietra miliare nella sua storia bimillenaria. Verso la conclusione di quell’evento, ispirati da ciò che si faceva e si diceva nell’aula conciliare, una quarantina di vescovi di varie nazioni si riunì nelle Catacombe di Domitilla per firmare ciò che al giorno d’oggi è noto come il Patto delle Catacombe, testo e progetto che presenta la missione dei poveri nella Chiesa.
Lo spirito del Patto delle Catacombe oggi traspare nei gesti e nelle parole di papa Francesco, dopo aver guidato alcune delle migliori iniziative cristiane degli ultimi cinquant’anni, non solo in America Latina, dove suscitò un’eco speciale, ma nell’intera Chiesa cattolica. Così, la sua testimonianza si è trasformata in uno dei segni più influenti e significativi del cattolicesimo del XX secolo.
Lo attestano qui, tra gli altri, gli interventi di Luigi Bettazzi, Stephen B. Bevans, Piero Coda, Jon Sobrino.
4 aprile 2014. Gianantonio Allegri, Giampaolo Marta e Gilberte Bussière (due preti fìdei donum di Vicenza e una suora canadese) sono missionari da tempo nel nord del Camerun, al confine con la Nigeria, zona infestata da Boko Haram. Quella notte vengono rapiti da un commando di terroristi. Costretti a trascorrere due mesi nella foresta, vivono un'autentica spogliazione: della libertà, prima di tutto; ma anche dei minimi conforti materiali, come il cibo, l'acqua, un tetto, un giaciglio. L'insperata opportunità - pur limitata ai primi giorni - di celebrare la messa, e poi la scelta di impegnare ogni giornata nella condivisione della parola di Dio e nella preghiera trasformano la loro prova in un autentico cammino di conversione. Lo racconta il diario che suor Gilberte riesce, clandestinamente, a compilare. Subito dopo la liberazione, vi annota infatti: "La vita fraterna eccezionale che abbiamo vissuto ci aiuterà a vivere il rispetto, la pazienza, la tolleranza, l'umiltà, la mitezza, la compassione e l'amore ovunque andremo a vivere".
L'esperienza della Chiesa d'Algeria negli ultimi cinquant'anni - ovvero dopo l'indipendenza del paese - ha molto da dire, nella sua singolarità, a chiunque si interroghi sulla testimonianza del Vangelo nel mondo contemporaneo, in particolare dove i cristiani si trovano in forte minoranza. La diocesi di Laghouat-Ghardaïa, nel Sahara, misura 2,5 milioni di kmq, ma conta poche decine di cattolici. Abitato come fosse una cattedrale, il deserto, al centro del racconto autobiografico di mons. Rault, diviene luogo santo di preghiera e di incontro spirituale con il fratello musulmano. Era lo stile dei monaci martiri di Tibhirine e del loro priore Christian de Chergé, al quale mons. Rault è stato legato da lunga e intensa amicizia e con il quale ha condiviso dalle origini il progetto della Ribât Essalâm, il "Legame della pace".
La figura del missionario che va all'avventura in luoghi sperduti fra popoli sottosviluppati, è ancora molto presente nell'immaginario degli italiani. Ma cosa vuol dire fare missione oggi? Don Felice Tenero dà un'ampia e appassionata risposta, che riflette la sua più recente esperienza di sacerdote fidei donum nella diocesi di Floresta, nel Nordeste brasiliano. Il ruolo dei laici, lo stile di chiesa "in uscita" - invocato dal primo papa latinoamericano, Francesco -, l'amicizia con i poveri e gli esclusi, la testimonianza-martirio in un mondo segnato dalla violenza, la difesa del creato dall'avidità e dagli abusi sono i grandi "spazi di vita" missionaria raccontati in queste pagine piene di passione per il Regno di Dio.
Una diocesi più estesa dell'Italia. Un impegno religioso e civile che dura da oltre 50 anni a fianco degli ultimi, gli indios, i lavoratori rurali, i senza terra. Un'opera, instancabile e quotidiana, in favore della giustizia, dei diritti e del rispetto del creato. Un'azione pastorale che gli è costata varie minacce di morte e addirittura un attentato, cui è scampato per miracolo (il missionario che lo accompagnava è rimasto ucciso). Oggi deve muoversi con la protezione di una scorta. I giorni di Erwin Kräutler, roccioso vescovo di origine austriaca da sempre impegnato in Amazzonia nella regione del fiume Xingu, ci restituiscono un'esperienza di Chiesa missionaria che annuncia il Vangelo della dignità e della liberazione per tutti, in particolare i poveri e gli oppressi. E che per questo mette a rischio la propria vita. In queste pagine, tumultuose come le acque del "suo" Xingu ma limpide di fede, dom Erwin racconta di sé, della sua gente, della sua passione per il Regno in mezzo alla foresta più bella del mondo, ai pericoli dei "seminatori di morte" che lo attaccano per il semplice fatto di "voler salvare l'Amazzonia per amore delle future generazioni".
La storia del cristianesimo in Cina, la "febbre cristiana" e i "cristiani culturali" di Pechino, la fede che conquista molti giovani nelle università si Shanghai e dintorni, la tensione tra la Cina e il Vaticano, il possibile dialogo tra il Regno di Mezzo e la Santa Sede per costruire una "società armoniosa"... Un cattolico cinese parla del suo Paese, della sua fede, della sua Chiesa: le sorprese non mancano. "Questo è un libro utile, che aiuta a spazzare via molti luoghi comuni, frequenti in chi guarda la Cina da lontano. Apre nuove prospettive alla solidarietà verso i cattolici cinesi, che continuano a vivere in una situazione non facile" (Agostino Giovagnoli)
"Nella casa del missionario ci vive il regno animale e il regno vegetale, scarseggia il regno minerale, come il platino, l'oro, l'argento. C'è però una perla. Ci credete? La perla sono io". Così si presentava il Beato Clemente in un articolo pubblicato negli anni venti del Novecento, quando viveva a Monglin in un capannone di fango e paglia, abitato da legioni di insetti, lucertole, granchi, topi e l'erba cresceva nel pavimento di terra battuta, persino sotto la sua branda militare. Ecco, questo libro tenta di penetrare nella personalità di un tipo così originale; e nella sua "spiritualità", anche questa originale e quasi all'opposto di come altri santi vivevano il cammino verso l'unico modello, il Signore Gesù Cristo. La Chiesa ha proclamato Beato Clemente Vismara, ma com'era possibile quando sia nel seminario diocesano di Milano, che in quello teologico del Pime, i superiori volevano mandarlo via perché era "indisciplinato" e "non adatto ai sacrifici di un sacerdote"? Quando poi aveva 86 anni, padre Clemente diceva: "E pensare che nella mia vita missionario ho fatto tanti sacrifici che bastano per una decina di preti". Il messaggio di Clemente è questo: "La vita missionaria è bella, solo se la si dona". Questo libro è scritto specialmente per i giovani alla ricerca di un ideale per spendere bene la propria vita. Come Clemente Vismara, se il Signore vi chiama, non ditegli di no: avrete una vita faticosa ma piena di gioia, per aver fatto "felici gli infelici".
Sobrietà, rispetto dell'ambiente, ritmi più lenti, relazioni più umane? Verso questi "nuovi stili di vita" molti credenti e non credenti camminano assieme da tempo. Ma, per un cristiano, questa può essere anche una scelta di fede? Certamente, risponde l'autoore. È l'ora di passare dal "primato della morale" al "primato della fede". Di attrezzarsi con una spiritualità che attinge a fonti bibliche ed ecclesiali, ma anche "trasversale, ossia di tutti, anche degli atei". Prefazione di Rosanna Virgili.
La cultura postmoderna, con il suo relativismo, appare agli antipodi del messaggio cristiano. Esistono dunque culture impermeabili per essenza al Vangelo? L’autore, che si dice «profondamente segnato dalla visione del Concilio Vaticano II», è convinto di no. E lo spiega appoggiandosi anche a un filosofo della postmodernità come Jacques Derrida, da cui trae intuizioni feconde per la stessa teologia sulla Trinità. Il suo argomentare, peraltro, non è meramente accademico. Padre Sivalon è un missionario, e l’interesse al postmoderno nasce dalla sua esperienza africana: là ha scoperto che «Dio è presente in tutte le culture». In esse siamo ormai abituati a scorgere i «semi del Verbo»; il postmoderno, però, con il suo carico di «incertezza» ci pare minacciare la «metafisica» che riteniamo indispensabile alla fede cristiana. E se l’incertezza fosse invece un dono? Se fosse il terreno su cui la fede fiorisce?... È proprio l’incertezza che meglio accoglie l'Amore che si svuota da sé.
In collaborazione con la rivista Missione Oggi.
Che intende dire papa Bergoglio quando sprona la chiesa a "uscire verso le periferie esistenziali"? L'espressione ha un'ampia gamma di possibili interpretazioni. Forte della sua conoscenza di lunga data - in quanto missionario e giornalista - di tante "frontiere" del nostro mondo e del nostro tempo, l'autore ci comunica in questo libro il suo sguardo: critico sul nostro sistema economico che genera esclusione, e vigile sul meraviglioso ma contraddittorio universo dell'informazione e delle nuove tecnologie. Non a caso padre Giulio vede nei viaggi di Francesco ad Assisi e Lampedusa la cifra del suo pontificato. Essi prefigurano una chiesa che si spoglia e si avvicina, non solo geograficamente, ai poveri. Una chiesa, soprattutto, che finalmente pensa sé stessa a partire dal mondo, non il mondo a partire da sé. "Ciò che evangelizza non sarà il fascino delle opere, né le promesse di sviluppo e di progresso, ma la fede del discepolo, a fianco degli ultimi".
Il card. Tagle affronta tre dimensioni fondamentali dell'esperienza cristiana: la Parola di Dio, spesso "annunciata" dai poveri più che proclamata dai biblisti; la dimensione comunitaria, che trova in Maria il suo emblema più eloquente; la missione alle genti, vista in Asia, continente di minoranza per la chiesa. L'autore fa ricorso a uno stile narrativo, in cui la riflessione teologica si coniuga felicemente con la freschezza della vita del pastore d'anime.