Non esiste, nella lingua italiana, un termine che possa rendere la parola ouatann, restituircene il carico di significato. Perché ouatann, per le popolazioni che abitano la terra tra il Mediterraneo e il Sahara, non è solo la patria, ma è un'intera tradizione condivisa, è una lingua, un sistema di valori, di abitudini e di gesti, un certo modo di intendere la vita. Tunisia, 2008. Malavita e politica hanno suggellato il loro patto, il malaffare regna incontrastato. Un villaggio vicino a Biserta si spegne lentamente, in silenzio, mentre i giovani si imbarcano per l'Italia. La felicità danza, inafferrabile, al confine tra cielo e mare. In una villa isolata sulla spiaggia si incrociano i percorsi di cinque sconosciuti: Rached, giocatore incallito e funzionario frustrato; Naceur, ingegnere ex galeotto che da un giorno all'altro ha visto la propria vita crollare; Michkat, inquieta avvocatessa affezionata al passato; Faiza, giovane sfuggente e focosa; Mansour, uomo violento dedito a una serie di traffici illeciti. Tutti uniti dallo stesso desiderio: quello di un futuro che si fa attendere, in un paese in cui la miseria di alcuni, il lusso sfrontato di altri e la paralisi dei valori comunitari hanno privato le persone di una dimensione essenziale: il senso di appartenenza alla propria patria. Ma per chi ci vive, in questa patria, anzi in questa ouatann, l'unico destino possibile è partire? Che ne sarà allora della memoria collettiva di un popolo?
Leggere Montaigne è come viaggiare, partire alla scoperta di paesi lontani insieme a un amico. Perché Montaigne, per tutti quelli che dal Cinquecento in poi lo hanno letto e inevitabilmente se ne sono innamorati, continua a essere questo: un consigliere, un insegnante, ma prima di tutto un amico. La distanza che sembra separarci da lui scompare quando ci accostiamo ai Saggi e scopriamo il loro stile spregiudicato, modernissimo, che scarta da un pensiero all'altro e tocca con straordinaria vicinanza gli aspetti più quotidiani della nostra vita. Lontano dall'idea di scrivere in modo sistematico, Montaigne è il primo a mettere se stesso al centro della propria opera, in uno spirito di intimità tra autore e lettore che si respira fin dalle prime pagine. E precisamente per questo - per l'importanza che accordano al singolo individuo, messo a nudo, e alla sua ricerca di un senso dell'esistenza - oggi i Saggi chiedono di evadere dai tomi in cui la filologia li ha relegati. Vogliono essere portati in metropolitana e in treno, letti andando al lavoro, gustati sul divano di casa, dopo cena, assieme a un bicchiere di vino. Proprio come se fossimo con un amico. "Coltiva l'imperfezione" raccoglie i testi che meglio presentano Montaigne come un uomo che, cosciente delle sue mancanze, coltiva la propria imperfezione come una ricchezza, consapevole che è proprio grazie a essa che può posare sul mondo il taglio unico del suo sguardo, che lo rende - come sostiene Sarah Bakewell - il padre nobile degli odierni blogger.
Parigi, novembre 2001. Alcuni giorni prima di uccidersi Lev Rotko racconta al figlio Pierre ciò che aveva ostinatamente tenuto nascosto per tutta la vita: il destino dei suoi genitori, Franz ed Elena, ebrei russi assassinati dai nazisti, e la sua fuga dall'Unione Sovietica nel 1953. Da questo momento l'esistenza di Pierre cambia, sconvolta da una penetrante brama di verità che lo spinge a ripercorrere la vita dei nonni e che gli chiede incessante: -Quali sono stati gli ultimi pensieri di Franz e di Elena?". Una rivelazione, dunque, che ha la portata di una deflagrazione: la guerra, che conosce così bene per averne scritto come inviato dai fronti più infuocati, questa volta si spinge fin dentro la sua vita intima, privata. E il demone che lo muove è tanto potente da rendergli necessario vivere un'esperienza analoga, per cui decide di recarsi in Cecenia, per scrivere un reportage. Un luogo che si rivela tragicamente perfetto per la dimensione drammatica che rappresenta. Attraverso un racconto dal respiro epico scorrono davanti ai nostri occhi la vita quotidiana in URSS, i massacri degli ebrei dell'Ucraina, la morte di Stalin, il terrorismo visto dalla prospettiva dei potenti e degli umili, l'attentato al teatro Dubrovka di Mosca. Mettendo in scena decine di personaggi, di luoghi, di epoche, Thierry Hesse trasforma la nostra attualità in Storia e la Storia in romanzo, sulla scia dei più grandi scrittori del Novecento.
Questa scelta di lettere dall'epistolario di Flaubert, vuole essere il tentativo di proporre la sostanza di una scrittura e di un pensiero. Ma, ancora di più, di tentare di costruire un ponte tra le due scritture. Flaubert ripete che nei suoi libri l'autore dev'essere assente, che ha orrore all'idea che Gustave Flaubert compaia, con le sue idee e le sue passioni, accanto a Emma Bovary o accanto a Salambô. Ma dice e ripete anche che nessun libro lo soddisfa in pieno, che non ha mai trovato il soggetto in cui darsi interamente, che sia in sintonia con il suo temperamento.