A distanza di diversi anni dalle pubblicazioni piu classiche e paludate delle Favole di Fedro, questa nuova edizione, particolarmente ricca e aggiornata, si caratterizza per una nuova, accattivante traduzione e un apparato di note molto ampio e scientificamente affidabile, che può soddisfare sia il lettore curioso, sia quello che desidera un approfondimento, sia lo specialista. La traduzione e le note sono state affidate a Lorenzo Montanari, traduttore esperto e filologo. È presente anche un'introduzione, curata da Paola Corradini, nella quale si affronta il problema dell'identità del favolista romano, argomento più volte oggetto di posizioni non sempre coerenti e univoche. La bibliografia è aggiornata agli studi più recenti.
Per le Epistole (e soprattutto per queste del I libro) "si potrebbe parlare di un carpe diem della sapientia": nessuna definizione meglio di questa (Alfonso Traina, 1991) si attaglia alla ricerca costante della saggezza, dichiarata da Orazio fin dalla I epistola al patronus che lo vorrebbe accanto a sé a Roma per dedicarsi ancora alla poesia lirica, a cui risponde: "non ho più l'età, non ho più lo spirito". Ora è giunto per lui il momento di fare un bilancio della sua vita allontanandosi dalla stressante confusione di Roma: solo la campagna, il ritiro nell'amata villetta in Sabina, nella verità di una vita sobria, attenta alle cose semplici, gli consente di ritrovare se stesso; solo qui, lasciandosi guidare giorno per giorno dalla sua filosofia alla buona, cioè dalla ricerca della saggezza, che è una sapientia a sua misura, egli potrà raggiungere quello che gli sta a cuore: l'equilibrio interiore, quell'aequus animus che è garanzia di autàrkeia, cioè di autonomia spirituale da ogni forma di dipendenza a di potere.
"lo, Edipo: il mio nome è noto a tutti". Così si presenta sulla scena il protagonista del capolavoro sofocleo, andato in scena ad Atene nella seconda metà del V sec. a.C.; e anch'esso, come il suo protagonista, è noto a tutti: non solo perché - a partire da Aristotele - l'Edipo Re è considerato il più canonico prodotto del teatro antico, ma anche perché nella vicenda di Edipo Freud ha visto il massimo paradigma dell'esistenza umana, combattuta fra orgoglio intellettuale e forze irrazionali dell'inconscio. Individuo e famiglia, famiglia e polis, razionalità politica e potenze sovrumane: questi sono alcuni dei poli fra cui si svolge, esemplare, la vicenda del re tebano, che della classicità ateniese costituisce, più che il coronamento, il doloroso e tormentato congedo.
L'interesse di Orazio per il genere letterario della satira, di cui egli è certo la voce più alta nel mondo romano, nasce da un'abitudine sviluppata fin dalla più tenera età grazie all'insegnamento del padre: osservare i vizi della gente per evitare di cadervi a sua volta. La reazione morale al costume corrente, che gli dovette sembrare particolarmente urgente nella Roma del suo tempo, lo portò così a scrivere i due libri delle Satire. L'insegnamento che ancor oggi ricaviamo da questa opera è quello del modus, il giusto mezzo tra gli eccessi: una sobrietà che è la cifra della vita dell'uomo Orazio ancor prima che del poeta.
"La guerra del Peloponneso" di Tucidide costituisce una delle più importanti opere dell'antichità, non solo perché il metodo esposto nel primo degli otto libri ha pesantemente influenzato tutta la storiografia occidentale, ma anche per la straordinaria lucidità con cui si pone l'accento sul diritto del più forte e sulla spietata logica del potere. Tucidide voleva, analizzando con precisione gli avvenimenti a lui contemporanei, insegnare ai politici del futuro ed evitare che commettessero errori simili a quelli compiuti allora.