"AI servizio di chi mi vuole" è l'immaginosa e generosa storia dell'assalto a un deposito di armi in Florida, tra giungle tropicali, casematte piene di munizioni, ragazze facili con soldati che fanno festa. Il protagonista è Ulisse Ursini, due metri di parà friulano con un debole per le minorenni, le missioni impossibili e le cause geograficamente lontane (che c'entra lui con Cuba?) ma profondamente vicine ai suoi ideali. Perché Ulisse non è un mercenario, ma un idealista che presta il suo coraggio e la sua passione per il combattimento a chi ne ha bisogno per salvarsi dalle dittature e dai soprusi contro la libertà. Il volume propone anche il racconto "Lupa in convento".
Quando nel 1985 apparve la prima edizione di questo "tutto Sbarbaro" a cura di Gina Lagorio e Vanni Scheiwiller, l'eco critica fu viva: l'opera poetica sbarbariana, che si poteva finalmente esaminare nel suo insieme, si confermava tra le fondamentali del Novecento. Aveva visto giusto Boine quando dalle colonne de "La Riviera ligure" aveva salutato in "Pianissimo" "una di quelle poesie su cui i letterari non sanno né possono dissertare a lungo, ma di cui si ricorderanno gli uomini nella vita loro per i millenni". Dopo Boine per i versi, fu Montale a giudicare nel 1920 la prosa di Sbarbaro nei "Trucioli", quel suo stile "di timbro inimitabile che si fa intendere anche attraverso il coro di cento altre voci".
In questo libro Maria Montesori si inoltra nel mistero di quel periodo in cui si organizza la mente. Definisce i caratteri, i limiti e le insospettate possibilità della prima forma della mente del bambino, quella mente assorbente che tutto riceve e ritiene, ma che di alimento ha bisogno per il suo sviluppo così come di alimento materiale ha bisogno il corpo.
"I saggi qui raccolti sono variazioni sul tema della frattura che si apre nell'esistenza e nella cultura quando l'essere umano non può aprirsi al mondo e quindi al presente. I vari tipi di crisi, dell'autorità, della libertà, dell'istruzione, persino del pensiero, sono riportati alla fondamentale lacuna dell'agire. Questa assume l'aspetto decisivo di una interruzione della tradizione. (...) Un aforisma di René Char fa da epigrafe ideale di questo libro: "La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento". Non c'è modo migliore di illuminare il paradosso tipicamente moderno, per cui ogni generazione, in una cultura educata nella storia più di ogni altra, dimentica le motivazioni di quelle che l'hanno preceduta." (Introduzione di A. Dal Lago)
Esiste un momento in cui le spese per la difesa militare di una grande potenza superano in ogni caso le risorse della sua economia? Se sì, allora si può dire che una legge storica è stata fissata: quella che regola, per ogni grande potenza, il meccanismo dell'ascesa e della decadenza. È questo l'argomento di Ascesa e declino delle grandi potenze , una delle opere fondamentali del pensiero politico del nostro tempo, insignita del prestigioso Wolfson History Awards. Dal 1500 a oggi (tale è l'arco di tempo preso in esame da Paul Kennedy), la regola è sempre stata rispettata. Gli stessi mutamenti economico-tecnologici, dall'epoca pre-industriale a quella post-industriale, trovano spiegazione nel bilanciamento tra i due fattori in gioco. La sfida passa, dunque, alle nazioni che dominano la scena attuale: Europa Occidentale, Giappone e, soprattutto, America. Verso il loro futuro, e gli equilibri che ne determineranno le sorti, convergono le linee di questo studio, offrendo una suggestiva chiave di lettura per gli eventi a venire.
Il teatro è sempre stato e resta una costruzione collettiva, in nessun modo riducibile alla semplice pagina scritta. Ciò che si vede sulla scena è il risultato del lavoro di drammaturghi, attori, registi, tecnici, scenografi e perché no - anche del pubblico. Proprio per questo motivo ogni testo teatrale si presta, a ogni ripresa, a letture fortemente di parte, a manipolazioni che ne arricchiscono i significati, mettendo in luce aspetti trascurati dalla tradizione. Sulla base di queste considerazioni, Umberto Albini affronta la "vita teatrale" nell'Atene classica prendendo in esame le sue componenti: attore e coro, maschere e costumi, macchine teatrali e attrezzi, edifici e festival, pubblico e, per quanto è possibile, musica e gesto. Sono le parti di un tutto in cui la cultura provoca un incontro complesso e "aperto" con la vita, facendo scaturire interpretazioni sempre nuove. La seconda parte del libro, dedicata ai testi e agli autori (Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane, Menandro), ripercorre il viaggio nella tradizione di alcuni tra i miti di fondamento della cultura occidentale. Completano il volume una guida bibliografica e un indice analitico.
Questo libro raccoglie gran parte degli articoli e dei saggi che Bazin ha dedicato al cinema, mettendo a fuoco alcuni nodi che ancora oggi - a quarant'anni di distanza - sono al centro della riflessione teorica. La prima parte del volume è dedicata al problema della rappresentazione, a spiegare il magico potere che ha il cinema di dare attraverso ombre e luci un "senso di realtà" ("ontologico" dice Bazin). Seguono una serie di scritti che approfondiscono i rapporti del cinema con le altre forme di espressione. Infine sono affrontati con ottica sociologica alcuni aspetti particolari, dall'infanzia all'erotismo, dalle figure di Bogart e Chaplin al western. Il libro si conclude con i saggi dedicati al neorealismo.
"Padre David", ha scritto Carlo Bo, "ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede gli ha imposto di cantarla tutti i giorni". E David Maria Turoldo ha continuato a cantare, fino all'estremo, come testimonia questo volume, che comprende le ultime raccolte "Canti ultimi" (1991) e "Mie notti con Qohelet" (1992). Da credente, ma senza rinunciare ai valori dello spirito laico cui è sempre rimasto fedele, ha costruito una altissima e appassionata meditazione su tre libri della Bibbia: l'Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici e il Libro di Giobbe. Da autentico poeta, Turoldo sa fondere nelle sue liriche il divino e l'umano, lo slancio lirico e l'intuizione teologica.
Questo libro di Bettleheim è diventato un classico delta psicologia, una pietra miliare nello studio della schizofrenia e in particolare di quella sua forma grave e precoce che è l'autismo. Bettletheim ha scelto, dalla sua esperienza di terapeuta, alcuni dei casi meno curabili: non ha voluto celebrare le vittorie della medicina, ma mostrare, nelle sue manifestazioni più virulente e radicali, l'essenza della malattia. Quelle che narra sono esperienze emotive e intellettuali profonde, attraversate da domande e da dubbi che coinvolgono chi cura e chi è curato.
L'enciclopedia si caratterizza per il taglio interdisciplinare: alla psicologia propriamente detta, illustrata nella molteplicità dei suoi orientamenti teorici e clinici, si affiancano la psicoanalisi, la psichiatria, le scienze umane (filosofia, antropologia culturale, sociologia, linguistica) e biologiche (dalla genetica alla neurofisiologia). Un'attenzione particolare è rivolta a discipline di punta come le neuroscienze e la psichiatria genetica. Altra peculiarità dell'opera è il costante ricorso, nelle singole voci, a brani originali della letteratura psicologica; tale metodo assicura la più ampia fedeltà alla storia e alla problematicità della disciplina e consente un contatto diretto con i testi originali.
"È un ragazzo onesto, sarà un buon marito per Milla...". Comincia così questo romanzo d'amore, vivo e appassionato, con personaggi veri, buoni e cattivi, allegri e tristi proprio come nella vita. Milla è una ragazza molto ricca, intelligente, buona e sensibile. Ha un solo difetto: è brutta. Ed è disperatamente innamorata di Martino, bello, povero e troppo onesto per sposarla per interesse. Martino è orgoglioso, vuole riuscire da solo: ma una mattina d'inverno, in un affollatissimo tram, decide di accettare la proposta dell'amico Filippo di aiutarlo a laurearsi, a patto che sposi Milla.