La Shoah occupa un posto centrale nella memoria comune. C'è però un abisso fra come la studiano gli storici e come ne parla il grande pubblico. Per questo Tal Bruttmann e Christophe Tarricone si propongono di definire con il più grande rigore scientifico termini e nozioni che, sotto vari aspetti, sono "fuorvianti". Chi sa per esempio che, da diversi decenni, gli storici utilizzano l'espressione "centro di messa a morte" piuttosto che "campo di sterminio"? "Shoah" e "Olocausto" sono strettamente dei sinonimi? Che cosa implica realmente il concetto di Lebensraum (spazio vitale)? Facendo il punto sul vocabolario, ma anche sui protagonisti, i luoghi e le fonti, queste 100 parole tentano di approfondire una realtà che nessuna parola può esprimere.
"Ciò che affermo è che questa testimonianza, che viene dopo tante altre e che descrive un abominio del quale potremmo credere che nulla ci è ormai sconosciuto, è tuttavia differente, singolare, unica. (...) Il ragazzo che ci racconta qui la sua storia era un eletto di Dio. Non viveva dal risveglio della sua coscienza che per Dio, nutrito di Talmud, desideroso di essere iniziato alla Cabala, consacrato all'Eterno. Abbiamo mai pensato a questa conseguenza di un orrore meno visibile, meno impressionante di altri abomini, ma tuttavia la peggiore di tutte per noi che possediamo la fede: la morte di Dio in quell'anima di bambino che scopre tutto a un tratto il male assoluto?" (dalla Prefazione di F. Mauriac)
"Tra il 1939 e il 1945, la Germania nazista, assecondata da molteplici complicità, ha sterminato circa 6 milioni di ebrei europei nel silenzio pressoché totale del mondo. Le è mancato solo il tempo per distruggere l'intero popolo ebraico come aveva deciso. Questa è la realtà cruda del genocidio ebraico, Shoah nella lingua ebraica. La decisione di "far scomparire" il popolo ebraico dalla terra, la determinazione di decidere chi deve e chi non deve abitare il pianeta, spinta alle sue ultime conseguenze, segna la specificità di un'impresa, unica a tutt'oggi, tesa a modificare la configurazione stessa dell'umanità."
"Memoria", "unicità", "mai più": moniti che dopo la Shoah vengono messi in discussione dal Ruanda del 1994, un genocidio dei nostri tempi, il primo della società globale. Il massacro di oltre 800.000 tutsi e hutu moderati non è mai stato un "conflitto tribale", come all'epoca qualcuno provò a definirlo, ma un genocidio che ripercorre molte delle modalità dello sterminio nazista degli ebrei, di cui è un "figlio maggiore". Dal cuore dell'Europa al cuore dell'Africa, la meccanica dei due genocidi si può confrontare in un percorso in venti "stazioni", con somiglianze stridenti e alcune differenze, comprese le responsabilità di una parte dell'Occidente che in Ruanda, cinquant'anni dopo la Shoah, si ritrova meno sicuro dei suoi antidoti politici e culturali che considerava acquisiti. Le due lezioni parallele sono un percorso a specchio ricco di riscontri inaspettati e inquietanti, che rende ancora più attuale la terribile lezione della Shoah e svela menzognee ipocrisie del nostro tempo.
Non sono molti a conoscere gli straordinari eventi accaduti a San Nicandro Garganico nella prima metà del XX secolo. Tutto iniziò quando Donato Manduzio, un invalido reduce della Grande Guerra, ebbe alla fine degli anni '20 una visione nella quale Dio gli comandava di portare la fede ebraica nella sua terra, e questo nonostante che Manduzio non avesse mai avuto contatti con l'ebraismo. Anzi, egli credeva che non vi fossero più ebrei al mondo. Pochi anni dopo, Manduzio aveva già i suoi seguaci e una piccola ma appassionata comunità di aspiranti ebrei. La loro definitiva conversione passerà attraverso la storia dell'Italia di quegli anni, incontrando l'opposizione del fascismo e della Chiesa cattolica che tuttavia non riusciranno a spezzare la volontà granitica della comunità di San Nicandro di appartenere al popolo ebraico e in seguito di emigrare in Israele. John A. Davis ripercorre una delle vicende più incredibili della storia contemporanea e, narrando l'epopea degli ebrei di San Nicandro, dipinge un ritratto assai accurato della società contadina del Sud Italia, del rapporto tra Chiesa, fascismo e mondo ebraico e della rete clandestina per l'emigrazione ebraica in Israele.