Presentazione
Nato nel 1931 a Buenos Aires, figlio di un emigrato dalla Galizia spagnola e di una madre india, l'argentino Adolfo Perez Esquivel per tutta la vita è stato un «combattente» della nonviolenza, un testimone della giustizia che ha pagato la coerenza delle idee con il carcere duro e con le torture.
Lì, nella cella stretta e buia detta "tubo", ha visto - scritto col sangue - "Dios no mata", «Dio non uccide», il cuore della sua fede disarmata. Esquivel non ha mai smesso di schierarsi con gli oppressi e i diseredati, "los de abajo", i tanti senza voce e senza volto del Sud del mondo. La sua vita, sofferta e avventurosa come un romanzo, è stata contrassegnata dagli incontri con profeti della nonviolenza come Lanza Del Vasto e Jean Goss e dalla vicinanza alla teologia della liberazione. Il suo impegno infaticabile è stato riconosciuto dal premio Nobel per la pace, nel 1980.
Nell'introduzione a questa prima biografia completa di Esquivel pubblicata in Italia, lo scrittore suo connazionale Mempo Giardinelli lo accosta a Thomas Merton, Gandhi e sant'Agostino: "Anche lui è un guerriero dello spirito, pacifista inflessibile e lottatore contro ogni ingiustizia e violenza, forse i mali più persistenti di questo tempo inquietante che ci tocca di vivere".
Figlio di ebrei tedeschi fuggiti dalla Germania nazista, nato nel 1942 e battezzato cattolico vicino al campo di concentramento calabrese dove i genitori erano stati internati, diventato frate nell'Ordine dei Servi di Maria, Lucio Pinkus si è laureato in psicologia e si è specializzato in età evolutiva e in analisi junghiana per poi diventare professore all'università di Roma. Da sempre vicino alle umane sofferenze e in particolare ai malati terminali - nel solco dell'agire terapeutico di Gesù - Pinkus è sempre stato un irregolare, un anticonformista, uno spirito libero dentro la Chiesa dell'obbedienza.
La sua vita è un'avventura che si intreccia con la storia d'Italia: dalla condivisione della vita degli immigrati in una borgata della periferia romana agli incontri con Turoldo, Balducci e La Pira, dall'amicizia con Adriano Ossicini e con gli altri indipendenti del Partito comunista al supporto psicanalitico ai terroristi rossi, dalla cura degli epilettici alla crisi con la sua famiglia religiosa e alla seconda vita che ricomincia in un piccolo monastero di Arco, vicino al lago di Garda, in un'inedita, controcorrente comunità mista composta da due frati e cinque monache. Sempre dentro una passione forte per l'uomo e per l'incontro personale, alla ricerca della vita felice.
«Raimon Panikkar non era una linea, è un cerchio». Con queste poche parole Francesco Comina tenta una definizione di uno dei più complessi e prolifici pensatori del nostro tempo. Il libro non è solo una introduzione alle affascinanti visioni e intuizioni di Panikkar. È molto di più. È un libro che intreccia i fili di un'amicizia nata venticinque anni fa ad Assisi e proseguita poi attraverso incontri, meditazioni, conferenze in varie parti d'Italia, scambi di idee, lettere e biglietti. Un pensiero, quello di Panikkar, che apre un nuovo discorso sull'uomo, su Dio e sul cosmo. Perché per salvare la realtà è necessario uno sforzo supremo per una metanoia radicale, cioè una vera conversione di mente, anima e corpo. Vanno rimessi in discussione gli ultimi seimila anni di esperienza umana, la ragione dev'essere disarmata, il tempo va riportato alla sua natura reale, alla sua tempiternità. Al posto dell'ecologia va maturata una ecosofia, che consideri la terra come parte del corpo. Più che la politica si deve inseguire l'orizzonte metapolitico. E poi il dialogo intra-religioso, l'inter-in-dipendenza, il non-dualismo, il principio trinitario, la sapienza dell'amore.
Ha quindici anni, Simone, quando il suo cuore si arresta, una mattina di ottobre alle 7.20, mentre va a scuola in motorino. E' Simo, è caduto. Da solo. Ma perché non si rialza?. Simone vomita, quelli dell'ambulanza spingono e lui convulsamente vomita un liquido rosso, non è sangue, è il succo di arancia rossa bevuto pochi minuti prima, con sua sorella, a colazione. Svegliati, Simone. Ma Simone non si è svegliato ancora. Sono passati 4 anni, da quella mattina di ottobre. E Simone non si è svegliato. Non si sveglierà. Storia di un ragazzo che suonava la chitarra e non amava la scuola. Storia di un ragazzo che aveva mille amici che, quattro anni dopo, continuano a stargli vicino, a parlargli. Non l'hanno dimenticato. Dopo 5 giorni senza vederlo, hanno nostalgia di lui. Continuano a dirgli: Svegliati Simone. Ad accarezzarlo, a fargli sentire le sue musiche preferite. Anzi, un po' meno rock di una volta. Storia di Gloria, la sua mamma che racconta la storia. Che respira (Non la voglio questa vita!) e piange (Non vedo più la città), che ride, lo cambia, lo bacia, non lo lascia andare. Sei un bel ragazzo, Simone. Non morire, Simone. Gloria non lancia messaggi, non fa prediche, non vuole insegnare niente a nessuno. Ma riconosce il miracolo dell'amicizia e della solidarietà cresciute intorno a Simone, che non si sveglia: Come spiegare alla gente che una persona in coma non è morta?
L'autore si trova a suo agio sulle frontiere, luoghi di incontro e scontro, luoghi rischiosi ma che lui giudica sempre originali e stimolanti: la frontiera italo-tedesca, innanzitutto, segnata da conflitti ma anche da creative mescolanze; e poi le frontiere dei non credenti, delle altre religioni, dei poveri, degli omosessuali, dei massoni, degli immigrati, dei malati, dei moribondi ...Ovunque egli trova segni della presenza di Dio e ricchezza di umanità. E dovunque egli porta la vitalità prorompente e singolare di un uomo di fede e di pensiero profondamente innamorato della vita e del Vangelo e felice di essere prete. All'età di cinquant'anni don Paul Renner ha scritto questa schietta e gustosa autobiografia per testimoniare gioiosamente la sua gratitudine a Dio e alle tante persone che gli sono "compagne, maestre, angeli custodi".