Scopo del lavoro è evidenziare la fede, la spiritualità e l'umanità del metropolita Andrea Szeptyckyj (1865- 1944) nel suo lungo ministero episcopale, come guida incrollabile per la Chiesa greco-cattolica e il suo popolo in un contesto socio-politico difficile; al contempo, evidenziare l'attualità della sua testimonianza per il popolo ucraino tuttora alla ricerca e all'affermazione della propria identità nazionale e ecclesiale nel seno della Comunità Europea. Con la sua l'esperienza di fede, con la sua saggezza e lungimiranza pastorale il metropolita, spendendosi generosamente senza risparmio, con la semplicità e la sapienza evangelica di cui era rivestito come pastore premuroso seppe vigilare e nutrire il suo gregge per farlo crescere nell'amore di Dio e del prossimo, preparandolo a resistere agli attacchi e alle persecuzioni che lo avrebbero colpito. Dalle lettere pastorali e dal suo magistero, dalle testimonianze della Positio promana la fede viva e salda del metropolita: è un legame intimo con Dio che lo chiamava alla santità e lo disponeva anche al martirio perché la Chiesa ucraina rimanesse unita alla Chiesa universale.
Nel 2017 sono state ritrovate le costituzioni di un Sinodo della chiesa di Napoli del 1941. I fatti bellici impedirono che queste venissero pubblicate, creando l'idea che fossero andate definitivamente disperse. Il ritrovamento ha permesso di poter consultare per la prima volta un testo di importanza notevole per la storia religiosa di Napoli in quanto fu l'ultimo Sinodo celebrato prima del Concilio Vaticano II. In questo libro, oltre alla trascrizione e traduzione del testo, si fornisce una ricostruzione dell'episcopato di Ascalesi ma soprattutto un'analisi delle costituzioni, attraverso un duplice confronto con i Sinodi precedenti di Napoli e con quelli celebrati in quell'anno in altre diocesi italiane. Attraverso queste pagine si potranno cogliere le peculiarità storiche e pastorali di una chiesa locale, il complesso rapporto con il regime fascista e il ruolo che essa ebbe nei difficili anni della guerra e della ricostruzione.
Una lettura al femminile della Dei Verbum 8 circa la Tradizione nella Chiesa. Il Concilio Vaticano II evidenzia la presenza di un approccio al femminile attraverso due donne del Nuovo Testamento. Da un lato Maria di Nazaret la cui caratteristica di conservare nel cuore le parole del Figlio indica la dinamica della Tradizione della Chiesa, dall'altro lato la donna della parabola matteana che mette il lievito in tre staia di farina, aspettando che tutta fermenti. Come mai, però, la "memoria" di questa donna è scomparsa? Proprio a partire dalla metafora della donna e del lievito si può passare a un significativo recupero del femminile nella Chiesa e a un affrancamento della donna da persistenti pregiudizi verso la riscoperta e il riconoscimento del ruolo della donna nella Chiesa.
Mentre si possono leggere studi interessanti sulla questione mafiosa da parte del mondo cattolico dagli anni 70 del Novecento a oggi, i primi cento anni di storia del rapporto della Chiesa con la mafia (1861-1965) rimangono ancora da esplorare. Il volume, che parte dall'Unità italiana al Concilio Vaticano II, vuole colmare, sia pur parzialmente e a titolo di stimolo per ulteriori approfondimenti storiografici, questa lacuna. L'intento è di entrare nella complessità di una realtà che si presenta molto variegata per capire, non per giustificare: in sintonia con la ricerca storica degli ultimi decenni che, sul fenomeno mafioso in generale, ha dipanato un mondo rimasto avvolto da luoghi comuni, stereotipi e false immagini.
Perché il privilegio di Legazia Apostolica, dopo la morte del pontefice che l'ha concesso è stato sempre oggetto di aspri rapporti e polemiche tra papato e regno di Sicilia? Il rapporto dei Normanni con il papato ha influito sul modo d'intendere la Chiesa in Sicilia? Cosa muoveva i siciliani alla difesa per quasi otto secoli di questo antico istituto giuridico? Come mai il governo italiano ha cercato, nonostante un vivace dibattito parlamentare, di rinunciare alla Legazia Apostolica in Sicilia? Quali nuovi principi ispiratori muovevano i parlamentari a favore di un cambio di rotta che segnò uno spartiacque di portata storica nei rapporti tra Stato e Chiesa? A tutte queste domande Giovanni Mazzeppi ha cercato di rispondere con il desiderio di mettere in evidenza la storia della Legazia Apostolica in Sicilia, con un particolare riferimento al dibattito parlamentare che ha permesso la promulgazione della Legge n. 214 del 1871 del Regno d'Italia, meglio conosciuta come "Legge delle Guarentigie" che di fatto ha sancito la rinuncia al Governo italiano alla Legazia Apostolica in Sicilia.
Il libro costituisce il secondo di due volumi sul rapporto tra il cristianesimo, la Chiesa e la corruzione dalle origini alle soglie del XXI secolo. Il volume prende in considerazione questa "iniqua relazione" in un tempo storico che comincia dal Rinascimento per arrivare all'età contemporanea. Emerge l'immagine di una Chiesa che si è svenduta al facile possesso dell'utile terreno, anche se non sono mancati i tentativi per ritornare all'originaria sequela Christi. Sono circa sei secoli nel corso dei quali, a partire dall'epoca delle Riforme, il problema ha continuato ad essere presente e ha costituito quel fardello da cui la Chiesa non riesce tuttora a liberarsi.
«È un qualsiasi meriggio d'estate, attorno al 1960. Una vecchia incisione, un giradischi a batteria ed il rinforzo della fisarmonica di Bruno, il sagrato della Chiesa diviene l'aperto teatro della lezione di musica. Attorno il silenzio dei boschi e, all'orizzonte, la dolce giogaia dei monti che delimitano il Mugello. Si "esegue" il Concerto Imperatore di Beethoven. Sulla partitura, trascritta sul grande rotolo, la canna del priore segnala le note. Ragazzi ed amici studiano come sempre la materia, questa volta cantata a pieni polmoni. Un miracolo della volontà e dell'intelligenza: una scuola aperta, se- vera, gioiosa». (Gian Carlo Melli)
Il libro costituisce il primo volume - dedicato ai secoli I-XV - di una ricerca sulle relazioni tra il cristianesimo, la Chiesa e la corruzione, dalle origini alle soglie del XXI secolo, un rapporto complesso e a tratti contraddittorio, ma che rivela modi diversi di giudicare la corruzione e di reagirvi nel corso del tempo. A partire dai trenta denari di Giuda, il fenomeno della corruzione accompagna lo sviluppo del cristianesimo e della Chiesa. Tuttavia, fino ad oggi, il tema è stato poco studiato o, peggio, trattato con un taglio scandalistico. Il volume, invece, intende affrontare in maniera rigorosa l'argomento, offrendo di ogni avvenimento considerato una esatta ricostruzione e una corretta contestualizzazione. Ne nasce così un'analisi storica ampia e articolata che non solo permette di conoscere gli eventi e le reazioni che essi determinarono, ma aiuta anche a leggere e a meglio comprendere i fenomeni corruttivi del nostro presente. Dai diversi contributi emerge sempre più nitidamente come la corruzione assuma il valore di un confine immaginario che separa l'essere cristiano dal suo opposto. Un confine mobile, che continuamente si rimodella ed evolve con il trasformarsi della società e dei costumi, ma che proprio per questo continuamente necessita, in seno alla realtà cristiana, di essere oggettivato, descritto, declinato. La corruzione si rivela così, per lo storico, uno straordinario punto di osservazione per comprendere le modalità secondo cui il cristianesimo percepisce e rappresenta se stesso e il mondo che lo circonda, il modo cioè in cui rielabora e continuamente ridefinisce la propria identità.
Sorto in Asia Minore nella seconda metà del II secolo d.C., il montanismo suscitò presto le reazioni delle gerarchie ecclesiastiche. Il profetismo estatico rappresentò la causa principale della sua esclusione dalla grande chiesa, e la condanna per eresia decretò la perdita conseguente degli scritti che erano stati composti dai membri del movimento. Questo libro si propone di restituire una visione completa della crisi montanista, cercando di gettare luce sulle questioni fondamentali che ne caratterizzano la tradizionale ricostruzione storiografica. L'autenticità degli oracoli pronunciati dai profeti e dalle profetesse del movimento, il loro legame eventuale con l'esegesi scritturistica e infine la rappresentazione eresiologica nella quale i protagonisti di questa storia si muovono sono le chiavi di lettura privilegiate attraverso cui viene condotta una nuova analisi su quello che è considerato come uno dei momenti di massima tensione nel cristianesimo dei primi secoli.
Quale è l'attualità del pensiero di Paolo VI? Il discorso sull'umano alla luce dell'incarnazione: per costruire la civiltà dell'amore; la contestualità culturale della modernità: per comprendere il rigore della verità con cui ha coniugato coscienza storica e coscienza morale; la via mediana del post-Concilio - in un contesto storico complesso e spesso drammatico -: per tradurre l'indole pastorale del Concilio come specifica missione del Pietro della modernità. Paolo VI è il papa della trasfigurazione che visse l'omicidio del suo amico Aldo Moro conoscendo il dolore della Croce, il suo stabat, dramma dell'umanesimo dell'amicizia. Forse l'aggettivo umano è quello che rende meglio il desiderio universale - di questo uomo e di questo papa - di mettere in dialogo l'umanità con il Vangelo di Cristo costruendo ponti tra lo stesso Vangelo e le culture, difendendo i popoli impoveriti, custodendo la fede e la vita.
«Non la storia di san Luigi, o almeno non principalmente, quanto piuttosto quella del suo culto, delle immagini diverse che, di volta in volta, sono state di lui disegnate nel corso dei secoli da agiografi, artisti, predicatori, e che hanno via via privilegiato aspetti della sua esperienza cristiana che ebbero certo rilievo nella vita del santo gesuita, ma forse non nella misura in cui si vollero intendere e, soprattutto, far intendere. È questo l’obiettivo del libro, che raccoglie gli Atti del Convegno tenutosi il 1° dicembre 2018 presso la Sezione san Luigi della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, in occasione della ricorrenza aloisiana (450 anni dalla nascita) [...]. Il punto, però, è se quel san Luigi che conosciamo, tramandatoci da una memoria ormai secolare, appartenga alla storia, oppure al filtro agiografico, indubbiamente condizionato dall’opera di padre Virgilio Cepari, oppure all’uso che della sua figura si è fatto nel corso dei secoli. Lo storico deve appunto discernere e – in questo suo lavoro di discernimento – restituire a ognuno ciò che è suo, anche se restituire, in tal caso, vorrà spesso dire sottrarre più che aggiungere. [...] Seguire la storia del culto di san Luigi all’interno della Compagnia di Gesù vuol dire così porsi in un osservatorio privilegiato per capirne le evoluzioni, ma anche le attenzioni riservate da tanta pastorale portata avanti dalle singole Chiese locali e gli scopi da essa perseguiti nell’impegno dell’educazione della gioventù, attenzioni e scopi diversi di volta in volta, da un’epoca all’altra, da un territorio all’altro».
(dalla Prefazione di Felice Accrocca)