Di tutte le civiltà che esistevano nell'anno Mille, quella dell'Europa occidentale sembrava la peggior candidata per un futuro radioso. Paragonati agli imperi scintillanti di Bisanzio o dell'Islam, i regni frammentati affacciati sull'Atlantico sembravano poveri, impauriti e poco sviluppati. Ma l'anarchia di quegli anni non era il presagio per la fine del mondo, ma la fucina di un ordine radicalmente diverso. "Millennium" è la storia di quell'anarchia. È l'avvincente panoramica dei secoli che precedono e seguono l'anno Mille, dell'epoca di Guglielmo il Conquistatore, di Papa Gregorio VII e degli abati di Cluny, di vichinghi, monaci e servi della gleba, dei castelli e dell'invenzione della cavalleria, della prima crociata lanciata da Urbano II, oltre che del primo conflitto tra Stato e Chiesa. È la narrazione di come la cultura dell'Europa - irrequieta, creativa e dinamica - è stata forgiata dalle convulsioni di quello straordinario periodo. Edizione tascabile di "Millennium. La fine del mondo e la nascita della cristianità".
«Quel che non sopporto è che si transiga»: Simone Weil è la reincarnazione di Kant, oppure di san Francesco d'Assisi. Pare che Camus tenesse una sua fotografia sullo scrittoio. Paolo vi voleva farla santa, ma lei aveva sempre rifiutato il battesimo. Lei che a trentaquattro anni si è lasciata morire di fame perché non poteva andare a combattere in prima linea contro i nazisti. La rivoluzionaria mistica, uno dei più misconosciuti e fondamentali pensatori del Novecento. Il Saggiatore ripubblica Sulla guerra, una raccolta di articoli, lettere, brevi saggi scritti da Simone Weil tra il 1933 e il 1943, anno della sua morte, che delineano il difficile passaggio da un iniziale pacifismo intransigente alla partecipazione attiva, anche se non priva di contrasti, alla resistenza contro Franco prima e contro il nazismo poi. Un passaggio non raro in quegli anni, ma che in Simone Weil implica una complessità e un rigore di pensiero singolari, la ricerca appassionata e radicale di una possibile via d'uscita alla tragica minaccia che incombe sull'Europa, e più ancora all'impasse filosofica di chi sa che la guerra è il male assoluto, ma anche un male necessario quando si deve contrastare una violenza atroce e stritolante. Tutt'al più si può avere l'intenzione di «fare il minimo di male possibile». Che per Simone Weil coincide con l'autosacrifì-cio: si propone all'organizzazione France libre di De Gaulle per azioni che la espongano al più grande rischio personale; ma quando questo le viene negato - lacerazione irreparabile - si abbandona a una lenta morte. Sulla guerra è molto più di un documento storico su una delle più dolorose e folli stagioni dell'umanità; molto più di un'opera filosofica che affronta i nodi teorici del fenomeno bellico, che si tratti di guerra rivoluzionaria o di guerra tra Stati; ed è più del diario di una conversione e di un martirio. È la testimonianza profetica di un umanesimo integrale, di un'instancabile tensione etica - in definitiva, di una vicenda biografica, intellettuale e spirituale tra le più alte e sofferte di tutto il Novecento.
Nella storia della seconda guerra mondiale c'è un capitolo non ancora concluso: le responsabilità della Chiesa cattolica di fronte ai crimini commessi dal regime nazista, primo fra tutti il genocidio degli ebrei. Il ruolo di papa Pio XII e dei vescovi tedeschi è al centro, ancora oggi, di un dibattito molto acceso. Attingendo ai rapporti della Gestapo, ai documenti del partito nazionalsocialista e delle diocesi tedesche, Guenter Lewy ha compiuto un'indagine accurata, mettendo in evidenza, oltre ai cedimenti, i silenzi e le complicità delle gerarchie cattoliche, anche le episodiche opposizioni.
La vita di Massimo Mila bruciò di passiono, non solo per la musica, ma anche per l'impegno civile e politico. E per la scrittura, che ripercorre tappe della storia personale e della storia dell'Italia del Novecento. Quella di Mila è una narrazione in prima persona mediata dal ricordo dei maestri, degli amici, dei compagni di strada: Ernesto Rossi, Riccardo Bauer, Augusto Monti, Leone Ginzburg... Gli anni liceali a Torino, la facoltà di Lettere, la clandestinità, il carcere, il confino, la lotta partigiana - "un'esperienza pittoresca e messicana" - sono raccontati in pagine in cui il valore letterario non è minore di quello civile. Sono esperienze che rilette insieme, articolo dopo articolo, quasi si riaccendono, prendono fuoco le une dalle altre, simili ai paesi del fondovalle alpino il giorno del 25 aprile 1945 che bruciavano, scrive Mila, "come tanti fiammiferi ravvicinati". Poi, nel dopoguerra, gli interventi polemici contro l'invadenza clericale, il rifiuto del totalitarismo sovietico e la critica concorde-discorde al Partito comunista italiano. Fino alla polemica esplicita e radicale con Togliatti su Zdanov e sul realismo socialista. Tutta l'opera di Massimo Mila è sotto il segno della libertà, solo così si spiega l'"allegria carceraria" sua e dei suoi compagni. "Avevamo" scrive Mila "l'intima certezza di essere i soli uomini liberi in Italia".
In una calda sera di settembre, un buon mese per terrorizzare i nemici, una bomba fa saltare in aria una polveriera turca. L'esplosione è immane, blocchi di pietra scaraventati a grande distanza, trecento morti, l'incendio che dura per giorni. I mortai della coalizione cristiana guidata dal veneziano Francesco Morosini colpiscono il simbolo più insigne dell'antichità classica: il Partenone, giunto quasi intatto dai tempi di Pericle a quelli del re Sole. Dopo il 26 settembre 1687 il tempio, ridotto a un cumulo di macerie pronte per il saccheggio, diventerà la camera del tesoro con cui Lord Elgin farà risplendere il British Museum. I cristiani avevano bisogno di una conquista simbolica per dimostrare agli islamici chi fosse il padrone del mondo. Viene scelta Atene, ormai da un paio di secoli in mano turca. Quattro anni prima gli ottomani erano stati respinti alle porte di Vienna, ora sono in ritirata lungo le pianure danubiane, incalzati dagli Asburgo, e le truppe della Serenissima si stanno appropriando di un pezzo di Grecia. Ma piantare il leone di San Marco in cima all'Acropoli in realtà serve a poco: i cristiani saranno costretti ad andarsene sei mesi più tardi, lasciando per un altro secolo e mezzo in mano islamica la città più celebre dell'antichità classica. Con Atene 1687 Alessandro Marzo Magno ripercorre le fasi dell'assedio di Atene, tratteggia i volti dei protagonisti e il loro stupore davanti al tempio distrutto.
In "11 settembre", pubblicato poco dopo la tragedia, Noam Chomsky ha analizzato gli attacchi al World Trade Center facendo piazza pulita del groviglio di opportunismo politico, patriottismo a buon mercato e conformismo che ha soffocato il dibattito negli Stati Uniti. Chomsky ha proposto una visione complessa, nella quale l'11 settembre si accompagna all'evoluzione della politica estera statunitense. Una politica spesso aggressiva: dall'America Latina al Medio Oriente, dal Pakistan all'Afghanistan. Una politica che ha risposto alla violenza con la violenza, incurante delle conseguenze. Oggi, come dieci anni fa, "11 settembre" ricorda a tutti noi che l'informazione e la trasparenza sono gli strumenti più validi per prevenire conflitti futuri. Aggiornato dopo l'assassinio di Osama Bin Laden.
Nel 1525 un discendente di Tamerlano e Genghiz Khan attraversò l’Indo e conquistò il Pujab: il dominio della dinastia Mogul sul subcontinente indiano era iniziato. Abraham Eraly ripercorre il domino Mogul attraverso le vite dei suoi sei imperatori: guerrieri, mistici, innovatori visionari, asceti e amanti dei piaceri della vita. Tre secoli che hanno lasciato una traccia indelebile sull’India, sulla sua cultura e sull’arte. Il trono dei Mogul è un grandioso affresco storico che rende viva e palpabile le vite dei grandi imperatori, ma anche di cortigiane, soldati, poeti e comuni cittadini.
Nella prima metà del Quattrocento le sorti di Firenze erano incerte ed esposte a gravi rischi. La crisi di potere interna unita a un’endemica debolezza militare aveva reso la città una preda ambita. Ora,mentre i Medici cercavano di stabilire la loro egemonia, il duca di Milano tentava di estendere il suo controllo su tutta l’Italia centrale. La rivoluzione culturale e artistica avviata dal Rinascimento era in bilico. La partita era ancora tutta da giocare.
Faceva caldo a mezzogiorno del 29 giugno 1440. Dagli spalti di Borgo Sansepolcro un condottiere osservava il castello di Anghiari emergere dalla foschia della Val Tiberina. Niccolò Piccinino conosceva bene la zona: quattordici anni prima, al servizio di Firenze, era stato testimone di una disastrosa sconfitta. Adesso era agli stipendi del vincitore d’allora, l’obeso e ambizioso duca di Milano, Filippo Maria Visconti. Doveva attaccare il campo fiorentino sotto le mura di Anghiari. Ma il vento spirava in modo strano. C’era nell’aria il sentore che quello sarebbe stato il giorno in cui si sarebbero giocate le sorti di Firenze. Fu un pomeriggio di urla e imprecazioni, di scalpitio di cavalli e stridore di armi, di carne e sangue. Alle sette di sera, dopo cinque ore di scontro, i fiorentini conquistarono lo stendardo nemico. Il valore della Battaglia di Anghiari fu colto dai capi della Repubblica fiorentina che nel 1502 affidarono a Leonardo il compito di celebrarla su una parete di Palazzo Vecchio a Firenze. Oggi la battaglia vive nella memoria collettiva per merito del celebre dipinto perduto di Leonardo definito da Benvenuto Cellini «scuola del mondo». Niccolò Capponi conduce il lettore nel cuore della vicenda e ripercorre la storia del capolavoro leonardesco. L’evento storico e il prodigioso gesto creativo di Leonardo si fondono nel racconto del giorno cruciale che salvò il Rinascimento.
Un lampo di umanità tra gli orrori del primo conflitto mondiale. Sono passati sei mesi dall'inizio delle ostilità, le truppe tedesche e quelle alleate si fronteggiano in una estenuante guerra di posizione, sotto i colpi del fuoco nemico, della fame, del freddo e della paura. Ma all'improvviso, alla vigilia di Natale, in un luogo imprecisato delle Fiandre, dalle trincee tedesche si levano canti natalizi e cartelli con la scritta "We not shoot, you not shoot". Superata la diffidenza iniziale gli inglesi rispondono con i loro canti e i due schieramenti concordano una tregua di tre giorni ribellandosi agli ordini. Materiali d'archivio, diari, fotografie, lettere hanno consentito a Michael Jùrgs di raccontare questo piccolo e grande miracolo dimenticato dalla Storia.
Ma davvero è successo tutto questo? In un libro di novecento pagine, una cavalcata in quel vero romanzo che è stata l'Italia degli ultimi trent'anni. È come guardare un film sulla nostra vita, in cui gli avvenimenti sono raccontati mentre succedono. Si comincia con Aldo Moro nella prigione del popolo, nell'anno che ha cambiato tutto. E poi, l'ascesa della mafia, il rapporto stretto tra crimine e potere, la guerra e i segreti di Cosa Nostra, i morti e i soldi che li hanno accompagnati. I grandi condottieri dell'industria tra sogni e corruzione, la fine ingloriosa della Prima repubblica, l'ascesa della televisione e del suo magnate, il Nord conquistato dalla Lega, il nuovo potere del Vaticano, la rivalutazione del fascismo, la crisi e la deriva. La nostra storia in cinquecento storie: anno per anno, i protagonisti, i fatti, le parole, le vittime e i vincitori, le resistenze, la musica e le idee che hanno costruito il nostro paese. Un libro per ricordare quanto è successo e per scoprire che - molto spesso - le cose non erano andate proprio così.
Di tutte le civiltà che esistevano nell'anno Mille, quella dell'Europa occidentale sembrava la peggior candidata per un futuro radioso. Paragonati agli imperi scintillanti di Bisanzio o dell'Islam, i regni frammentati affacciati sull'Atlantico sembravano poveri, impauriti e poco sviluppati. Ma l'anarchia di quegli anni non era il presagio per la fine del mondo, ma la fucina di un ordine radicalmente diverso. Millennium è la storia di quell'anarchia. È l'avvincente panoramica dei secoli che precedono e seguono l'anno Mille, dell'epoca di Guglielmo il Conquistatore, di Papa Gregorio VII e degli abati di Cluny, di vichinghi, monaci e servi della gleba, dei castelli e dell'invenzione della cavalleria, della prima crociata lanciata da Urbano II, oltre che del primo conflitto tra Stato e Chiesa. È la narrazione di come la cultura dell'Europa -irrequieta, creativa e dinamica - è stata forgiata dalle convulsioni di quello straordinario periodo.
Il 7 ottobre 1571 le acque del Golfo di Patrasso si tinsero di sangue: le galee di una fragile alleanza cattolica, capitanata da don Giovanni d'Austria, sconfissero l'invincibile flotta turca di Mehmet Ali. Infranto il mito dell'imbattibilità ottomana, l'incubo di una conversione forzata all'Islam dell'Europa si dileguò. Insieme a Salamina, Waterloo e Stalingrado, Lepanto è entrata nella leggenda come una delle grandi battaglie che sono riuscite a fermare una potenza nemica inarrestabile, oltre a essere divenuta simbolo dello scontro tra Oriente e Occidente, tra Islam e Cristianesimo. Niccolò Capponi ne confuta i luoghi comuni, concentrandosi in particolare sulla strategia militare, sulla tecnologia delle armi e sui documenti originali dell'epoca (tra i quali spicca la testimonianza di Miguel de Cervantes, ferito nel corso dei combattimenti).