Questo breve saggio di Inos Biffi ha come intento il risvegliare o anche creare il gusto per il Paradiso di Dante, nel quale la poesia pura ha raggiunto il suo vertice sublime. La terza cantica della Commedia è ritenuta la più difficile, quasi la più arida, rarefatta com'è di immagini, la più ardua nel linguaggio. E, infatti, essa trasporta in un altro mondo, ultraterreno, privo della visibilità e della sagoma sensibile dei primi due, tutto pervaso e plasmato di luce, nella quale si annidano i beati. Dante stesso avverte che potranno "leggere" il Paradiso soltanto quei pochi che hanno drizzato «il collo / per tempo al pan de li angeli» (Par., II, 10-11), che si sono posti alla scuola del Verbo e se ne sono nutriti. Di fatto, sono molti quelli che, non avendo ascoltato quell'avvertimento, hanno fatto naufragio una volta giunti al Paradiso. La prima parte del libro inizia alla sua comprensione illustrando il senso della terza cantica nel percorso letterario e spirituale del poeta. La seconda, offre alcuni assaggi di commento ai canti X, XII e XXIII, «uno dei più belli della cantica e del poema», con l'incantata ammirazione del «bel giardino / che sotto i raggi di Cristo s'infiora» (Par., XXIII, 71-72). Da tali degustazioni potrebbe sorgere il desiderio di inoltrarsi in questa incomparabile gloria del mistero, che per singolare grazia divina Dante ci ha lasciato.
"Dante e la Divina Commedia" fa parte del lavoro di Balthasar sugli «Stili laicali», figure essenziali della sua Estetica Teologica. Per l'autore ci sono opere letterarie che ci prendono per mano, come Beatrice fa con Dante, per condurci verso la Rivelazione. La chiave di lettura di Balthasar punta a individuare l'orizzonte e il culmine della visione dantesca, che è costituito da Maria, con l'inno alla Vergine, che Dante affida a san Bonaventura. Maria tra gli angeli è la Signora del Paradiso, quel lato del Paradiso che Dante si sente di descrivere preparato e accompagnato da Beatrice, che ha sostituito Virgilio nella peregrinazione. Dante non si addentra oltre nel mistero cristologico e trinitario, la sua filosofia e la sua poesia si compiono nella contemplazione di Maria. Nell'Inferno Dante era stato un fine lettore della Storia e Balthasar non può non notare che l'Inferno di Dante non è ancora stato visitato dal Cristo risorto. Il Cristo risorto dell'arte bizantina, che prende e porta con sé Adamo ed Eva e l'umanità tutta.
Frainteso se non rifiutato da quella parte della coscienza moderna smarrita di fronte alla difficile ermeneutica di una testimonianza d'arte e di fede di cui si è perduto il significato storico, Dante non è stato soltanto un letterato colto e raffinato, un maestro dell'immagine e dell'espressione chiuso nella «turris eburnea» delle sue creazioni. Dalle pagine del Morghen balza con corposa evidenza il profilo di un uomo profondamente radicato nelle angosce e nelle speranze della sua epoca di trapasso, nella quale sentì di dover svolgere una missione d'ispirazione religiosa. In Dante profeta è tutto il Medioevo che canta le sue idealità e le sue esperienze fondamentali. Nel momento in cui queste si offuscano, le soglie dell'esperienza dantesca ci rimangono impenetrabilmente serrate, e noi siamo stati solo capaci di esercitarci intorno al divino poema «nelle forme della più elaborata e spesso lambiccata esegesi, senza riuscire mai a recuperarne l'intimo afflato e il prodigioso calore» (Buonaiuti). Di queste soglie il maestro di Medioevo cristiano ci offre la chiave che, ancora una volta, è, e non può non essere, religiosa.
«Verga - scrive Gioanola - era stato per me la scoperta, davvero emozionante, della bellezza della letteratura: avevo diciotto anni e mi stavo preparando per l’esame di maturità, seduto sul sentiero della vigna di mio padre, e I malavoglia che mi accingevo svogliatamente a leggere, mi si rivelarono, di colpo, un’autentica meraviglia. In tutti gli anni del liceo, purtroppo, avevo accantonato ogni interesse per le cose letterarie, a causa del pessimo insegnamento della materia. Ritornando, dopo più di sessant’anni, sull’opera dal Verga, in tutta la sua completezza, mi sono accorto che l’autore ha vissuto una stagione creativa molto breve, pochi anni nella sua lunga attività letteraria, al centro dei quali brilla la stella purissima del grande romanzo, accompagnata da sette o otto novelle di altissimo valore poetico. Dopo c’è immediatamente la caduta dei racconti di Per le vie e quindi la ripresa faticosa, allontanata a motivo del successo teatrale di Cavalleria rusticana, del Mastro-don Gesualdo». Il libro, come accenna il titolo, è puntato essenzialmente sulle cose di assoluto rilievo, tutte racchiuse nel tempo brevissimo che va dal ritorno a Catania e la morte della madre alla decisione di risiedere a Milano, prima del lungo rifugio in patria. Quella morte decise l’autore a fare della Sicilia il solo vero epicentro della sua creatività, come se il lutto avesse acceso e spento insieme il suo talento.
«I venti saggi di questo volume sono introdotti, nella prima parte, da un testo teorico sui rapporti tra psicanalisi e letteratura, corredato da un riferimento ai principali rappresentanti, in Italia, dei metodi critici variamente ispirati alla psicologia del profondo. Questo testo affronta alle radici il problema di quei rapporti e fornisce le motivazioni del mio modo di interpretare i testi letterari. I saggi leopardiani della seconda parte puntualizzano alcuni importanti aspetti del pensiero del poeta (il sentimentale, il religioso) e analizzano testi specifici, arricchendo in tal modo con interpretazioni puntuali il mio libro del 1995, "Leopardi, la malinconia".» (Elio Gioanola)
Fenoglio è scrittore epico, sia pure di un'epicità tragica, dominata dall'esposizione alla sconfitta e alla morte. Purtroppo egli ha subito vessazioni editoriali che lo hanno privato della possibilità di pubblicare, in forma completa e rifinita, il suo capolavoro, quello che uscì postumo col titolo "Il partigiano Johnny". Della grande saga (il «libro grosso» di cui Fenoglio scriveva a Calvino nel '57) fu pubblicata, vivente l'autore, solo la parte iniziale col titolo "Primavera di bellezza", che si conclude con la morte del protagonista e quindi con l'impossibilità di proseguirne le vicende. Ma Fenoglio è anche autore di un grande racconto ancora di ambito partigiano, "Una questione privata", dominato dal tema della disperata passione amorosa, e di alcune straordinarie narrazioni di ambiente langhigiano, confluite in parte nel precoce "La malora" e in "Un giorno di fuoco", uscito nell'anno della sua scomparsa, il 1963.
Un'opera agile e completa nello stesso tempo. A ogni inizio di secolo, o periodo letterario di autonomo rilievo, vengono offerti ampi quadri introduttivi che forniscono un affresco compiuto dei fatti culturali di spicco, in modo che gli argomenti prettamente letterari trovino un'adeguata cornice storico-concettuale. Particolarmente approfondita è la sezione relativa al Novecento, in genere piuttosto trascurata in gran parte dei manuali correnti: varcata la soglia del terzo millennio appare abbastanza assestato il quadro del secolo passato e molti degli scrittori e poeti di un periodo assai ricco trovano uno spazio adeguato alla loro importanza, mentre lo sguardo viene esteso anche agli ultimi decenni, secondo una prospettiva inedita. Nel complesso, questa non è un'opera compilativa ma, se così si può dire, d'autore, perché non è rifatta su altre letterature, ha una sua organica linea interpretativa e anche un suo peculiare stile espressivo, senza concessioni ideologiche e con molta attenzione posta alle metodologie critiche più innovative.
Nell'affrontare il pensiero dantesco Gilson evita di apporgli una comoda etichetta classificandolo tra le filosofie già costituite del tempo, si impegna piuttosto nel tentativo pienamente riuscito di comprenderlo secondo i tratti che gli sono singolari e unici. Per Gilson collocare storicamente il pensiero dantesco non significa ricondurlo al tomismo o all'averroismo, come si è maldestramente preteso, quanto invece mostrarne l'impianto teoretico originale e solidamente giustificato nei suoi propri principi in un continuo confronto con le principali e tra loro molto varie correnti filosofiche del tempo. Attraverso una penetrante disamina del "Convivio", della "Monarchia" e della "Commedia" viene messa a fuoco l'idea dantesca fondamentale dell'armonia dei tre ordini: politico, filosofico e teologico. Armonia che per Dante si realizza soltanto attraverso il riconoscimento della completa autonomia, pur in una gerarchia di dignità, di ognuno dei tre ordini e del loro specifico ruolo assegnato dalla Provvidenza divina.
Questo non è un libro specialistico ma, semplicemente, speciale. Non rientra nei normali canoni della critica letteraria e rileggendolo a vent'anni dalla prima edizione ci si rende conto che non è invecchiato. Soprattutto in Italia, non è mai morta la diffidenza nei confronti di ciò che, in senso largo, è definibile come biografico. Ebbene, questo libro indaga a fondo proprio sugli intrecci di vissuto e opera, nella convinzione che soltanto così si può condurre un'esplorazione il più possibile convincente di un universo inventivo come quello di Giacomo Leopardi, unico in Italia ad essere stato insieme grande poeta e grande pensatore. Inoltre, questo libro è speciale perché vuole aprire nuovi orizzonti interpretativi a partire appunto dalla stretta connessione tra elementi del vissuto e dati della scrittura, forma e contenuti, nel loro incontro e nel loro intreccio, in cui formano un tutto solidale dove vita e opera cooperano alla costituzione di uno degli universi poetici più ricchi e intensi della nostra letteratura.
"L'autrice possiede la maestria e la grazia della più autentica critica e saggistica letteraria, la simbiosi di acribia filologica attenta al minimo e di visione all'ingrande della vita e della storia". Così Claudio Magris introduce ai dodici serrati e ariosi capitoli sul tema dello specchio che l'autrice presenta in questa opera, in un percorso che si snoda fra Dante, Foscolo, Pirandello, Svevo, Montale, Piccolo, Luzi, Vassalli e altri ancora... Sempre Magris: "Indagare sullo specchio nella letteratura diviene così un modo di entrare nel cuore del labirinto umano, nelle contraddizioni degli uomini, che vogliono afferrare ma anche occultare e occultarsi la verità e la realtà, fissare direttamente il sole abbagliante e insostenibile e insieme distogliere lo sguardo dalla sua luce. Questo saggio di Giovanna Ioli diviene così attraverso una puntuale analisi che non concede nulla a divagazioni poetizzanti né a tentazioni di discorsi generici sui massimi sistemi - un viaggio avventuroso, ulissiaco eppur lieve, nei meandri della vita lacerata tra finitezza e desiderio di eternità, nei grovigli del significato e dell'insignificanza del vivere, nelle contraddizioni della parola sospesa tra verità e fallimento. Leggendo questo libro, si capisce, si sente concretamente come la letteratura e il suo studio siano, nella misura donata ai grandi e in quella minima e manchevole di tutti noi altri, una Commedia dantesca, un viaggio attraverso i tre regni".