Le grandi distopie immaginate da Orwell o da Huxley esprimevano la propria visione degli orrori del mondo solido-moderno abitato da produttori e soldati irreggimentati e ossessionati dall'ordine. Essi credevano nei sarti su misura, cioè nella possibilità di confezionare un futuro su ordinazione. Temevano gli errori di misurazione, i tagli scadenti o la corruzione dei sarti, ma non pensavano certo che le sartorie potessero fallire e scomparire. Le distopie del presente rappresentano un mondo in cui i sarti non ci sono più, in cui ci si crea da sé il proprio futuro che nessuno controlla, né vuole o sa controllare. In un mondo come questo non può che crescere lo scoramento e il disfattismo, l'incapacità di agire e la sensazione di essere condannati a soccombere. Eppure, secondo Bauman, questa è soltanto la descrizione di quello che stiamo vivendo. Non è vero che è «sempre la stessa storia»: il futuro non si deduce dal presente, il futuro non è un destino. Ancora una volta Zygmunt Bauman illumina, legge, interpreta e traduce ogni piega del tempo che viviamo.
Un giovane di Assisi era figlio di un ricco mercante e banchiere (nonché, forse, usuraio). Il padre, che lo conduceva con sé nei suoi viaggi d'affari in Francia, volle rinominarlo 'Francesco' in omaggio alla dolce terra della poesia cortese, che il ragazzo amava. Francesco non era né nobile né particolarmente bello e il suo fisico era fragile, cagionevole. Ma era ricco, brillante, affascinante, spiritoso, sapeva cantare, suonare e danzare: era il 'principe della gioventù' della sua città. Sognava la gloria, le imprese cavalleresche in paesi lontani, l'amore. Poi venne la lotta civile nella sua città, alla quale prese parte, e infine la guerra contro Perugia: combatté, forse uccise, restò alcuni mesi prigioniero. Quando tornò a casa, gli amici avrebbero voluto vederlo riprendere la vita spensierata di prima. Ma non era più lui. Il contatto con la guerra e con il dolore lo aveva cambiato. Una volta incontrò un lebbroso: la lebbra gli aveva sempre fatto paura e orrore. Ma quel giorno scese da cavallo e abbracciò quel miserabile. Da allora, sarebbe diventato cavaliere del Cristo.
Negli stessi secoli in cui entra in crisi l'unità linguistica e politica del mondo romano, incominciano a risuonare quelle lingue che ancora oggi l'Europa parla e la cultura europea rimedita l'episodio biblico della confusio linguarum, cercando di recuperare la lingua di Adamo o di ricostruirla come lingua perfetta. A questo sogno si sono consacrate alcune delle personalità più insigni della cultura europea e malgrado le loro utopie non si siano realizzate, ciascuna di esse ha prodotto degli effetti collaterali: se oggi conosciamo il mondo naturale attraverso classificazioni rigorose, se inventiamo linguaggi per le macchine, se siamo in grado di compiere calcoli logici, se tentiamo esperimenti di traduzione meccanica, è perché siamo in qualche misura debitori di quei molteplici tentativi di ritrovare la lingua di Adamo.
Non esiste una filosofia medievale, ma, come in ogni altra età della storia, nel medioevo esistono filosofie differenti che si confrontano, a volte aspramente". In questo volume, la pluralità dei contesti storici e degli interessi teorici della riflessione del mondo cristiano medievale, il progressivo definirsi degli interessi disciplinari e dei settori della riflessione culturale, privilegiando l'assenza di una gerarchia di importanza tra gli autori e i problemi considerati. La trattazione è interamente contenuta nel testo privo di note e permette una lettura senza interruzioni, godibile pur nell'approfondimento dell'informazione specialistica.
Secondo il Talmud, nella città di Roma vi sono 365 piazze, in ognuna delle quali vi sono 365 palazzi, e ognuno di essi ha 365 piani, di cui ognuno contiene di che nutrire il mondo intero. Andiamo allora alla scoperta di questa storia speciale, quella dei nostri antenati, gli antichi romani.
La storia di Traina ha la capacità di rimettere la latinità nella dovuta prospettiva, di ristabilire un argine tra ‘loro’ e ‘noi’, che dei romani non siamo gli eredi né materiali né spirituali come ci piace pensare.
Andrea Marcolongo, “Tuttolibri”
Scritto con prosa vivace e sicura competenza, il libro di Traina è soprattutto un sincero atto d’amore verso un periodo grandioso e terribile, la cui conoscenza si va affievolendo in modo preoccupante.
Antonio Carioti, “la Lettura – Corriere della Sera”
C'è una 'giustizia' su misura per le grandi potenze occidentali, che godono di un'assoluta impunità per le guerre di aggressione di questi anni, giustificate come guerre umanitarie o come guerre preventive contro il terrorismo. E c'è una 'giustizia dei vincitori' che si applica agli sconfitti e ai popoli oppressi, con la connivenza delle istituzioni internazionali, l'omertà di larga parte dei giuristi accademici e la complicità dei mass media. In realtà solo la guerra persa è un crimine internazionale.
La morale esiste da molto prima che si parlasse di Dio, di religione o filosofia. La sua storia è, anzitutto, il frutto di un processo di selezione naturale. Questo libro risale allora fino agli albori dell'umanità: nelle foreste dell'Africa orientale che, 5 milioni di anni fa, diradano per effetto dei cambiamenti climatici. Tra gli ominidi che scendono dagli alberi ci sono anche i nostri antenati, che si adattano agli spazi aperti organizzandosi in gruppi estesi. È sotto la pressione di fattori ambientali che la moralità emerge come fondamento di una cooperazione tanto precaria quanto essenziale alla sopravvivenza della specie. Hanno Sauer offre al lettore una 'genealogia' della morale che si muove tra paleontologia e genetica, psicologia e scienze cognitive, filosofia ed evoluzionismo. Le tappe di questo percorso marcano le principali trasformazioni morali nella storia dell'umanità, arrivando fino ai giorni nostri. La crisi morale del presente, ci insegna Sauer, è il risultato di secoli, millenni, milioni di anni di stratificazioni. Ripercorrerne lo sviluppo è l'unico modo per costruire un futuro insieme.
Nel volgere di pochi decenni, l'umanità è andata incontro a una rivoluzione nelle sue abitudini ancestrali. Senza che ce ne accorgessimo, la nostra specie, che fino a poco tempo fa viveva immersa nella natura abitando ogni angolo della Terra, ha finito per abitare una parte davvero irrisoria delle terre emerse del pianeta. Cosa è accaduto? Da specie generalista in grado di vivere dovunque, ci siamo trasformati, in poche generazioni, in una specie in grado di vivere in una sola e specifica nicchia ecologica: la città. Una rivoluzione paragonabile soltanto alla transizione da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori avvenuta 12.000 anni fa. È certo che in termini di accesso alle risorse, efficienza, difesa e diffusione della specie questa trasformazione è vantaggiosa. Ma è altrettanto certo che ci espone a un rischio terribile: la specializzazione di una specie è efficace soltanto in un ambiente stabile. In condizioni ambientali mutevoli diventa pericolosa. Il nostro successo urbano richiede, infatti, un flusso continuo ed esponenzialmente crescente di risorse e di energia, che però non sono illimitate. Inoltre, fatto decisivo, il riscaldamento globale può cambiare in maniera definitiva l'ambiente delle nostre città e costituire proprio quella fatale mutazione delle condizioni da cui dipende la nostra sopravvivenza. Ecco perché è diventato vitale riportare la natura all'interno del nostro habitat. Le città del futuro, siano esse costruite ex novo o rinnovate, devono trasformarsi in fitopolis, luoghi in cui il rapporto fra piante e animali si riavvicini al rapporto armonico che troviamo in natura. Non c'è nulla che abbia una maggiore importanza di questo per il futuro dell'umanità.
«Venne il dio sulla terra dal cielo a mostrarti l'effigie, o tu andasti a mirarlo, Fidia, in cielo». Questo si diceva del colosso di Zeus a Olimpia, una delle sette meraviglie del mondo, opera di Fidia, insuperabile nel rappresentare la maestà e la bellezza degli dei. Peccato che l'unica testimonianza personale rimasta dello scultore sia un piccolo vaso a Olimpia con l'iscrizione parlante: «Io sono di Fidia». E le tante statue in oro e avorio, in bronzo e in marmo, che fine hanno fatto? Tutte scomparse. E tutte le nuove opere sull'acropoli di Atene, «fatte in breve tempo per durare a lungo», furono veramente sotto la sua sovrintendenza? Anche il sodalizio con Pericle, inscindibile per gli autori antichi, quanto fu vero? E dov'è la sua mano nella decorazione del Partenone? La biografia di Fidia, lo scultore ateniese del secolo di Pericle, il più 'classico' del passato 'classico': un racconto tra arte e potere.
Un manuale aggiornatissimo sulle teorie e le conoscenze sociologiche che permettono di comprendere e articolare il ruolo e l'importanza del giornalismo nella società, imprescindibile per i corsi di Giornalismo, Scienze delle Comunicazione e Sociologia dei processi culturali e comunicativi.
Che cos'hanno in comune una rivolta di pescatori corsi in un mare colorato di rosso, un volantino piegato in quattro trovato nella tasca di una giacca, un circuito elettrico nascosto da un controsoffitto, una telefonata nel cuore della notte e un testo poetico usato nel posto sbagliato? L'inizio di una storia. O di più storie, individuali e collettive, ma sempre con due protagonisti in comune: l'ex magistrato Gian Carlo Caselli e l'Italia. Dieci date per dieci capitoli, dalle Brigate rosse alla mafia, dalla strage del cinema Statuto al 'processo del secolo' contro Giulio Andreotti, passando per il Csm e la 'ndrangheta al Nord, fino ad arrivare alle polemiche sulla Tav. Questo libro racconta gli snodi fondamentali di cinquant'anni di storia italiana intrecciati con la biografia, non solo professionale, di un testimone forse unico nel panorama della magistratura italiana: un giudice accusato di essere 'toga rossa' o 'fascista' con sorprendente disinvoltura a seconda delle stagioni e - soprattutto - degli interessi colpiti da indagini e processi. O forse semplicemente perché schierato sempre da una parte: quella della Costituzione, dove ogni cittadino è uguale davanti alla legge.
La fine della Repubblica romana è una storia che è stata raccontata tante volte da apparire pressoché scontata: chi non ricorda le Idi di Marzo e le guerre civili? La vittoria finale di Ottaviano? Eppure, di questi avvenimenti abbiamo sempre ascoltato soltanto un punto di vista, quello degli storici greci e romani, che hanno fornito una versione parziale della realtà politica e militare. Se ci allontaniamo da Roma e dall'Italia e allarghiamo lo sguardo all'insieme dell'imperium Romanum, ai territori delle province e dei regni alleati, senza trascurare i nemici esterni di Roma - a cominciare dall'impero partico -, scopriremo i veri comprimari di questo racconto storico. Familiarizzeremo con un caleidoscopio di popoli - africani, ispanici, galli, greci, traci, armeni, egizi - e di personaggi, dalla famosissima Cleopatra ai re Artawazd di Armenia e Bogud di Mauretania. Personaggi e popoli visti non più come semplici pedine, bensì come attori di un equilibrio geopolitico che fa delle guerre di questo periodo un insieme di conflitti che non è scorretto definire come una vera e propria guerra mondiale ante litteram.