Una teologia della creatura oggi non può non guardare, a occhi spalancati, dentro il cuore pulsante del vivente. L’idea che un filo d’erba possa vibrare di sensibilità entrando in viva relazione con il mondo umano emerge dalla novella di Luigi Pirandello, Canta l’Epistola.
E solo una teologia come quella di Paolo De Benedetti è capace di cogliere la creaturalità di una bellezza deperibile e inerme come quella di un filo d’erba. Non in virtù di una sensibilità ecologica estesa anche alle cose inanimate – un sentimento pur lodevole che oggi però è abbastanza diffuso, almeno nelle anime più avvertite – ma in virtù di una precisa lettura della Parola biblica, che interpreta la storia a partire dal basso, dall’infimo, dal perdente.
La storia della Compagnia di Gesù è puntellata da continui scontri: papi che intervennero nel tentativo di modificarne l’Istituto, ordini religiosi pronti a denunciarne la sua natura ereticale, poteri laici ostili pronti ad accusarla di trame eversive contro lo Stato. Tutti aspetti che andarono ad alimentare uno specifico antigesuitismo di matrice cattolica e contribuirono a costruire una immagine dell’ordine gesuitico come corpo compatto e braccio armato del papato romano: una rappresentazione, non priva di elementi oggettivi, ma che appare in larga misura frutto della propaganda storiografica, e contrasta con le vicende interne dell’ordine gesuitico.
Sul finire del Cinquecento la Compagnia di Gesù fu segnata da un composito movimento di contestazione interna al quale parteciparono gesuiti di diversa formazione e nazionalità, ma tutti legati dall’intento, ritenuto ormai irrinunciabile, di ricondurre l’ordine gesuitico al genuino e originario spirito del fondatore, sant’Ignazio di Loyola. La seconda generazione di gesuiti manifestò incomprensioni e ostilità verso la storia del proprio ordine religioso, e attraverso una intensa attività di denuncia e di polemiche, con memoriali inviati al papa e all’Inquisizione in cui si mescolarono questioni di politica interna e aspetti disciplinari, giunse a mettere in discussione i pilastri più rilevanti dell’organizzazione gesuitica, quelli che la rendevano unica nel panorama degli ordini religiosi, come la figura del generale eletto a vita o il sistema interno di professione religiosa. Tra le diverse anime da sempre presenti nella Compagnia si accese un’aspra lotta che mise a rischio la sopravvivenza stessa dell’ordine, e la battaglia che allora si scatenò intorno al profilo e all’eredità del Loyola lascia emergere i conflitti e le fratture attraverso cui si compì la ridefinizione dell’identità gesuitica, e i mezzi e le forme mediante cui si strutturò il suo rapporto con la Controriforma cattolica.
Cela un lato irrazionale il tema dell’immortalità: è la paura della morte alle origini dei culti primitivi, nonché delle religioni classiche e dei monoteismi – ebraismo, cristianesimo, islamismo. Tuttavia è la ragione che ha tradotto quella stessa speranza d’immortalità nel rigore delle categorie filosofiche: a partire da Platone, che nella fine di Socrate elogia l’esercizio filosofico della morte, il tema dell’immortalità è stato diversamente declinato nei grandi sistemi metafisici, cercandone i segni, trovandone le prove.
Il filosofo ebreo-tedesco Moses Mendelssohn nella sua opera Il Fedone, qui proposta in prima edizione italiana a cura di Francesco Tomasoni, riprende le argomentazioni platoniche nutrendole delle riflessioni filosofiche successive per renderle più efficaci, riscrivendo il Fedone in tre dialoghi fra Socrate e i suoi amici affermando l’immaterialità dell’anima.
Lo spirito illuministico che risuona in queste pagine – il tentativo di elevare la figura di Socrate a universale o l’idea di Dio a concetto comune a tutte le culture e le confessioni religiose – destina loro una posterità: non a caso Kant le cita nella Critica della ragion pura. Su un tema tanto scandagliato, questi dialoghi rimangono un classico per la scommessa sulla ragione che vi traluce.
IN QUESTO NUMERO: La Chiesa e la guerra. I cattolici italiani nel primo conflitto mondiale, a cura di Daniele Menozzi. MENOZZI D., I cattolici italiani nel primo conflitto mondiale - MALPENSA M., Il sacrificio in guerra nelle lettere pastorali dell'episcopato - PAIANO M., La preghiera e la guerra in Italia durante il primo conflitto mondiale - STIACCINI C., Con questo segno vinco. La religiosità popolare nelle testimonianze dei soldati della Grande Guerra - LESTI S., "Per la vittoria, la pace, la rinascita cristiana". Padre Gemelli e la consacrazione dei soldati al Sacro Cuore (1916-1917) CAVAGNINI G., Le prime prove di un mito fascista. Padre Reginaldo Giuliani nella Grande Guerra.
È possibile per Kierkegaard “innamorarsi umanamente”? Le lettere qui raccolte di Søren Kierkegaard a Regina Olsen, composte in un periodo di circa un anno – dal 10 settembre 1840 al 11 ottobre 1841 –, sono lettere d’amore: «L’amore è più veloce di tutto, più veloce di se stesso», scrive il filosofo. Un amore terreno intriso di “malinconia”, in cui già si consuma la fine: come se il sentimento di sproporzione fra l’anima e il corpo fosse il segno di una impossibilità. Una tonalità che nei Diari – annota Gianni Garrera, curatore di questa prima edizione italiana – assume forma più esplicita di “insoddisfazione” portando alla rottura definitiva con Regina: Kierkegaard appartiene innanzitutto a Dio.
Queste lettere, conducendo nello “stadio estetico” dell’innamoramento ed “etico” della scelta “seria” del fidanzamento, ci introducono al salto kierkegaardiano nello “stadio religioso”.
Può il rapporto educativo trasformarsi in amicizia, in cammino di liberazione? Era la domanda da cui partiva il libro di Silveri Cammini di liberazione: racconti di giovani nella loro esperienza di uscita dalla droga, dalla prigione, dalla marginalità sociale. Una domanda che ritorna in questo nuovo libro, ideale continuazione del primo. Con una differenza: quella che là appariva una liberazione, qui è innanzitutto il racconto dei tentativi di spezzare i tanti muri che feriscono la dignità delle persone, siano essi muri sociali o psicologici. Educare è far diventare adulti anche coloro che più di altri paiono colpiti dalle sofferenze. Un libro di dialoghi, dove l’autore si ritrae lasciando la voce agli amici protagonisti: un accoglierli come segno di agape.
Dio e il male. A partire dai saggi di G. Canobbio e C. Ciancio, a cura di Sara Bignotti. Bignotti S., Tra male e Dio una dialettica senza fine Canobbio G., La questione della sofferenza di/in Dio all'interno della problematica "Dio e il male" - Ciancio C., La filosofia di fronte al male. Dalla razionalizzazione al paradosso -Cozzi A., "Dio può soffrire". Sul testo di Giacomo Canobbio - Bartolomei M.C., Cifre del male: paradosso, aporia o contraddizione? In dialogo con Claudio Ciancio - Maiolini R., La sofferenza di Dio in chiave trinitaria. Discutendo con Giacomo Canobbio - Gamba E., Sulla circolarità del riferimento reciproco tra l'esperienza del male e quella di Dio - Bertoletti I., L'aporia del male. Una nota sui saggi di Canobbio e Ciancio. Note e rassegne: Regina U., La speranza cristiana nell'enciclica Spe salvi. Impegno politico in grande - Pazzaglia L., Dante e il Medioevo nella riflessione di Tommaso Gallarati Scotti - Piana G., Pagare le tasse, un dovere morale.
I saggi accolti in questo volume riguardano intellettuali cristiani del Novecento (teologi, letterati, storici) e la casa editrice Morcelliana di Brescia. Tessuto connettivo è il rapporto tra religione e cultura, che si esprime nella ricerca di una «fede pensata» e nell’aspirazione a una religione colta, in cui la religione deve essere illuminata dalla cultura e la cultura animata dalla religione.
Gian Battista Montini, Mario Bendiscioli, Giuseppe De Luca, Carlo Manziana, Igino Righetti, Nello Vian, Giuseppe Tovini, Giulio Bevilacqua, Carlo Colombo, Emilio Guano, Cesare Angelini: una costellazione di figure nelle quali si è declinata la ricchezza – spirituale e culturale – del cattolicesimo italiano contemporaneo.
DESCRIZIONE: Parlare oggi di icone non è pura questione archeologica. È, piuttosto, un modo di riflettere sul nostro rapporto con la dimensione dell’invisibile, sulla sua rappresentabilità, sulla nostra modalità di metterci in relazione con ciò che alcuni chiamano Dio e per altri è l’insondabile segreto della vita umana.
Enzo Bianchi di questi solchi è grande conoscitore, perché non si limita al sapere accumulato dello studioso. Ma li percorre, li osserva da vicino, li tocca, li attraversa. Da monaco, sa che la vita trova la sua ragione e il suo respiro non nella bellezza del puro estetismo, ma nell’armonia che viene dalla disciplina, nell’esattezza del fare, nell’audacia del creare. Ma da uomo che scruta nei cuori, conosce anche le ferite che la bellezza sopporta: le lacerazioni, le dispersioni, le disperazioni. È dalla fusione di questi elementi che nasce davvero la conoscenza delle vite umane, e delle loro opere.
Gabriella Caramore
COMMENTO: Una riflessione sul significato delle icone e del loro rappresentare Dio. Il libro contiene 16 immagini a colori.
Un manuale per capire che cos'è la democrazia
La prima edizione mondiale della filosofia della religione di Romano Guardini, con la pubblicazione di inediti