Una lettura del libro più dibattuto della Bibbia, il Qohelet, che ne tocca i temi speculativamente più difficili, da parte di una di una voce del pensiero filosofico contemporaneo, a confronto anche con Kierkegaard.
DESCRIZIONE: La Morte di Mosè, il primo libro di Paolo De Benedetti, aveva dischiuso come orizzonte di ricerca l’ambivalenza del Dio biblico tra il sacro e il santo, tra idolatria e fede, quasi invitando ad approfondire questa oscillazione nel testo di riferimento del giudaismo rabbinico, il Deuteronomio. È quanto accade ne La chiamata di Samuele, dove ad essere interrogato è il concetto stesso di Legge (Torà). In quanto Legge del Dio dell’esodo, la Torà accompagna, illuminandolo, il cammino dell’uomo. La Legge non uccide ma, ascoltata e osservata, libera. È la ragion d’essere, suggerisce l’autore, della halakhà («via» o «norma di comportamento»): interpreta e attualizza i precetti nei quali si manifesta, permanendo misteriosa, la volontà di Dio; il precetto custodisce, nonostante il differirsi della redenzione, l’attualità dell’alleanza, «della benedizione e dell’amore di Dio».
Un’interpretazione del Deuteronomio, e di altri testi biblici, che accompagna il lettore alla scoperta di quel senso – «il settantunesimo» – nascosto, proprio per lui, nel testo. Come a dire: la Legge, in forza della sua esteriorità, è l’epifania di un Dio che ha dismesso le vestigia sacrali. Un Dio con il quale, come mostra l’episodio di Samuele, «l’incontro è facile e difficile insieme: impossibile e pur necessario, offerto e pur nascosto, come un dono che l’uomo deve solo vedere e prendere».
COMMENTO: Nuova edizione rivista e ampliata dell'ormai classico libro di De Benedetti, dove l'autore mostra il significato attuale, liberatorio, della legge - Torah - ebraica.
"Non c'è nulla di certo nella Bibbia, ma bisogna fare un percorso per capirlo. Mi sono valso di tante voci importanti... è un elenco lungo che va da Mosè a monsignor Ravasi. Mi ha aiutato Paolo Ricca." (Roberto Benigni)
La figura maestosa, torreggiante di Mosè, dalle pagine bibliche è trasmigrata più volte nella letteratura, ha sedotto pittori e scultori, attratti dal cammino della sua spiritualità. Sono proprio i percorsi talora lenti e perplessi, e i nodi critici di questo viaggio interiore, coniugato con l'evoluzione della religione stessa d'Israele, ad apparire in questo romanzo dell'autore dell'Ombra del Padre. In parallelo, il deserto è teatro degli itinerari umanamente incomprensibili di Israele - popolo consacrato al culto di Jahvè, il "Dio geloso" dei padri - custode, nonostante le continue infedeltà, della promessa che gli ha assegnato la terra di Canaan. È il deserto che la "prima generazione" uscita dall'Egitto odia e rifiuta, e che la "seconda generazione" nutrita dal "cibo del cielo", non si risolve, pur continuando a detestarlo, ad abbandonare per affrontare la lotta con le popolazioni cananee. In mezzo a una folla di personaggi - i capi delle tribù, alcuni dei quali vigorosi e ardenti guerrieri; Aronne, Eleazaro, il levita intransigente Finees, l'"integralista" Giosuè, i faraoni Tutmosi e Amenofi ii, i prìncipi della Terra Promessa come Balak, l'indovino Balaam, selvaggiamente estatico, le donne cesellate con finezza, quali Noa e Uta, si staglia Mosè, l'"amico di Dio"; in lui la religiosità ebraica rivela infine, attraverso tempeste di dubbio, una consonanza con la misericordia infinita di Jahvè, che prelude alla novità cristiana.