Nel secondo dopoguerra si è diffusa e radicata la "leggenda nera", che vede la Chiesa cattolica in primo piano nel sistema di copertura e protezione dei criminali di guerra nazisti in fuga. Nessuno è stato risparmiato: né Papa Pio XII, né i suoi più diretti collaboratori, né gli organismi umanitari, né le diocesi, né le associazioni ecclesiali. Tuttavia, l'apertura di nuovi archivi tedeschi, croati, italiani, argentini, statunitensi ha permesso l'avvio di altre ricerche più approfondite sul fenomeno. È in questo contesto che si colloca l'opera di Pier Luigi Guiducci. Grazie a un lavoro decennale, l'autore è riuscito a differenziare in modo molto chiaro le varie realtà presenti all'interno dell'enorme flusso migratorio dell'epoca, a fare il punto sulle specifiche responsabilità (area pubblica, privata, religiosa, iniziative a titolo personale), a cancellare ogni dato romanzato, a far emergere l'influenza avuta da determinate cabine di regia, sia quelle note e mai evidenziate sia quelle rimaste in ombra per decenni. È riuscito, poi, a far luce su un disegno umanitario della Chiesa che, mentre erano in corso gli accertamenti di responsabilità per crimini di guerra, ha cercato di evitare il prolungarsi di fatti di sangue, ma soprattutto di tutelare le migliaia di persone innocenti colpite dal conflitto e dalle sue conseguenze.
Il 23 maggio 1915 l'Italia entra nel mattatoio della Prima guerra mondiale. Mentre papa Benedetto XV protesta contro l'"inutile strage", il suo cameriere segreto, monsignor Rudolph Gerlach, dirige dal Vaticano una potente rete di spionaggio al servizio dei Paesi in guerra contro l'Italia. Per la sua posizione, Gerlach, che ha la piena fiducia del papa, è in grado di carpire i più importanti segreti militari italiani. Quando l'intrigo sarà scoperto, il monsignore sarà fatto fuggire e riceverà trionfali accoglienze alle corti tedesca e austriaca.
Con questa battuta, pronunciata alla vigilia del plebiscito dell'aprile 1938 che avrebbe sancito l'Anschluss, Pio XI sintetizzava il suo giudizio sui protagonisti delle vicende che portarono alla fine ingloriosa della prima repubblica austriaca. In effetti, nel momento in cui risultava a tutti ineluttabile il crollo del piccolo Stato alpino, e tutti apparivano rassegnati all'evento, quella della Santa Sede si trovò ad essere l'unica voce, in Europa, decisa ad opporsi all'espansionismo hitleriano. Coglieva quindi nel segno l'affermazione di un alto prelato, secondo cui "dalla Cupola di San Pietro l'aspetto del mondo è più vasto e più vero". Proprio da tale ottica l'autore di questo saggio ha ricostruito le complesse vicende che precedettero e accompagnarono la fine dell'indipendenza austriaca. E lo ha fatto con cognizione di causa, sia perché sostenuto da un'attenta, approfondita analisi della letteratura sull'argomento, sia per il fatto di potersi avvalere di un'ingente messe di documenti vaticani riservati, solo di recente resi accessibili agli studiosi.
Nei decenni centrali del Cinquecento era in corso in tutta Europa una battaglia per il controllo delle coscienze che, con la nascita di varie confessioni, avrebbe ridisegnato il volto della cristianità occidentale. Anche in un territorio come Modena, operosa città dedita ai traffici e alla mercanzia, i colpi di coda di quegli eventi fecero sentire il loro peso. La comunità ereticale, sviluppatasi nel cuore della futura capitale estense, vide commercianti, lanaioli, frati e maestri di scuola farsi promotori di nuove dottrine talvolta pericolosamente vicine al radicalismo di gruppi guardati con crescente sospetto. Il "contagio" non risparmiò nemmeno i più alti ranghi del clero cittadino che, come accadde per vari esponenti del Capitolo della cattedrale, osteggiò l'operato riformatore dei vescovi. Attraverso documenti inediti, quasi un filo rosso sopravvissuto ai secoli, vengono ricostruite le vite di uomini e donne chiamati a rispondere di una fede ripensata, criticata o a volte persino rigettata del tutto.
Furono in molti, negli ultimi mesi della RSI, a varcare apertamente o di soppiatto il portone dell'arcivescovado di Milano per conferire con il "grande mediatore", il cardinale Ildefonso Schuster. Erano alti gradi delle forze armate, esponenti fascisti di primo piano, ufficiali della Wehrmacht germanica e addirittura delle SS tedesche. Tutti muniti di richieste e di proposte, tutti interessati e, anche segretamente impegnati, alla ricerca di uno spiraglio d'intesa allo scopo di evitare la resa dei conti e la conclusione traumatica del conflitto che da diciotto mesi insanguinava il Centro-Nord.