In questo volume il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione affronta una delle domande più diffuse in questo tempo dominato dall'incertezza: «C'è speranza?». L'impatto con la durezza della realtà ha fatto emergere tutto il proprio bisogno umano. Anche e forse ancora di più in questi tempi drammatici, il cuore di ciascuno non si accontenta di risposte parziali e grida il desiderio di qualcosa che sia veramente all'altezza della sfida. «Un imprevisto è la sola speranza», diceva Montale. Nella storia è risuonato l'annuncio di questo imprevisto che ha fatto sussultare i primi che incontrarono Gesù. Da allora il seme della speranza è entrato nel mondo e continua a mettere radici in persone incontrando le quali il cuore si riaccende e si rianima. Ci si trova addosso una «strana positività» e l'audacia di sfidare il male, il dolore e perfino la morte in forza di una esperienza presente.
Tracce n.11, Dicembre 2020
Il soffio di Dio
01.12.2020
C’è una frase di don Giussani che torna spesso, nelle conversazioni e nel lavoro comune delle ultime settimane. Segno di quanto abbia colpito chi l’ha sentita ripetere alla Giornata d’inizio anno di CL (vedi l’ultimo numero di Tracce), ma pure del fatto che la riconosciamo familiare, la vediamo accadere nelle nostre vite. «Il Signore opera anche a soffi». Non si impone con gesti clamorosi: suggerisce, invita, sollecita. Si propone alla nostra disponibilità ad assecondare i fatti che Lui opera. Alla nostra libertà.
Se ci pensiamo bene, pure il Natale è così. Un bimbo, inerme. Venuto al mondo in un angolo sperduto di quel mondo, una provincia marginale e sconosciuta dell’Impero. Meno di un soffio, nella storia. Eppure, è ciò che l’ha cambiata per sempre. Perché rende possibile viverla.
Senza l’Incarnazione, se Dio non fosse presente nella realtà, la vita sarebbe semplicemente impossibile. Si potrebbero, forse, reggerne certi urti – per qualche tempo, e solo per i temperamenti più forti –; ma il respiro della nostra libertà non potrebbe mai allargarsi sotto quegli urti, la pienezza della nostra umanità non potrebbe mai fiorire fino in fondo. Perché sarebbe impossibile vivere fino in fondo ciò di cui siamo fatti: il rapporto con il Mistero, con il Padre. Senza il Figlio – che vive di quello, che è venuto per incarnare, e quindi mostrare a tutti, quel legame decisivo con il Padre – non potremmo mai, a nostra volta, concepirci come figli. O meglio, magari potremmo riconoscerlo teoricamente, in qualche raro soprassalto di una ragione che sembra farsi sempre più fiacca – è un’evidenza che non mi faccio da me, che in questo istante sono generato da qualcun altro che mi vuole –; ma non basterebbe per viverlo, per affrontare la realtà partendo da quella evidenza, mantenendola nella coda dell’occhio e dello sguardo.
«Caro cardo salutis», la salvezza della nostra stessa carne è nell’Incarnazione, dice un’altra espressione, più antica, sentita spesso negli ultimi tempi. Ma serve un’Incarnazione presente, che ci raggiunge ora. Fatti e testimoni che ci sollecitano oggi alla stessa disponibilità, docile e stupita, dei primi, di quei pastori che hanno dato credito a quel misteriosissimo «soffio di Dio».
La vita è piena di testimoni così. Qualche piccolo esempio lo trovate anche nelle prossime pagine. Sono la Sua carne, Dio con noi. Buon Natale!
«La fede fa concepire e mobilita in modo diverso il mio rapporto con le cose che mi interessano, e così si crea un’esperienza di umanità diversa, ed è questa la verifica della fede». Giussani parlava così agli universitari del movimento, durante un’Equipe del 1981. In questo numero, raccogliamo le storie degli universitari di oggi, da varie parti del mondo, insieme ad alcuni passaggi tratti dall’assemblea e dalla sintesi all’Equipe del Clu di quest’anno, che ha riunito alla fine dell’estate 450 ragazzi proprio su quel tema: “La verifica della fede”.
Il vaccino
«Io, come reagisco alle situazioni che non vanno?», ha chiesto, a un certo punto della sua visita in Iraq, papa Francesco: «Di fronte alle avversità ci sono sempre due tentazioni». La fuga o la rabbia, diceva. Che non cambiano nulla. «Gesù, invece, cambiò la storia. Come?
Con la forza umile dell’amore, con la sua testimonianza paziente. Così siamo chiamati a fare noi. Così Dio realizza le sue promesse». Di una promessa che non è mai delusa – che si avvera per strade sommesse, inimmaginabili, attraverso la nostra debolezza – ha parlato Francesco davanti a quei testimoni per cui ha compiuto il suo viaggio, «testimoni spesso trascurati dalle cronache, ma preziosi agli occhi di Dio». Lui li ha guardati, ammirati, rimessi di fronte al mondo.
Per questo abbiamo voluto dare spazio alla sua visita nella terra di Abramo, alle parole e ai gesti di quei pochi intensi giorni tra Baghdad, Erbil, Mosul, Qaraqosh. Dove la violenza ha travolto tutto, il Papa ha indicato una realtà presente: esistenze in cui il male e la morte non sono l’ultima parola, perché Cristo è risorto. La vittoria della familiarità con Dio fonda la vita di uomini e donne, si rende concreta nel perdono, in storie precise, volti: è il popolo cristiano, una presenza umana che sembra sconfitta dalla storia. Eppure loro, perseguitati, sono stati spogliati di tutto senza perdere niente, perché hanno il tesoro che vale più della vita: l’essere intessuti di un rapporto, dell’appartenenza a Cristo.
Fermarsi davanti a loro e guardare, come ha fatto Francesco, può essere un contributo alla situazione in cui ci troviamo tutti. «Ci sono momenti in cui la fede può vacillare, quando sembra che Dio non veda e non agisca», ha detto: «Questo per voi era vero nei giorni più bui della guerra. È vero anche in questi giorni di crisi sanitaria globale e di grande insicurezza». Ma non è un problema di resilienza. È che quando la vita urge si rende più chiaro che cosa è all’altezza: trovare «persone che, vivendo in mezzo a noi, riflettono la presenza di Dio». Chi al posto di fuggire, tocca la realtà, la vive, senza essere in balìa delle circostanze, della sofferenza, l’ingiustizia, il blackout a Macapá o l’uragano in Honduras, le restrizioni quotidiane a ogni latitudine. Lo vedrete nei racconti che arrivano da varie parti del mondo, da comunità del movimento, magari di una sola persona, ma in cui dall’incontro con Cristo rinasce l’io, nasce un sentimento nuovo della vita che rende protagonisti.
«Sappiamo quanto sia facile essere contagiati dal virus dello scoraggiamento che sembra diffondersi intorno a noi», si legge nel discorso a Baghdad: «Eppure il Signore ci ha dato un vaccino efficace. È la speranza». La certezza di non essere più soli. «Non dimentichiamo mai che Cristo è annunciato soprattutto dalla testimonianza di vite trasformate dalla gioia del Vangelo. Una fede viva in Gesù è “contagiosa”, può cambiare il mondo».