Fra gli animali che da sempre accompagnano la vita degli uomini, il gatto e il cane si contendono la palma dei più amati, al punto che si potrebbe sostenere che buona parte dell'umanità si divide tra 'gattofili' e 'cinofili'. Tuttavia è certamente il gatto che ha giocato un ruolo più centrale di qualsiasi altro animale nell'ispirazione dei poeti, come dimostra questo volume, un'esauriente antologia di testi dedicati a questa presenza così comune, eppure sempre così enigmatica, nelle nostre case. Anche se l'antologia è particolarmente incentrata sulla poesia moderna e contemporanea, non potevano mancare alcuni testi più antichi, come il sonetto di Torquato Tasso, l'apologia' felina del poeta inglese Christopher Smart, i due haiku del poeta giapponese Basho e del suo allievo Shiko, che rispettivamente aprono e chiudono il libro. Fra questi estremi di diverse e lontane classicità, troviamo le poesie di romantici inglesi come Wordsworth, Shelley, Keats; di francesi come Baudelaire, Verlaine, Apollinaire, Prévert; di alcuni dei massimi poeti del Novecento, da Yeats a Rilke, da Borges a Neruda, da Pessoa a Garcia Lorca, da Alberti a Bukovsky, fino a grandi poeti dei nostri giorni come l'irlandese John Montague, la polacca Wieslawa Szymborska, la brasiliana Marcia Theophilo. Anche nella poesia italiana moderna la figura del gatto è ben presente. L'antologia offre, anche qui, una ricca messe di poeti fra i nostri maggiori, fino ad arrivare alle generazioni a noi più vicine.
"Todo el Amor" rappresenta l'unica antologia 'personale' di Pablo Neruda, che è andato egli stesso scegliendo e raccogliendo in questo volume quanto poteva meglio rappresentare l'ispirazione amorosa della sua poesia. Se è vero infatti che per Neruda è l'amore la forza maggiore della vita, è anche vero che questa fonte essenziale della sua poesia ha tardato a essere riconosciuta, tanto che lo stesso poeta confidava a Giuseppe Bellini, suo amico e massimo interprete della poesia nerudiana in Italia, la sua contrarietà a essere considerato solamente poeta dell'impegno, quando nella sua poesia aveva tanto posto il sentimento. Possiamo dunque pensare che sia stato proprio questo iniziale 'disconoscimento' a spingere Neruda a sottolineare questo aspetto della sua poesia in una apposita antologia. Il risultato è, come scrive Bellini nella prefazione al volume, "un nuovo libro di confessioni nerudiane, tanto più personale in quanto il poeta stesso lo ha 'costruito'".
Un poema dedicato a Gerusalemme, Città Santa per eccellenza, essendo tale per le tre principali religioni monoteistiche: Cristianesimo, Ebraismo, ed Islam. Ma Gerusalemme è anche la città martoriata, simbolo del tragico conflitto arabo-israeliano, un conflitto che sembra accompagnarci negli anni senza che mai davvero si profili una reale possibilità di soluzione. Con versi di straordinaria e drammatica intensità, Adonis ci svela il volto di questa splendida, enigmatica città, i suoi miti e la sua storia, la sua pesante eredità ma anche il suo tesoro per l'avvenire.
Gli appassionati lettori di Rainer Maria Rilke ben sanno quanto il tema dell'infanzia sia presente nelle opere del grande poeta praghese, forse anche a causa della sua stessa infanzia infelice, con i genitori ben presto separati, e poi con il precoce quanto detestato ingresso nell'accademia militare. In effetti, gli scritti di Rilke sono pieni di riferimenti all'infanzia: ci sono persino opere, come le famosissime "Storie del buon Dio", pensate appositamente per i bambini. L'infanzia per Rilke resta un luogo di sogni e insieme un luogo sognato, il momento magico in cui l'uomo vive per intero l'esperienza del mondo che gli sta intorno, un mondo che si apre a possibilità che paiono infinite. La presente antologia, a cura di Paolo Colombo, propone una scelta delle più belle poesie dedicate all'infanzia - la maggior parte delle quali vengono qui tradotte per la prima volta -, accompagnata da uno studio che precisa e sviluppa l'importanza di questo tema nel mondo rilkiano.
Più di ogni altra espressione poetica, e molto più degli altri grandi poeti russi del primo Novecento, la poesia di Marina Cvetaeva è caratterizzata da una straordinaria aderenza alle ragioni del sentimento, che pare impastare di sé ogni suo registro linguistico. Del resto, la stessa Marina scriveva: "La lirica pura vive di sentimenti. I sentimenti sono sempre uguali a se stessi. Non hanno evoluzione, come non hanno una logica. Ci sono stati ficcati dentro il petto - come fiamme di una torcia - fin dalla nascita". Anche per questo motivo, di particolare interesse è questa antologia di poesie d'amore, che se da un lato si offre come paradigma di un'anima costantemente in cerca di un 'tu' per potersi completare nel nome della grande passione, dall'altro diventa anche la cronaca spirituale di uno scacco esistenziale, che solo attraverso l'arte, attraverso la lingua della poesia, riesce a trovare la sua più autentica, e forse unica, sublimazione. I destinatari di queste poesie sono uomini e donne, amici e sconosciuti, persone reali o idealizzate: il marito Sergej Efron, la poetessa Sof'ja Parnok, i poeti Blok, Kuzmin e Pasternak, gli amanti avuti negli anni dell'esilio che non si sono mai rivelati all'altezza di una donna che chiedeva all'altro il "miracolo" della passione d'amore, perché "io devo essere amata in modo del tutto straordinario per potere amare straordinariamente".
"...La poesia vera, autentica, densa di umori, accesa da verità e da suggestioni che si fanno senso del divenire non nasce, non può nascere come un fungo o come una distillazione di sole letture, ma nasce da una serie di componenti che macerano nell'anima e fanno poi fiorire la parola che potrà dire qualcosa di importante e di nuovo. Ecco, la poesia di Piera Mattei è il frutto di questa confluenza di incontri e di scontri, di lacerazioni e di intuizioni, di esperienze e di analisi che si fondono con ragioni universali per diventare postille di una condizione umana esemplare. Non vedo in giro molti esempi, oggi, di poesia che sappia partire dal proprio io per farsi portavoce di interessi globali senza perdere una briciola della propria identità. E la scommessa sta, credo, proprio in questo equilibrio espressivo e di tematiche che oscillano verticalmente e orizzontalmente dal mondo degli affetti a quello delle amicizie, dei libri, dei viaggi, del sociale, del pensiero. 'Le amiche sottomarine' è un libro in qualche modo stimma del percorso di Piera, che si confessa in un modo tutto speciale, che diventa affluente e fiume di una se stessa frantumata, dilatata, ricostruita e perfettamente deserto e folla insieme..." (Prefazione di Dante Maffìa)
Rilke, come Kafka e Werfel, apparteneva a quella generazione di scrittori praghesi che si esprimeva in lingua tedesca. La sua poesia rappresenta senza dubbio il vertice più alto raggiunto dalla poesia di lingua tedesca nel Novecento – un po’ come è accaduto per la narrativa con uno scrittore come Franz Kafka. Rilke tuttavia, diversamente da Kafka, fu un grande e instancabile viaggiatore, dalla Russia all’Italia e alla Spagna e, soprattutto, alla Francia, paese al quale fu molto legato e che certamente influì in maniera determinante sullo sviluppo della sua poesia. Scritte in francese, queste “poesie francesi” furono composte dal 1924 al 1926, per lo più nei periodi di ricovero per l’aggravarsi della malattia che l’avrebbe di lì a poco condotto a una morte ancora precoce – aveva infatti da poco superato i cinquant’anni. Eppure queste poesie sono tutto fuor che il lamento di un uomo disperato; al contrario, respira in esse un alito leggero e nostalgico verso la vita e le sue forme, quasi un riposo dello sguardo sulle cose del mondo.
Questa antologia – che prende il suo titolo da una delle più belle poesie incluse, quella di Cesare Pavese – vuole offrirsi come un omaggio ad una delle presenze più assidue e più discrete degli animali nelle nostre case: il gatto. Da tempo questo straordinario felino si contende con il cane la palma di animale più amato dall’uomo; tuttavia, a suo favore, occorre dire che la presenza dei gatti in poesia supera forse quella dei cani. Dipenderà probabilmente anche dalle caratteristiche di mistero e di indipendenza che questo animale possiede; forse, però, dipende soprattutto da un’illustre tradizione che, se ha avuto in prosa il suo grande capostipite moderno nel racconto de “Il gatto nero” di Edgar Allan Poe, in poesia ha visto Charles Baudelaire come capostipite di una ricca e straordinaria serie di testi dedicati ai gatti: da Verlaine a Pascoli, da Corazzini ad Apollinaire, da Yeats a Neruda, da Lorca a Borges, da Pessoa a Montale, da Saba a Pavese, da Penna a Rodari, da Eliot a Éluard, da Ferlinghetti a Bukovsky, da Prevert ad Auden, da Fortini alla Szymborska, fino ad alcuni dei maggiori poeti italiani dei nostri giorni: Raboni, Benni, Marcoaldi, Dario Bellezza…
Scritto di getto fra il 5 e il 6 luglio del 1969, il breve poema "Un giorno ancora" si situa fra due opere molto importanti dell'ultimo Neruda: "Fine del mondo" e "La spada di fuoco". Ma cos'è quell'"ancora" (Aùn), che ne costituisce il netto e secco titolo originale? È innanzitutto un atto di presenza, un "esserci ancora" del poeta, ed è insieme un atto di rinnovamento e di rilancio, di "rigenerazione" per un'ancora maggiore aderenza alla vita. Come scrive Valerio Nardoni nella prefazione, tutta la carica semantica del titolo originale ricade su un verso programmatico, che chiude il primo dei ventotto frammenti di cui si compone il poema: debo aclarar aùn mis deberes terrestres, dove "aclarar" non significa semplicemente "chiarire", nel senso di "spiegare meglio", ma "rendere più chiari" i propri doveri. Ne scaturisce un poema urgente e asciutto, che ha le movenze di una scrittura "accaduta" così la definisce il poeta nel saluto finale - più che meditata, e che proprio in questa sua spontanea e felice sintesi riesce ad esprimere tutto il vigore e tutta la profondità della sua ispirazione.
Tragico eroe della tauromachia spagnola, divenuto figura mitica nell'Olimpo letterario grazie al celebre Lamento di Federico Garcia Lorca, e autore drammatico egli stesso, Ignacio Sànchez Mejias era intimo amico non solo di Lorca ma di tutti i più grandi poeti della cosiddetta 'generazione del 27', al cui interno operò come un illuminato e carismatico mecenate. Anche se il Llanto por Ignacio Sànchez Mejias resta senza alcun dubbio il testo più famoso e importante, Lorca non fu l'unico poeta della cerchia degli amici di Ignacio a volerlo ricordare in occasione della sua tragica scomparsa, due giorni dopo la fatale corrida dell'11 agosto 1934 a Manzanares. Il presente volume riunisce, oltre ad una nuova traduzione del Llanto lorchiano, le poesie dedicate a Ignacio da tre altri grandi protagonisti di quella straordinaria stagione della poesia spagnola: Rafael Alberti, Gerardo Diego e Miguel Hernàndez.
"Quello che forse più colpisce in questo libro limpido, musicale e profondo di Andrés Sánchez Robayna - uno dei protagonisti della poesia spagnola contemporanea - è la sua grande ricchezza, poetica e concettuale insieme. Partendo dai dati concreti della propria geografia fisica - le Canarie, le loro dune, il loro mare, il loro vulcano - e interiore - un'infanzia e un'adolescenza rivisitate o meglio ricreate nel loro 'senso' verso la poesia -, l'opera si allarga in tutte le direzioni: e a compiere questo miracolo è proprio 'il libro', non solo quello della memoria individuale del poeta, ma quello in cui sfociano tutti i libri, questo e gli altri, nostri e non nostri: la nostra storia 'verticale', se vogliamo, in cui tutto arriva a coesistere, in una sorta di presente persistente. È così che il libro si apre oltre la duna, e i suoi versi sono intrisi sì di storia letteraria, ma non nel senso esteriore che si potrebbe pensare; l'hanno assunta in se stessi, nella loro sostanza e fisionomia, e sanno ora costruire non semplici se pur eleganti reminiscenze, ma un vero e proprio ponte che permette loro di rappresentare una storia sempre nuova e originale, quella dell'uomo e della sua opera. " (Fabrizio Dall'Aglio)