In una casa di piacere tra le più rinomate di Praga, l'insistenza di un cliente piuttosto ripugnante e il rifiuto della giovane da lui prescelta scatenano un parapiglia generale che vede coinvolte tutte le ragazze, fino a quando l'improvviso arrivo di un soldato ne provoca l'immediata cessazione: quel soldato reca la notizia dell'assassinio a Sarajevo dell'erede al trono. È il preambolo della catastrofica guerra che porterà alla caduta dell'Impero asburgico e del suo mondo multiculturale e plurinazionale. Franz Werfel sembra quasi voler costruire nel suo lungo racconto "Lutto nella casa di piacere" (1926) una più o meno parodica allegoria di un mondo che svanisce, il mondo in cui egli stesso è vissuto e che ricorda con sottile ironia, ma con un affetto incondizionato, nel saggio che apre il volume. Tra gli attentatori di Sarajevo c'era anche il giovanissimo Nedeljko ?abrinovi?, protagonista del secondo dei racconti qui riuniti (1923, qui in prima traduzione italiana). Già in carcere e ormai fatalmente malato di tubercolosi, il narratore lo incontra e si sorprende a osservarne, ben oltre il rigido disprezzo dei carcerieri, la rassegnata compostezza, «la bellezza e la dignità della solitudine mortale». Una solitudine mortale: è quello che, altrettanto tragicamente ma per ragioni diversissime, avverte dentro di sé anche Francine, la protagonista dell'ultimo dei racconti di questo volume, "Scala d'albergo" (1927), nella sua ascesa verso l'abisso.
Fra gli animali che da sempre accompagnano la vita degli uomini, il gatto e il cane si contendono la palma dei più amati, al punto che si potrebbe sostenere che buona parte dell'umanità si divide tra 'gattofili' e 'cinofili'. Tuttavia è certamente il gatto che ha giocato un ruolo più centrale di qualsiasi altro animale nell'ispirazione dei poeti, come dimostra questo volume, un'esauriente antologia di testi dedicati a questa presenza così comune, eppure sempre così enigmatica, nelle nostre case. Anche se l'antologia è particolarmente incentrata sulla poesia moderna e contemporanea, non potevano mancare alcuni testi più antichi, come il sonetto di Torquato Tasso, l'apologia' felina del poeta inglese Christopher Smart, i due haiku del poeta giapponese Basho e del suo allievo Shiko, che rispettivamente aprono e chiudono il libro. Fra questi estremi di diverse e lontane classicità, troviamo le poesie di romantici inglesi come Wordsworth, Shelley, Keats; di francesi come Baudelaire, Verlaine, Apollinaire, Prévert; di alcuni dei massimi poeti del Novecento, da Yeats a Rilke, da Borges a Neruda, da Pessoa a Garcia Lorca, da Alberti a Bukovsky, fino a grandi poeti dei nostri giorni come l'irlandese John Montague, la polacca Wieslawa Szymborska, la brasiliana Marcia Theophilo. Anche nella poesia italiana moderna la figura del gatto è ben presente. L'antologia offre, anche qui, una ricca messe di poeti fra i nostri maggiori, fino ad arrivare alle generazioni a noi più vicine.
"Straniamento" è l'opera che forse più di ogni altra rivela l'influenza di Freud e della psicanalisi sulla scrittura di Franz Werfel. Il racconto si apre con Gabriele, la protagonista, in un letto di ospedale, e da qui la storia si dipana tra emozioni, pensieri e ricordi che si affacciano alla sua mente. Lo scrittore segue passo passo le azioni e i desideri della donna, a metà tra sogno e realtà; ed è così che il lettore viene condotto nei meandri di una sensibilità esacerbata, fino a sfiorare un passato inconfessabile, l'amore anche sensuale per il fratello musicista.
«Che questi bellissimi versi ci aiutino, ci guidino, ci ispirino, ci proteggano da ogni banale banalità e dalla cattiva cattiveria refrattaria alla vera bellezza». (Bernardo Francesco Maria Gianni Abate di San Miniato al Monte) «... il poemetto di San Miniato al Monte di Paola Lucarini traccia le tappe di un viaggio interiore che si dipana, passo dopo passo, respiro dopo respiro, nella storia di quel luogo millenario, nella preghiera dei monaci Benedettini Olivetani che lo hanno reso vivo nel ritmo dei secoli, ma anche nella stessa vocazione poetica che si fonde davvero, nel ritmo e nella vitalità del cuore, con l'invocazione della preghiera: Il silenzio orante è l'unica parola / di vero Amore, per comunicare. E poi nel celebre cimitero monumentale di San Miniato dove una improvvisa memoria di ricordi traccia i fili invisibili tra i vivi e i morti, in un dialogo tra la voce della poesia e la soglia della solitudine, mai realmente superata, ma accolta con la trepidazione quasi di una beatitudine. Così la stessa poesia è come il ricordo: "non è la realtà sognata o vissuta", per dirlo con Giancarlo Pontiggia, "ma il ricordo di quella realtà sognata o vissuta"...» (Carmelo Mezzasalma Superiore Comunità di San Leolino e Certosa di Firenze)
Apparso nel 1927 e ambientato nei primi anni dell'Italia fascista, questo lungo racconto di Franz Werfel è tra i suoi più interessanti, in particolare per la capacità dello scrittore di introdurci in una sorta di storia senza fine, o meglio di storia 'aperta' che ha gli stessi contorni nebulosi della vita reale. Racconto dell'impenetrabilità, "Il segreto di un uomo" è anche un racconto sull'arte, sulla commercializzazione dell'arte e sulla sua falsificazione; ed è forse questo l'aspetto che ancora oggi più ci colpisce: un viaggio profondo all'interno di un mondo in cui pare diventato impossibile riconoscere ciò che è autentico da ciò che non lo è, che si tratti di un'opera d'arte o si tratti invece della vita stessa delle persone.
Pubblicato nel 1901, La signora Berta Garlan narra la vicenda amorosa di un'insegnante di pianoforte. Sposata a un uomo che non ama, Berta resta ben presto vedova e continua a vivere da sola con il suo bambino in una piccola città danubiana. Nulla sembra poter ormai cambiare un destino già segnato da rinunce e privazioni, quando una gita a Vienna la farà incontrare di nuovo l'unico uomo che abbia davvero amato, un compagno di conservatorio divenuto nel frattempo un famoso virtuoso di violino... In questo romanzo Schnitzler ci regala una bellissima figura femminile, della quale sonda l'anima con grande sensibilità e modernità, descrivendo la difficile condizione sia economica che sociale di una donna di quei tempi e l'impossibilità di sfuggire a un'esistenza infelice. Ma la profondità di Schnitzler va al di là delle contingenze dell'epoca storica: come fece notare il padre della psicoanalisi Sigmund Freud, la sua arte, con il suo scetticismo, la sua penetrazione nella verità dell'inconscio e nella natura delle pulsioni umane, la demolizione delle certezze convenzionali della società e la polarità di amore e morte, attinge a un valore universale.
"Muss. Ritratto di un dittatore", è un documento prezioso per comprendere il complesso e spesso conflittuale rapporto di Malaparte con il fascismo. La sua stesura, iniziata durante la permanenza di Malaparte a Parigi, ha occupato un lasso di tempo di venti anni, dal 1931 fino ai primi anni Cinquanta. Proprio questa lunga gestazione è il miglior indice del travagliato rapporto di Malaparte con il regime e più ancora con la figura di Mussolini. Previsto inizialmente come una biografia di Mussolini con il titolo "Il Caporal Mussolini", il saggio si è in realtà sviluppato come un'analisi critica del fascismo, che a Malaparte appariva nei suoi tratti di stato di polizia come l'ultimo portato della Controriforma. Oltre che sul rapporto dello scrittore con il fascismo, le pagine di Muss sono interessanti proprio per l'acuto giudizio critico di Malaparte anche sul nascente nazismo, visto come un primo esempio di dittatura moderna capace di indurre il popolo a credere che «il dittatore moderno sia un essere soprannaturale». Non deve dunque sorprendere che poco dopo il suo ritorno in Italia Malaparte venisse arrestato nel 1933, su denuncia di Italo Balbo, con l'accusa di avere svolto all'estero attività antifasciste, e inviato al confino sino al 1934, quando venne riabilitato dallo stesso Mussolini. Lo scritto "Il grande imbecille" completa questo volume.
«... La protagonista di questo poemetto, in mezzo al teatro naturale scrutato e sorpreso con grande forza poetica, si fa donna volpe, donna albero, donna collina nel tentativo di comprendere cosa significhi in quel momento o torno di vita, decisivo, ferito, doloroso, essere completamente donna. Guardando le tracce e i movimenti, specie di lei, la volpe, che diviene specchio, sorella, anima quasi. Non è certo la prima volta che in poesia questo tentato rispecchiamento tra momento morale e natura si dispiega con tale forza e sorprendente densità. Ma qui si è come portati all'interno di questo movimento. La de Filippis ha una speciale genialità nel tenerci attoniti e immersi. Riesce a farci vivere quel confronto, dolce ma anche spietato, tra natura umana e natura dall'interno, in movimenti cangianti e vivissimi. Ha versi che ti si piantano nelle costole e pensi: che brava...» (Dalla prefazione di Davide Rondoni)
Anima "dedita al suo fine", giardiniere "in un giardino smisurato", fanciullo heideggerianamente "destinato-a-scrivere", l'io lirico che abita queste pagine sente l'arduo compito che gli è stato affidato: "triturare l'apparenza, sfondare i limiti del senso", rammemorare al lettore l'unità profonda di spirito e vita, presenza e memoria. Ogni oggetto materiale, ai suoi occhi, si fa simbolo, ravviva "lontananze irriducibili", svela patti, alleanze, l'eden che fu prima della storia, e prima di ogni diaspora, "il quid che unisce rocce a scheletri". Al pari di un monaco medievale - evocato nella poesia d'esordio - egli sa di non essere che uno strumento di potenze più alte: sul modello sublime dell'opera dantesca, si fa umile scriba, si limita a trascrivere ciò che gli viene dettato. Non gli sfugge la difficoltà del compito, l'irriducibilità della parola, la forza oscura e contraddittoria dei fatti: eppure non rinuncia alla sua caccia spirituale, a invocare i suoi nomi, i suoi luoghi fatali e privilegiati: "il mio giardino / e un bimbo, un arcipelago / in tempesta, e tutto intorno Genova, / scalena e verticale". Nel catino di un'infanzia ormai remota, nelle letture che lo emozionarono un giorno, era già la radice di ogni dopo: l'aurea isola di Stevenson conteneva ben altre mappe, ben altri tesori. Come già le bellissime prose di "Il mondo senza Benjamin, L'opera in rosso" parla di una vocazione poetica, e del senso profondo di ogni fare poetico. Presentazione di Giancarlo Pontiggia.
Da Istanbul a Diyarbakir, in terra curda, un treno corre lungo un'immensa steppa. A bordo c'è Yusuf, che non ha più né padre né madre, e neppure un nome: Yusuf è un sospetto agli occhi di un potere sempre più totalitario, e lascia alle spalle la sua città attraversando un paese scosso da una serie di attentati. Davanti a lui c'è 'Poeta': un terribile segreto sembra legarli indissolubilmente... Apparso nel 2002, e subito acclamato come uno dei migliori romanzi della nuova narrativa turca, "Tol" (parola curda che significa 'vendetta') è sì la storia di una vendetta, come recita il sottotitolo, ma è anche la storia di una misteriosa e paurosa odissea tra le colline dell'Anatolia e i guerriglieri del Kurdistan, sulle tracce di una rivoluzione impossibile: un viaggio nella geografia, nella storia e nell'anima di un paese, la Turchia, che è ancora oggi al centro dell'interesse del mondo intero, sia per la sua posizione strategica, sia per il suo complesso e contraddittorio cammino verso un'evoluzione democratica che pare ancora lontana.
La figura culturale, politica e umana di Piero Gobetti, il grande intellettuale di "Energie nove", de "La rivoluzione liberale", de "Il Baretti", lo scopritore di Eugenio Montale, la figura di un intellettuale che, secondo le parole di Norberto Bobbio, "resta un esempio unico e meraviglioso di un'opera consumata in pochissimi anni e apparentemente compiuta", è ben nota a tutti. Meno nota la figura di Ada Prospero, che Gobetti sposò nel 1924, due anni prima della morte, ma con la quale ebbe un rapporto privilegiato fin dal 1916. Si può senz'altro dire che, dato il rapporto tra i due, non si possa intendere appieno la storia di Piero Gobetti se non alla luce di quella di Ada Prospero. Questo volume ripercorre la storia di Piero e Ada Gobetti attraverso i loro diari inediti proposti in modo incrociato e un'amplissima selezione di lettere dal loro epistolario. In questo modo le pagine private si intersecano alle più importanti pagine politiche e alle vicende dell'avvento del fascismo e del formarsi dell'antifascismo. I testi sono preceduti da un esame storico e corredati da note che scandiscono e chiariscono le tappe della vita di Piero e di Ada. Ne scaturisce un affresco che restituisce i tanti fili di un'eccezionale storia di cultura e di impegno, oltre che di una straordinaria storia d'amore.
"Todo el Amor" rappresenta l'unica antologia 'personale' di Pablo Neruda, che è andato egli stesso scegliendo e raccogliendo in questo volume quanto poteva meglio rappresentare l'ispirazione amorosa della sua poesia. Se è vero infatti che per Neruda è l'amore la forza maggiore della vita, è anche vero che questa fonte essenziale della sua poesia ha tardato a essere riconosciuta, tanto che lo stesso poeta confidava a Giuseppe Bellini, suo amico e massimo interprete della poesia nerudiana in Italia, la sua contrarietà a essere considerato solamente poeta dell'impegno, quando nella sua poesia aveva tanto posto il sentimento. Possiamo dunque pensare che sia stato proprio questo iniziale 'disconoscimento' a spingere Neruda a sottolineare questo aspetto della sua poesia in una apposita antologia. Il risultato è, come scrive Bellini nella prefazione al volume, "un nuovo libro di confessioni nerudiane, tanto più personale in quanto il poeta stesso lo ha 'costruito'".