"La realtà è superiore all'idea" è uno dei principi che guidano il pensiero di papa Francesco. Ne parla, per la prima volta, nell'esortazione apostolica del 2013 Evangelii gaudium, al n. 231, quando affronta il tema del bene comune e della pace sociale. Bergoglio, evidentemente, intende metterci in guardia dal rischio di guardare la realtà attraverso le lenti non di rado distorte delle nostre categorie concettuali, talvolta frutto del nostro immaginario più che di un'esperienza diretta. Bene, esattamente come "la realtà è superiore all'idea", così la prassi dialogica - dal dialogo della vita quotidiana a quello segnato da vie spirituali - è sempre superiore a qualsiasi pur superba teorizzazione. Per dirlo con una frase chiave del bel film di Ermanno Olmi del 2007 Centochiodi, messa in bocca al protagonista, un professore di religione in piena crisi, "tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico".
Tra i più autorevoli sociologi della religione del secondo dopoguerra, Peter L. Bergher (1929-2017) con i suoi scritti di sociologia della conoscenza e di sociologia della religione ha avuto ampia eco anche in Italia, ispirando numerose ricerche empiriche. Ciò che lo ha reso atipico tra gli scienziati sociali è l’aver sviluppato un parallelo interesse verso la teologia; con la pubblicazione di opere che si propongono di ridire la fede cristiana nella modernità, caratterizzata non tanto dalla secolarizzazione quanto da un sempre più diffuso pluralismo religioso e culturale che ha messo in discussione l’autorità di tutte le grandi tradizioni, per cui nessuna di esse vien più data per scontata. Nelle pagine di questo saggio si presentano e si discutono le sue tesi, elaborate in vari scritti e verificate nel commento analitico del Credo degli Apostoli, in vista del progetto di delineare i tratti di una “teologia scettica”, nella scia della tradizione del liberalismo protestante inaugurata da Friedrich Schleiermacher. Il suo ragionamento è scettico poiché «non presuppone la fede e non si sente vincolato da nessuna delle tradizionali autorità in materia di fede […] e prende sul serio le contingenze storiche che danno vita alle tradizioni religiose». E tuttavia il suo argomentare «sfocia in una professione di fede cristiana, per quanto eterodossa».
Alla ricca letteratura filosofica e teologica “provocata” dall’esperienza globalizzata dell’emergenza sanitaria del virus, appartiene a buon diritto il testo del teologo Andrés Torres Queiruga che si interroga sul tema. Se non esiste soluzione al mistero dell’esistenza del male, una risposta è, però, chiaramente priva di senso: quella che lo riconduce a Dio. Se non si vuole restare imprigionati nel paradosso di Epicuro - se Dio non vuole impedire il male, non è buono; se non può, non è onnipotente - bisogna necessariamente cambiare prospettiva. Quello che intende fare il testo di Queiruga. La domanda sollevata dalla “catastrofe vitale” interroga il futuro della riflessione teologica e forse anche la pertinenza culturale del cristianesimo in epoca post-moderna. Un mondo-senza-male è impossibile: da questa consapevolezza deve ripartire anche la teologia e quella branca del suo sapere chiamata tradizionalmente Teodicea. La domanda che essa pone, allora, deve cambiare e, secondo Queiruga, essa diventa: perché pur sapendo che il mondo è finito, cioè esposto al male, Dio lo crea nonostante tutto? Il testo vuole dare il suo contributo al dibattito circa il futuro del cristianesimo (e della religione in generale).
La bellezza della fede e la gioia di credere: questa appare la chiave di lettura più adeguata per comprendere il documento "Porta fidei" di Benedetto XVI; dopo alcune considerazioni su questa chiave, affronteremo - sempre con l'ottica adottata dal papa in questo testo - la relazione tra la fede e le sue conseguenze etiche e di seguito i due capitoli classici del trattato "de fide": il contenuto della fede e l'atto di credere.
In un periodo storico nel quale non è chiaro quali siano i percorsi ecclesiali e teologici da intraprendere, il pensiero di Paolo De Benedetti (1927-2016) è essenziale e provocante. Mette in dubbio la logica occidentale nel fare Teologia. La mette in crisi e ci mette in crisi. Costringe chi lo ascolta a non essere banale nel parlare di Dio, della Bibbia, della fede e della vita. Nel leggere le Scritture Paolo De Benedetti spinge l’intercolutore a non fermarsi mai al primo “senso”, ma ad andare sempre oltre, fino ad arrivare al “settantunesimo senso”, cioè al “proprio” senso. Per De Benedetti la realtà della fede è misteriosa e sfuggente. Come il volto di Dio, che si mostra ma nello stesso tempo si nasconde, in un gioco quasi sempre incomprensibile. Le pagine di questo piccolo libro rileggono la vicenda esistenziale di Paolo De Benedetti come vicenda teologico- ecclesiale capace di aprire nuove piste di riflessione e di azione.
L’offerta del perdono è un segno vincente di pace in ogni conflitto lacerante, specialmente dove massima è la violenza come la guerra o il terrorismo. L’inizio della pace avviene mediante gesti unilaterali di riconciliazione, rinunciando all’accanimento contro il nemico. Questo capovolgimento di mentalità è l’orizzonte del presente libretto nato dal confronto con il nodo della violenza radicale, alla cui origini si trova una ragione che la giustifica come “dovere etico”. Insieme, credenti e non credenti, sono interpellati ad agire per consolidare un’etica nonviolenta, mossi da un cuore pacificato che cerca di fare ciò che è giusto al di fuori della ragione giustiziera e vendicatrice.
Il secondo quaderno della Rivista "la bellezza della fede", dal titolo Celebrare la fede è dedicato ad un argomento ispirato alla Costituzione Sacrosantum Concilium, promulgata esattamente cinquant'anni fa, nel 1963, ed è incentrato, nella parte monografica, sulla dimensione educativa della liturgia. Con l'intervento dei seguenti autori: Davide Brighi, Erio Castellucci, Giuseppe De Carlo, Dino Dozzi, Ugo Facchini, Rosino Gabbiadini, Giovanni Gardini, Sergio Gollini, Francesco Lambiasi, Claudia Manenti, Annalisa Marinoni, Emanuela Penni, Alessandro Russo, Loris Scarpelli, Serena Vernia, Gilberto Zappitello.
Forse solo le religioni possono dare ai popoli la visione, l'energia, la speranza e la perseveranza per dialogare con la Religione del Mercato, lottare contro di essa e riconquistare i suoi seguaci che hanno messo il dio del consumismo e la crescita economica al posto dell'unico Dio...
Oggi più che mai abbiamo bisogno di ripensare l'incontro con l'altro, con il diverso. Il pensiero e la pratica dialogica deve fare i conti con la paura e il rifiuto che vediamo così diffusi nelle nostre città. C'è, cioè, un'emergenza sociale e insieme culturale che va servita, capita, interpretata. Ma, in linea con la vocazione del gruppo che ha proposto tale tema, c'è un'emergenza ecclesiale. Le chiese sono ancora timide quando non chiuse su questi temi. Che pure sono temi "costitutivi" per le comunità ecclesiali: "mai senza l'altro" dice la Bibbia.
Inizialmente possiamo dire: così come esiste l'immensa biodiversità in natura come un fatto e come incommensurabile valore che merita di essere conservato, in maniera analoga esiste la diversità delle religioni come fatti e valori da avvalorare dal momento che sono manifestazione dell'umano e dell'esperienza religiosa dell'umanità. Non è giusto pensare e affermare che solamente una specie debba prevalere, piuttosto il suo contrario; tutte le specie hanno valore e insieme rivelano le virtualità del mistero della vita. In maniera simile, non è giusto affermare che solamente una religione è vera e che le altre sono decadenza, dal momento che esse tutte rivelano qualcosa del mistero di Dio e rivelano le molteplici forme che abbiamo per camminare in fedeltà e amore verso Dio. La fede cristiana possiede categorie che le permettono di alimentare una attitudine positiva davanti al pluralismo religioso.