Due grandi misteri percorrono la storia della tradizione occidentale: il Sacro Graal, il "calice del sangue" usato da Gesù nell'Ultima Cena, e l'Arca dell'Alleanza, costruita dall'antico popolo israelita per contenere le tavole dei Dieci Comandamenti. La Bibbia è ricca di riferimenti all'Arca e al suo potere immenso di distruggere armate e spianare montagne, ma le sue tracce si perdono nel mistero. All'improvviso, dopo la caduta del Tempio di Salomone, ogni riferimento alla reliquia scompare dai documenti. Stessa sorte accaduta al Graal. Svanito nel nulla.
In un viaggio avventuroso tra Europa, Medio Oriente ed Etiopia, sfidando mille pericoli, Graham Hancock va alla ricerca dell'Arca, risalendo all'origine di miti e leggende, rovistando in archivi polverosi, tra reperti, documenti storici e società segrete. E riesce dove molti altri studiosi hanno fallito. Scopre che le storie del Graal e dell'Arca si intrecciano e si confondono e chiamano in causa crociati, Templari, massoni, epiche battaglie e sovrani di tutta Europa.
Avvincente come un thriller, ma riccamente documentata, una grande indagine che svela dove si trovano, come ci sono arrivati, e perché vengono tenuti nascosti due dei più simbolici manufatti della storia.
Nel mondo in cui è nato Newton Knight, l'onore di un uomo si misura sul numero di schiavi di sua proprietà. Suo nonno Jackie è uno degli uomini più onorevoli del Mississippi, a metà dell'Ottocento. Nel mondo di Newton Knight, i neri devono stare al loro posto e non alzare mai la testa. Non sono permessi matrimoni misti, ma nulla vieta al padrone bianco di approfittare delle sue schiave.
Ci vuole uno spirito molto ribelle per non adeguarsi a quello che è considerato l'ordine naturale delle cose. E prima di diventare un fuorilegge a capo di una banda di disertori, Newton Knight è stato un ribelle. Non ha simpatia per la schiavitù, né per le ingiustizie. E ha capito che le barriere tra bianchi e neri non sono così rigide. E si possono spezzare. Amando Rachel, per esempio, una delle schiave del nonno.
Allo scoppio della guerra di Secessione, Newton decide di ribellarsi alle violenze dell'esercito confederato, a cui appartiene, e di disertare. Altri uomini si uniscono a lui e, con il sostegno di schiavi e di bianchi antischiavisti, Newton dichiara la contea di Jones indipendente e dà inizio alla prima comunità mista del Mississippi.
Nel momento di maggiore divisione dell'America, mentre intorno infuria una sanguinosa guerra civile, nella contea di Jones uomini e donne, bianchi e neri, combatteranno insieme per la libertà e la giustizia.
La donna è un abisso di mistero che gli uomini faticano a comprendere, per questo a volte ne hanno paura, e definiscono irrazionalità o isteria quello che semplicemente sfugge al loro controllo. È la femminilità stessa che spesso li ossessiona. Per quattro secoli a questa ossessione è stato dato il nome di strega. Dal Medioevo alle soglie dell'Illuminismo, e oltre, sono state centinaia di migliaia le donne torturate, processate, mandate al rogo con l'accusa di stregoneria, un olocausto misconosciuto, una follia persecutoria alimentata da cupidigia, ignoranza e superstizione. Tanto folle che Michel de Montaigne, il grande filosofo francese, si stupiva che la religione cattolica non annoverasse la crudeltà tra i peccati capitali. Non ci voleva molto a essere sospettate, e spesso erano le donne più libere, anticonformiste o esperte di medicamenti a fare le spese dell'ottusità del potere. In Italia come in Francia, Germania e Spagna, nel Vecchio Mondo come nel Nuovo. Nel racconto dei principali processi di stregoneria, ricostruiti sulla base di atti processuali e documenti dell'epoca, rivive una lunga pagina che solo l'oblio del tempo può farci avvertire folcloristica, ma che è stata una vera e propria persecuzione. Oggi lo chiameremmo femminicidio. Attraverso i ritratti di alcune di queste donne, e l'accanimento con cui sono state trattate, si possono illuminare molti aspetti dei rapporti tra i sessi nel corso della storia. E perfino del presente.
Con un improvviso impressionante fragore, lungo tutta la linea delle mura i turchi si precipitarono all'assalto, lanciando urla di battaglia, spronati da tamburi, trombe e pifferi. Le truppe cristiane fino a quel momento erano rimaste in silenzio, ma quando le sentinelle dettero l'allarme, una chiesa dopo l'altra, in tutta la città, cominciò a far suonare le campane, finché ogni campanile fece sentire il suo squillo. I fedeli seppero così che la battaglia era cominciata. Per tutta la notte, le congregazioni attesero in preghiera. Ma sulle mura non c'era tempo per le preghiere. La notte del 29 maggio 1453, dopo un assedio di otto settimane, il sultano turco Maometto II ordina l'assalto finale a Costantinopoli, l'odierna Istanbul, ultimo baluardo dell'Impero Romano d'Oriente. L'imponente esercito ottomano, dotato di armi all'avanguardia e formato da migliaia di soldati, anche occidentali, venuti da ogni parte d'Europa per combattere contro i loro fratelli, si lancia contro le mura. La città, una delle meglio fortificate dell'epoca, non riesce più a contenere l'impatto nemico: il rapporto di 11 ottomani per ogni bizantino ormai non lascia scampo. A niente erano valsi gli appelli dell'imperatore Costantino XI, che si era recato di persona a mendicare l'aiuto dei sovrani europei contro il pericolo turco. I pochi rinforzi promessi non sarebbero mai arrivati in tempo. A nulla valgono nemmeno le preghiere che da ogni chiesa si levano, invocando l'Angelo vendicatore...
25 luglio 1943. All'annuncio della destituzione di Benito Mussolini, folle festanti invadono le città italiane. L'esito disastroso del conflitto in cui il capo del fascismo ha trascinato il Paese ha capovolto il mondo di certezze che il regime aveva costruito in vent'anni. Tutti sono convinti che la fine della guerra sia ormai imminente. Quando però, l'8 settembre, finalmente arriva l'armistizio con gli Alleati, è subito chiaro che il peggio comincia proprio in quel momento. È in questo clima drammatico che si incrociano le vite di alcuni giovani: Alberto, che dalle battaglie in Africa settentrionale è tornato invalido e pieno di amarezza e di rancore; suo fratello Eugenio, ancora pronto a battersi e sacrificarsi per il suo ideale fascista; Anita, loro sorella adottiva, militante comunista, e infine Stefano, che già ha combattuto contro il fascismo in Spagna. Le loro storie sono parte della nostra storia. Storie di vincitori e vinti, di vittime ed eroi, di uomini e donne posti di fronte a scelte irrevocabili e dolorose, che li contrappongono in una atroce guerra civile. Senza falsa retorica o facili ideologismi, Guido Cervo mette la sua penna di formidabile narratore storico al servizio di una delle pagine più drammatiche della nostra memoria nazionale, dando voce, carne e sangue a una galleria di personaggi indimenticabili.
Lavarono con il loro sangue le pietraie del Carso e i dirupi dell'Altopiano. Nel corso del conflitto più spaventoso della storia, diedero la vita per una patria che non avevano mai conosciuto se non con la maschera di un potere centrale lontano, arrogante e rapace. Ogni anno si celebrano con enfasi insensata le ricorrenze della Prima Guerra Mondiale, ma da nessuna parte si sente dire che l'assoluta maggioranza delle vittime era gente del Sud. Un'intera generazione spazzata via. Figli del Meridione, contadini poveri, braccianti, piccoli artigiani, quasi per metà analfabeti, giovani di vent'anni che furono strappati alle loro famiglie e alla loro terra e mandati a morire in lande remote, tra montagne da incubo e pianure riarse. Si sacrificarono per gli interessi di quelle élite economiche che sfruttavano la loro terra e per il tornaconto di una nuova classe politica che li trattava con ferocia o disprezzo. Finirono a decine di migliaia nelle trincee, stretti nella morsa del fango e del gelo, sotto una pioggia perenne di bombe. Diventarono carne da cannone, numeri da inserire nelle statistiche dello Stato Maggiore, bandierine che i generali spostavano sulle mappe con noncuranza. Vennero massacrati sull'Isonzo e a Caporetto, combatterono con disperazione e con valore sul Piave, lanciati contro un nemico che non conoscevano e che non avevano motivo di odiare. Conobbero la paura, la morte, l'eroismo. Erano i nostri nonni, i nonni del nostro Sud. L'esercito dei terroni. Prefazione di Pino Aprile.
Umiliate, torturate, maltrattate, denutrite, annichilite dalla violenza, la fame e la paura, gli occhi vuoti e il grembo freddo, le prigioniere dei campi di concentramento e sterminio nazisti hanno strappato a Primo Levi il grido "Considerate se questa è una donna." Ma le recluse non erano le uniche donne in quegli inferni sulla terra. Benché i loro nomi siano meno noti di quelli dei loro sanguinari complici, come Mengele, Himmler, Goebbels, furono molte e non meno crudeli le donne che hanno lavorato nei campi e si sono applicate spesso con più accanimento degli uomini a infliggere torture e morte. Maria Mandel, la "bestia di Auschwitz", amava prendere a calci sul viso i prigionieri. Ilse Koch, la "cagna di Buchenwald", si faceva confezionare paralumi con la pelle tatuata delle sue vittime. Hermine Braunsteiner è responsabile di almeno 200.000 morti. E sono solo alcune. Non tutte erano povere, molte erano spose, madri, lavoratrici. Potevano scegliere. E hanno scelto deliberatamente il male. Per senso del dovere, per obbedienza, "per assaporare", come ha detto una di loro, "il potere, la superiorità, il diritto di decidere della vita e della morte delle detenute." Nessuna di loro si è pentita. Sulle atrocità commesse da queste donne su altre donne la storia è stata a lungo reticente, quasi imbarazzata. Chi dà la vita può scendere all'abiezione più pura senza esservi costretta? Nei ritratti di alcune di loro, la terribile risposta.
In una gelida mattina di febbraio del 1943 vicino a Vienna, Georg, insieme a seicento ragazzi, promette fedeltà a Hitler, diventando un soldato del Reich. Ma sa bene che il Führer non sarebbe fiero di lui se fosse a conoscenza di quello che egli ha da poco scoperto. Che è ebreo. Un dettaglio ininfluente nella sua vita fino a quando la Germania non ha annesso l'Austria. Ora è l'unica cosa che conta. Così, mentre la madre nasconde ebrei in casa e li aiuta a fuggire, Georg viene mandato a combattere sul fronte russo proprio dopo la più grande sconfitta subita dai tedeschi fino allora, a Stalingrado. Con i suoi compagni poco più che adolescenti, si troverà scaraventato nell'inferno bianco, a rischiare la vita per un uomo che lo odia, combattendo contro coloro da cui spera di venire sconfitto. Questa è l'eccezionale testimonianza di un ragazzo nel gorgo di eventi che lo sovrastano, che ha vissuto per anni soffocando sensi di colpa e sentimenti contrastanti per quel giuramento che forse lo ha salvato. Solo anni dopo, ormai artista affermato, ha scoperto che c'erano anche altri soldati con sangue ebreo tra le fila dell'esercito nazista. Perché a volte il posto migliore dove nascondersi è sotto gli occhi di tutti.
È la sera della cena di gala, il momento clou della crociera sulla nave dei sogni, un immenso castello moderno che solca le onde celebrando il dominio dell'uomo sull'acqua. In comune con il Titanic però la Concordia ha solo lo sfarzo, perché la sua sicurezza è totale, affidata all'esperienza del comandante e alle macchine. È grazie alle macchine che la nave è viva. Senza di loro, quattromila persone andrebbero alla deriva. All'improvviso, l'acqua tracima dalla piscina per poi rientrarvi, quasi un avvertimento dell'elemento che l'uomo si illude di imbrigliare. Gli armadi si spalancano, i tavoli vacillano, gli ascensori impazziscono. Quando anche le luci si spengono e della nave rimane la sagoma cupa sullo sfondo più buio del cielo, dall'Isola del Giglio qualcuno coglie la tragedia, mentre a bordo comincia la notte più lunga. La notte del panico, delle speranze spezzate, delle vite intrecciate, dei codardi e degli eroi. Eroi come Russel Rebello, cameriere indiano, tanto fiero del suo lavoro che il suo bambino nella lontana India ha disegnato la nave chiamandola Russel II. Russel sa qual è il suo dovere: salvare i "suoi" ospiti. Attraverso i suoi occhi rivivono i divertimenti, gli svaghi e le storie di alcuni dei passeggeri imbarcati senza sapere che quel viaggio sarebbe stato il bivio della loro esistenza. Ed è sempre Russel a ricostruire in una sequenza mozzafiato le convulse ore dopo lo schianto. Perché lui è rimasto fino all'ultimo respiro della nave, è lui il vero capitano.
Sconosciute l'una all'altra ma accomunate dallo stesso destino, tre donne sono scampate alla morte e alla follia di Mengele ad Auschwitz riuscendo miracolosamente a nascondere di essere incinte. Costrette ai lavori forzati in una fabbrica di armi vicino a Dresda, e poi stipate con altre migliaia di vittime sul treno della morte diretto a Mauthausen, riescono a difendere caparbiamente la vita che portano in grembo. Una di loro dà alla luce una femmina appena prima del viaggio, un'altra un maschietto sul treno in condizioni disumane, e la terza varcando il cancello del campo. Luogo di nascita Mauthausen, riportano i certificati di nascita dei tre neonati. Tramontate le tenebre della guerra, per oltre sessant'anni ognuno dei tre bambini, ormai cresciuti, crede di essere l'unico uscito vivo dall'inferno in quelle condizioni. Ma le sorprese nella loro incredibile storia non sono ancora finite.
Un conflitto che ha accatastato venti milioni di morti, probabilmente il più sanguinoso dell'intera storia umana (per non parlare delle epidemie collegate, altrimenti si superano i sessanta milioni), è nato dalle menzogne di un duplice omicidio e dalla fucilazione di 50 innocenti. Un conflitto che decisero economia, politici e un manipolo di invasati... ma poi a combattere dovettero andarci i soldati. E fu una carneficina. Lettere e diari dal fronte sono stati sempre trascurati - al più lasciati alle cure delle Pro Loco che, di tanto in tanto, potevano scoprire qualche scritto di un loro concittadino. Ma quei fogli raccontano un'altra guerra. Una guerra insensata, da combattere con armi vecchie, indumenti inadeguati, cartine sbagliate. Con i piedi a mollo nel fango delle trincee, i gomiti appoggiati sulla neve, facendo colazione a un passo dai corpi dei caduti. Altro che l'epica e l'eroismo, altro che medaglie al valore. Dalla voce dei soldati traspare il dolore, la sofferenza, la necessità di obbedire a ordini spesso insensati e la voglia di mandarli tutti a quel paese. "Il nostro peggior nemico era Cadorna" dichiara efficacemente uno di loro. Rivelando segreti, Lorenzo Del Boca racconta l'altra faccia della Prima guerra mondiale, quella che la retorica ufficiale e i libri di scuola nascondono. Perché dovremmo deciderci finalmente a onorare il debito di riconoscenza nei confronti dei nostri nonni.
«Tiri su il suo body count o ha chiuso». Il generale Ewell incalzava senza pietà i suoi sottoposti in Vietnam con la conta dei morti. Era ossessionato. Nessuno doveva permettersi di abbassare il livello della sua divisione. 6.000 morti al mese come minimo, era l’obiettivo. Ne andava della sua reputazione di “macellaio” del Delta del Mekong. Tutto in Vietnam ruotava intorno al body count. Sulle pareti della mensa campeggiavano i punteggi settimanali di ogni soldato, in modo che tutti vedessero. E si regolassero di conseguenza. Se eri tra i primi avevi premi, licenze, casse di birra e altre piacevolezze. In caso contrario, stavi molto molto scomodo. Il sergente Roy Bumgarner pare ne abbia uccisi 1.500 da solo. E come lui, ce n’erano decine.
«Uccidi, uccidi, uccidi», urlavano le reclute per tutto l’addestramento. «Spara a tutto ciò che si muove» era l’ordine dall’alto per le missioni. Disobbedire non era contemplato. La retorica della guerra in Vietnam ha riconosciuto My Lai come l’unico crimine di guerra commesso dai soldati americani. La strage di 500 donne, anziani e bambini, tutto un villaggio, compiuta nel 1968 è definita un caso isolato, opera di mele marce.
Non è così. Basandosi su documenti riservati e sulle voci di testimoni oculari americani e vietnamiti, Turse costruisce un racconto mozzafiato e definitivo della “sporca guerra”.