Pur consapevole della temerarietà dell’impresa, l’autore non rinuncia a porre – con umiltà, convinzione e coraggio – la questione circa l’identità dell’essere umano. Procede con cautela e senza pretese definitive, esorbitanti. Si concentra sul “mimino” possibile. «La griglia dei temi e la loro interpretazione, pertanto, costituiscono un timido approccio al difficile fenomeno umano» (G. Ancona).
Dire l’uomo è un’operazione difficilissima, estremamente complessa e misteriosa. Nessun sapere sarà in grado di fornire risposte esaustive, soddisfacenti, capaci di esaurire una volta per tutte l’interrogativo fondamentale circa l’identità antropologica e il suo destino.
Dell’uomo si possono dire solo dei “minimi antropologici”, che stimolano la ricerca nei suoi percorsi interpretativi. Tali “minimi antropologici” vengono qui declinati secondo una griglia di temi (si potrebbe dire, nella forma di appunti), che costituiscono un timido tentativo di lettura dell’umano: i fenomeni che dicono l’esistenza umana nella concretezza del parlare, del conoscere e pensare, del lavorare, dell’amare, del soffrire e morire, del credere e sperare; l’interpretazione che dell’uomo viene offerta da alcuni saperi significativi (antropologia filosofica e culturale, neuroscienze, teologia); la presentazione di tre paradigmi del vivere concreto dell’uomo, che si offrono come orizzonti di “conquista” di una vita riuscita in pienezza.
Moltmann qui si conferma essere il grande autore tedesco di fama internazionale, un pensatore di grandi capacità, sempre in grado di stupire, la cui originalità emerge in tutta la sua acutezza. Sul "Dio vivente" e sulla "pienezza di vita", di per sé, il teologo tedesco già ebbe a scrivere. Eppure qui la ripresa di tali temi apre a un esito del tutto nuovo, ancora più sentito. Così, nella prima delle due parti in cui il libro è articolato, l'autore vuole liberare il Dio cristiano dai ceppi delle definizioni metafisiche: Dio è immutabile? Dio può soffrire? E, contemporaneamente: quello annunciato da Gesù Cristo è l'Onnipotente o si tratta forse di un Dio che ritrae la sua forza per lasciare spazio di libertà agli esseri umani? La seconda parte del libro si apre, poi, come un fiore, descrivendo l'esistenza umana nella pienezza della vita di Dio e raccogliendo le diverse considerazioni nel segno di una frase di Atanasio: «Il Cristo risuscitato fa della vita una festa senza fine». Proprio in questo contesto di riflessione emerge anche un piccolo gioiello: un ricordo autobiografico legato a Ernst Bloch e alla sua «verità come preghiera».
Come esseri umani finiti, noi siamo limitati, situati, dipendenti, vulnerabili, imperfetti. La nostra comprensione di noi stessi e del mondo si trova costantemente ad affrontare limiti e restrizioni. Come cogliere queste diverse dimensioni della finitezza (e le sue ambiguità) nell'ambito dell'antropologia teologica? Lo studio di Henriksen analizza le diverse interpretazioni del ruolo della finitezza nella vita umana e spiega perché possono giovare all'antropologia teologica. L'Autore fornisce infatti una mappatura della finitezza aperta sull'Infinito. E lo fa con la guida di filosofi come Merleau-Ponty, Heidegger, Ricoeur, Levinas, Marion, Jonas, Derrida; di filosofi della religione come Shults, Westphal, Neville, van Huyssteen; e di teologi come Pannenberg e Tillich.
La differenza tra l'uomo, maschio e padre, e la donna, femmina e madre, ritenuta un dato essenziale e imprescindibile della natura umana, è oggi posta in discussione dalla più recente cultura sessuale, che contesta la naturalità della differenza sessuale e rivendica il diritto di definire altrimenti il genere sessuale di appartenenza. Con l'intento di offrire gli elementi interpretativi e i criteri valutativi per orientarsi nel dibattito sulla cosiddetta questione del gender, il testo provvede, anzitutto, a delineare lo sviluppo delle teorie di genere e la loro incidenza sul piano politico-giuridico. Considerando poi la posizione della chiesa cattolica a livello di diplomazia, magistero e tendenze ecclesiali, opera una distinzione fra ideologia gender e prospettiva di genere, segnalando i limiti della prima e i pregi della seconda. Suggerisce, infine, alcune prospettive antropologiche e indica delle coordinate bibliche essenziali. L'idea sottesa alla riflessione proposta in queste pagine è che l'attuale questione gender non è certo priva di pericolose insidie per l'identità sessuata e le relazioni sessuali degli esseri umani. Tuttavia, costituisce anche una sfida antropologica che sollecita una nuova cultura delle relazioni tra uomo e donna, capace di scongiurare la prevaricazione dell'uno sull'altra e di valorizzare, anzi, la loro differente identità in vista del reciproco amore.
Differenziandosi dal classico "manuale", il presente volume presenta in modo puntuale e coerente i temi fondamentali dell'antropologia teologica: l'elezione (ovvero la predestinazione), la creazione, l'essere umano in quanto creatura, la grazia, l'essere umano in quanto peccatore, la sua giustificazione. Le pagine, appositamente pensate per l'insegnamento e per lo studio, sono scritte con un linguaggio che, senza inutili tecnicismi, facilita l'assimilazione del metodo e dei contenuti principali della disciplina. L'esposizione, evitando inoltre ogni ingenua e deleteria autoreferenzialità, tiene conto degli apporti delle scienze che studiano, secondo differenti prospettive, il mistero dell'essere umano.
Ricorrendo a tutta una serie di esempi concreti, il libro chiarisce i diversi aspetti della dignità umana, considerandola nella sua dimensione filosofica, teologica, culturale, giuridica. E insegna che soltanto se si riesce a pensare in grande a proposito della persona umana, la sua dignità non corre rischi di sorta.
Descrizione
“Dignità umana”, dignità di ogni singola persona umana, è un concetto che chiama in causa ideali e motivazioni ultime.
In nome della dignità si combattono guerre e ci si proclama pacifisti, si vuole proteggere la vita naturale e prestare aiuto a morire, si nega la vita non ancora nata o la si dichiara intangibile.
Al termine di argomentazioni etiche sta quasi sempre il rimando alla dignità dell’essere umano.
Questo libro cerca di chiarire, attraverso esempi concreti, i diversi aspetti della “dignità”, considerata nella sua dimensione filosofica, teologica, culturale, giuridica.
In sintesi: solo se si riesce a pensare in grande a proposito della persona umana, la sua dignità non corre rischi.
La tensione tra fede nell'incarnazione e svalutazione del corpo rispetto all'anima attraversa l'intera storia del cristianesimo. Ai giorni nostri la questione assume però nuove valenze: la pelle nuda di corpi eroticamente stilizzati è pressoché onnipresente. La presente raccolta di saggi cerca di riflettere da una prospettiva risolutamente teologica su questi sviluppi culturali. Con contributi di Regina Ammicht Quinn, Theresia Heimerl, Stefanie Knauss, Ulrike Kostka, Stefan Orth, Magnus Striet e Saskia Wendel.
Come individuano le Scritture ebraico-cristiane ciò che costituisce l’essere umano veramente tale e ciò che al contrario lo disumanizza? Un breve trattato sulla concezione biblica dell’uomo, che trova le sue coordinate nella categoria di alleanza e nell’evento dell’incarnazione. Un saggio che illustra la specificità irriducibile della prospettiva biblica nel contesto delle molteplici interpretazioni dell’umano fornite oggi dalla filosofia e dalle scienze.
Dalla quarta di copertina:
Cosa vuol dire essere uomo? Quando l’uomo è veramente essere umano? In cosa consiste la sua humanitas? Cosa fare perché l’uomo sia (o torni ad essere) umano? A queste domande, al centro della celebre Lettera sull’umanismo di Heidegger (1946), l’Autore, teologo e saggista, risponde attingendo alla sapienza biblica.
Ne risulta un breve trattato dell’umanesimo biblico, che trova le sue coordinate nella categoria dell’alleanza e nell’evento dell’incarnazione di Gesù il Cristo, e che viene illustrato nella sua specificità irriducibile nel contesto delle molteplici prospettive interpretative dell’umano.
Dalla quarta di copertina:
La tesi del volume è che la concezione dell’uomo come immagine di Dio, proposta dall’antropologia cristiana, se correttamente intesa e articolata, è in grado di garantire e difendere la vera “umanità” dell’uomo. Una tale concezione è capace di sostituire una identità debole, modulare, precaria, impersonale, con una identità “aperta”, nel significato di forte, universalistica, esemplare, non esclusiva, adottabile da ogni uomo, sotto ogni orizzonte di tempo e di cultura.
L’intento del volume non è tanto la ricerca e la determinazione dell’identità cristiana in se stessa e neppure la sua manifestazione storica, quanto la descrizione dell’identità dell’uomo cristiano nel nuovo contesto di una società globalizzata e dominata dalla rivoluzione biotecnologica. I fenomeni della globalizzazione e della rivoluzione biotecnologica influiscono profondamente nel cambiamento e nella determinazione delle coordinate antropologiche, che vanno, pertanto, ridefinite e riprecisate.
Questo volume si pone in continuazione ideale con il precedente, su L’antropologia cristiana tra modernità e postmodernità. La prima parte: L’identità aperta tra biologia e biografia, è dedicata alla descrizione dell’identità debole e impersonale, che è all’origine della questione antropologica. La seconda parte: L’identità aperta tra incarnazione e differenza, prende in esame l’identità forte, propria dell’immagine di Dio, che può dare una valida soluzione alla questione antropologica. La categoria dell’uomo immagine di Dio, nucleo dell’antropologia cristiana, ha una sua validità che supera le contingenze delle stagioni culturali, ed allo stesso tempo ha reso possibile lo sviluppo di una antropologia cristiana, non in contrapposizione alle altre antropologie esistenti, ma in dialogo con esse.
Recensioni:
"L'identità aperta" [...]: questo titolo è più che una provocazione, è un invito a riflettere sulla questione forse più urgente del nostro tempo: la relazione e l'incontro tra le diversità, il problema della loro reciproca armonizzazione in vista della promozione del bene comune.
R. Di Ceglie, in Asprenas vol. 54 (3-4/2007) pp. 349-352
Questa meditazione non intende spiegare il mistero dell'uomo, ma introdurre in esso, perché venga vissuto con speranza e certezza.