I profeti di ogni tempo non guardano solo al futuro, ma raccontano ciò che deve essere ricordato, sostenuto e fatto in un dato momento. Così, i profeti forniscono un orientamento soprattutto per il presente. In questo senso, la teologia di Jürgen Moltmann è sempre stata una teologia profetica. Un discorso su Dio radicato nel presente e orientato all'azione per un fu-turo migliore: una teologia politica della speranza. La catastrofe causata dalla pandemia somiglia un po' alla valle oscura del Salmo 23. Dio non ci evita la valle della morte, ma ci accompagna nelle nostre paure, cammina con noi nell'oscurità, senza risparmiarci l'attraversamento di questa valle oscura. Dio soffre assieme a noi per le nostre paure, e tuttavia conosce la strada giusta per noi. Per questa ragione non temo alcuna sventura, perché la sua lealtà, nella mia sventura, mi accompagna. «È vicino e difficile da comprendere Dio», scrisse Hölderlin: Dio è più vicino a noi di quanto ci sia dato comprendere, e proprio per questo è così difficile da definire. Eppure, possiamo confidare nella sua vicinanza. La fiducia in Dio porta fiducia in se stessi, quando è sincera. Tutte le previsioni scientifiche sono diventate incerte, la certezza del futuro del mondo moderno è stata infranta, ora è tempo di sperare.
La morte della moglie nel 2016 ha costretto Jürgen Moltmann a cambiare in modo radicale la propria vita. Non solo, ma ha indotto un teologo come lui - che tanto ha pensato e scritto sulla speranza umana nel tempo storico e nell'eternità - a verificare se tutto quel discorso è vero e regge alla prova dei fatti: la fede è in grado di sostenere un'esistenza e, anzi, un atteggiamento positivo di fronte all'esistenza? «Ho provato a imparare che cos'è la felicità che non passa. Ho cercato di immaginarmi com'è, dopo l'atto finale della morte, la risurrezione di tutta la vita che si è vissuta. Ho riflettuto sul morire e sul risvegliarsi di un'anima vivente» (Jürgen Moltmann). Cosa chiediamo quanto ci interroghiamo su una vita dopo la morte? Che cosa esprimono i cristiani quando parlano di vita eterna? In questo saggio incoraggiante Moltmann - lui stesso molto avanti negli anni - concentra il suo pensiero sull'inizio che sta in ogni fine della vita, anche nella fine di ogni vita umana. «Il mio obiettivo qui non è presentare un'ars moriendi, una preparazione alla morte, ma una preparazione alla risurrezione nella pienezza della vita che chiamiamo vita eterna. Quindi, direi, un'ars resurgendi» (Jürgen Moltmann).
«Nella mia giovinezza ho conosciuto il “Dio della speranza”. Ora, nella mia vecchiaia, conosco il “Dio della pazienza”. La speranza entusiasma, mentre la pazienza è faticosa. Ma se nella speranza noi accostiamo qualcosa di nuovo, solo nella pazienza lo manteniamo. È nella pazienza perseverante che la speranza diventa duratura».
Descrizione
Quando qualcuno ci viene incontro con pazienza, misericordia e solidarietà, ci dà tempo, spazio e forza per vivere. E noi, a nostra volta, avvicinandoci agli altri con identico atteggiamento, possiamo fare altrettanto per loro. Costruendo e alimentando convivenza.
Sono qui raccolte due sentite riflessioni del grande teologo di Tubinga: una meditazione personalissima sulla pazienza (e il suo legame con la tolleranza) e un trattatello su misericordia e solidarietà (non solo nel cristianesimo). Entrambi i testi si sviluppano in due direzioni di fondo: da un lato indicano qual è il significato di queste virtù, dall’altro suggeriscono dove le si apprendono e come le si praticano.
In questo libro – colmo di una speranza orientata a Cristo – si fondono allora in modo toccante la saggezza della vecchiaia e l’attesa del futuro, facendone uno scritto da consegnare nelle mani di tutti.
«Un bouquet di esperienze dense, intense, preziose – addirittura poetiche» (M.-J. Thiel).
Come abitiamo la terra? E come la lasceremo alle future generazioni? Sarà ancora «casa comune» per la varietà dei viventi, oppure gli squilibri che osserviamo e sperimentiamo già oggi determineranno mutamenti irreversibili e condizioni sfavorevoli alla vita nelle sue diverse forme? Di fronte alla crisi ecologica attuale possono ben poco allarmismi e catastrofismi. Serve piuttosto un'assunzione di responsabilità, personale e collettiva, alimentata dalla conoscenza dei problemi reali e da una più profonda riflessione. Il volume approfondisce questo tema attraverso il contributo di tre autori: Jürgen Moltmann, tra i più attenti promotori della causa ecologica e delle sue implicazioni etiche e politiche; Pietro Stefani, che avvicina la crisi ambientale richiamandosi alla tradizione biblica; Paolo Trianni, che prende in esame il vegetarianesimo nei suoi intrecci con l'etica ambientale.
Sin dall'inizio l'idea olimpica fu un'idea politica in grado di coniugare l'enorme capacità dello sport di agire come «parafulmine sociale» - quindi come elemento di distensione e di identificazione collettiva - e di misurare la stima di una nazione e della sua economia nel contesto internazionale.Coubertin mutuò dall'antica religione olimpica soltanto il rituale che gli serviva, e non le divinità: il luogo dei giochi doveva diventare un territorio sacro; l'entrata degli atleti una processione; il comitato olimpico un collegio di sacerdoti; il giuramento un rito di purificazione; le onoranze ai vincitori un omaggio delle nazioni. Una moderna religione in cui l'uomo celebra, invoca, sacrifica e premia se stesso. In tanti discorsi solenni - osserva Moltmann in questo breve saggio scritto dopo le Olimpiadi di Seul, alla fine degli anni Ottanta - si coglie facilmente la regia dei giochi «e si ha quasi l'ironica impressione che l'autore fantasma sia stato Ludwig Feuerbach e che il copione lo abbia scritto Karl Marx, perché è vero che questa moderna religione olimpica è un'immagine del desiderio, una fabbrica di sogni e oppio per il popolo».
Il testo propone una rilettura ecologica che sostituisce il modo tradizionale, antropocentrico, di leggere il racconto della creazione: da questa nuova prospettiva emerge che non è la terra che è stata affidata all'uomo, ma l'uomo che è stato affidato alla terra. L'autore invita poi a considerare la creazione non "dal principio", bensì "dalla fine", in visione escatologica. In conclusione, egli affronta il problema della morte e dell'uccidere, sia nell'ambito degli animali che in quello degli uomini, e il suo superamento nel regno messianico: un mondo senza morte.
Moltmann qui si conferma essere il grande autore tedesco di fama internazionale, un pensatore di grandi capacità, sempre in grado di stupire, la cui originalità emerge in tutta la sua acutezza. Sul "Dio vivente" e sulla "pienezza di vita", di per sé, il teologo tedesco già ebbe a scrivere. Eppure qui la ripresa di tali temi apre a un esito del tutto nuovo, ancora più sentito. Così, nella prima delle due parti in cui il libro è articolato, l'autore vuole liberare il Dio cristiano dai ceppi delle definizioni metafisiche: Dio è immutabile? Dio può soffrire? E, contemporaneamente: quello annunciato da Gesù Cristo è l'Onnipotente o si tratta forse di un Dio che ritrae la sua forza per lasciare spazio di libertà agli esseri umani? La seconda parte del libro si apre, poi, come un fiore, descrivendo l'esistenza umana nella pienezza della vita di Dio e raccogliendo le diverse considerazioni nel segno di una frase di Atanasio: «Il Cristo risuscitato fa della vita una festa senza fine». Proprio in questo contesto di riflessione emerge anche un piccolo gioiello: un ricordo autobiografico legato a Ernst Bloch e alla sua «verità come preghiera».
Il grande teologo tedesco si confronta con il tema dell'ermeneutica in uno scritto che unisce la profondità e l'ampiezza dello sguardo a un linguaggio volutamente chiaro, accessibile a tutti. La sintesi storica che Jürgen Moltmann magistralmente traccia non dimentica il tema escatologico che ne ha connotato la teologia.
Jürgen Moltmann è docente emerito di teologica sistematica alla Facoltà evangelica dell'Università di Tübingen. La sua riflessione ha segnato profondamente la teologia del Novecento.
Autobiografia del teologo tedesco Jürgen Moltmann, questo è davvero un documento affascinante per la vivace attualità degli eventi che narra. Al tempo stesso rappresenta uno sguardo retrospettivo ricco di humor che mette a fuoco le vicende di una vita piena di esperienze interessanti e di incontri significativi.
Dalla quarta di copertina:
L’autobiografia di Jürgen Moltmann è un documento affascinante di vivace attualità e allo stesso tempo uno sguardo retrospettivo ricco di humor su una vita piena di esperienze e di incontri significativi. Scritto in occasione del suo ottantesimo genetliaco, 8 aprile 2006, il libro non è solo la “storia di una vita”, ma anche un documento importante per la storia della teologia del XX secolo.
«Ho scritto questa storia di vita per tutti coloro a cui sono legato negli spazi più stretti e in quelli più ampi della vita: per Elisabeth, con la quale condivido la vita da cinquantaquattro anni, per le nostre figlie e i nostri nipoti, per i miei compagni di strada, per i miei compagni di sofferenza e per coloro che sono stati vicini alle mie gioie nella teologia e nella chiesa, nelle facoltà tedesche, nei seminari e nelle università di tutto il mondo, per gli studenti e le studentesse che mi hanno ascoltato annuendo o aggrottando la fronte o che hanno letto i miei libri, o che hanno dovuto leggerli, per i più di duecento dottorandi e non ultimo per i lettori e lettrici a me sconosciuti che prenderanno in mano questo libro. Devo però infine ammettere che scrivendo ho sentito semplicemente la voglia di raccontare e il piacere di scrivere».
Salmo 31,9: «Hai guidato i miei passi nel vasto spazio».
Ante el cristiano que se interroga por el futuro de la fe y por su porvenir liberador, Moltmann plantea este futuro como cuestión teológica, pues la escatología no afecta sólo al «último día», sino a la totalidad de los días: la fe se hace esperanza.