La scienza e l'"anima", il corpo umano e i rilievi della crosta terrestre, il percorso vitale del sangue nelle vene e della linfa nelle piante: sono le corrispondenze di cui è intessuta l'opera di Leonardo, artista e scienziato, instancabile osservatore di una natura che amava moltissimo e in cui cercava le risposte a ciò che più lo affascinava: il mistero della vita. Fritjof Capra ci accompagna alla scoperta di un Leonardo sorprendente e poco conosciuto: l'uomo dall'immaginazione straordinaria che si cimentò in campi scientifici che all'epoca non avevano neppure un nome, dalla fluidodinamica all'anatomia e all'embriologia, con una passione e uno spirito che sarebbero rimasti ineguagliati nei secoli.
Tra il 1494 e il 1495 Leonardo da Vinci, pictor et ingeniarius ducalis presso la corte di Ludovico il Moro a Milano, riceve l'incarico di realizzare un grande affresco nel refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie. Il soggetto, l'Ultima Cena di Nostro Signore, è tradizionale, ma l'opera - in cui Leonardo sperimenta tecniche di pittura murale a secco per eludere i limiti coloristici e di composizione posti dalla rapida esecuzione sull'intonaco fresco - segnerà un punto di svolta nella storia dell'arte. Ross King scava nei misteri del Cenacolo vinciano dipingendo a sua volta un affresco colorato e vividissimo della vita e delle vicende politiche di Milano e dell'Italia all'alba dell'era moderna, tra intrighi di potere, guerre e profondi sommovimenti politici. Attingendo a una grande messe di documenti noti e meno noti, alla sua competenza di esperto di arte rinascimentale e alla verve stilistica che ne ha fatto un apprezzato romanziere, King ci conduce insieme a Leonardo per le vie della Milano dell'ultimo decennio del Cinquecento a caccia di volti espressivi per i suoi apostoli e di libri appena giunti dalle stamperie di Venezia; sul ponteggio nel refettorio di Santa Maria delle Grazie ad applicare strati su strati di colori alla ricerca della tonalità perfetta; nei suoi alloggi in Corte Vecchia a parlare di matematica con Luca Pacioli e di architettura col Bramante, a progettare macchine volanti e a tenere a bada Gian Giacomo Capretti, il suo garzone di bottega.
Cavalli sospesi nel vuoto, bambini impiccati, Giovanni Paolo II abbattuto da un meteorite, un colossale dito medio nella piazza della Borsa di Milano. I suoi lavori spiazzano, indignano, dividono, ma chi è davvero Maurizio Cattelan? L'autore di opere essenziali che definiranno il nostro tempo nei libri di storia o un enfant terrible che si diverte a scandalizzare sebbene sotto sotto sia "serio come la morte"? In questa lunga e serrata intervista, il più noto e insieme il più sfuggente degli artisti italiani condivide per la prima volta con sincerità e ironia i ricordi, i dubbi, le riflessioni e le svolte di una vita avventurosa. Dall'infanzia a Padova segnata dalla malattia della madre all'adolescenza errabonda che lo ha visto lavorare negli obitori e negli ospedali, dalla scoperta della creatività - i primi mobili artigianali nel laboratorio di un cugino - al rifiuto di impiegarsi nel settore dell'arredamento e del design. Perché l'unica costante della sua vita è stata l'aspirazione all'indipendenza, a costo di sentirsi spesso escluso dal coro dei giovani artisti italiani e di andare a cercare idee a New York in attesa della telefonata di un gallerista. Che poi è arrivata, insieme agli inviti alla Biennale di Venezia, alla consacrazione da parte del mercato, alle grandi retrospettive degli ultimi anni e al bisogno di sfuggire ai meccanismi stritolanti della notorietà. "A volte è salutare restare al di fuori di un gruppo", sostiene Cattelan, e ha passato anni a dimostrarlo.
In Italia l’Arte Povera ha dettato
le regole, imponendo le proprie
scelte, tagliando le gambe ai non
allineati. L’esatto specchio della
cultura sessantottina: “se non sei
dei nostri, non esisti”.
A proposito di pittura, è ormai
opinione comune che nelle mostre
cool and trendy ce ne debba essere
il minimo indispensabile. Regola
non scritta, evitare i virtuosi del
pennello, e preferire il tratto incerto,
sgrammaticato, non finito.
Sul “Giornale dell’Arte” gli addetti
ai lavori hanno eletto Luca Beatrice
il peggior critico del 2009, Vittorio
Sgarbi lo ha definito il migliore.
In aperta polemica con chi sostiene che il Sessantotto abbia marcato la linea di confine anche della nuova arte italiana, Luca Beatrice sposta il vero momento della rivoluzione nel 1979. Di colpo ci si accorge che il colore e le immagini hanno la meglio sul grigio degli anni di piombo e dai pittori della Transavanguardia prende le mosse il nostro presente, avviato verso un “nuovo rinascimento”. Fra curatori-star, artisti pop, promesse mancate, comunicatori di talento, aste in TV e scandali in laguna, l’autore racconta con semplicità e chiarezza dove sta andando l’arte contemporanea nel Belpaese, nel quadro più ampio della storia culturale, musicale e televisiva degli ultimi trent’anni. Per tutti coloro che vogliono sapere che cosa è successo davvero, la prima storia revisionista dell’arte italiana dalla penna del “trasgressivo” e discusso curatore del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia del 2009.
L’arte non imita la vita, non fosse che per
paura dei luoghi comuni.
Josif Brodskij, Il canto del pendolo
Forse allora il senso dell’arte è un divenire qualcos’altro, dove questo altro ri-guarda la nostra esistenza. Dove il mistero è il movente, e l’imparare a vedere la nostra destinazione. Così, Il Gioco serio abbraccia l’opera d’arte, senza soffocarla in un unico sapere.
La nascita avventurosa di un prodigio
dell’architettura e del genio che lo ideò.
“Quale uomo, per quanto duro di cuore o geloso, non elogerebbe l’architetto Filippo al vedere qui una costruzione tanto enorme da ergersi sopra i cieli, abbastanza grande da fare ombra all’intera popolazione della Toscana, e realizzata senza l’ausilio di travi o eleborati supporti lignei?”
– Bernardo di Chiaravalle
Per costruire Santa Maria del Fiore i fiorentini avevano abbattuto intere foreste per ricavare il legname delle travi, raso al suolo vecchie chiese e quartieri, esumato i morti dalle tombe attorno al battistero di San Giovanni. La prima pietra era stata posata nel 1296, e nel 1418 mancava un solo particolare: la cupola. Sarebbe stata la più grande mai costruita e doveva levarsi verso il cielo senza sostegni visibili. Fu indetto un concorso e a vincerlo fu un orafo e scultore che sarebbe diventato un genio del Rinascimento: Filippo di ser Brunellesco. Un saggio in cui le vicende della costruzione della cupola e del brillante Brunelleschi, orgoglioso delle sue invenzioni e ossessionato dalle macchinazioni dei rivali, si intrecciano alla narrazione degli eventi – guerre, epidemie, lotte politiche – e dei fermenti intellettuali di un’epoca straordinaria. La creazione di un capolavoro, capace di resistere ai fulmini, ai terremoti, al passare dei secoli, che oggi incanta chiunque lo osservi da lontano o salga lungo le sue strutture; incarnando, ai nostri occhi, lo spirito del Rinascimento e di Firenze.
In questo volume Berenson passa in rassegna le grandi scuole e i massimi maestri della pittura italiana del Rinascimento. Scrisse Benedetto Croce: "Nel rileggere il libro su "I pittori italiani del Rinascimento", mi pareva di leggere quasi una continuazione della "Storia della letteratura italiana" del De Sanctis, col suo insistere sul carattere poetico proprio dei poeti, e qui di ciascun pittore. E vorrei osservare che le idee del Berenson hanno bisogno di abbandonare le angustie nelle quali sinora si sono rinserrate, ed essere accolte nei grandi saloni della filosofia, dove troveranno sede degna e possibilità di svolgimenti adeguati".
"Non c'è un limite a tutto. Non è vero che c'è un limite a tutto. Allo scempio, a quanto pare, non c'è limite. Perché lo scempio ci circonda, ci perseguita, ci assale in ogni luogo. Sai che cos'è lo scempio? Lo scempio è tutto quello che non eravamo e che siamo diventati, che non desideravamo ma che c'è stato imposto, che non avremmo mai immaginato e che invece si è materializzato, si è concretizzato, è divenuto il nostro volto e il nostro incubo. Il volto e l'incubo del nostro paese, la faccia orribile dell'Italia. Perché è lo scempio, ormai, il carattere dominante dell'Italia" (Vittorio Sgarbi).
"Percorsi perversi di un secolo già trascorso in cui si è visto, detto e fatto tutto e il contrario di tutto. Si è uccisa la figurazione e la si è fatta rinascere; si è affermata l'Avangardia fino a trasformarla in una dittatura e la si è fatta morire. Oggi l'Avanguardia è un fantasma che non inganna più nessuno. Eppure è ancora un linguaggio obbligatorio. Se osserviamo i moti, i passaggi, gli intrecci del Rinascimento, dell'età baroccca, del Settecento, vediamo diversità, varietà, contrasti, ma come aspetti di un pensiero unico o prevalente. Nel Novecento le linee dominanti sono molteplici, contrapposte, elusive: domina una babele di linguaggi che fa convivere le esperienze più lontane in una perfetta intolleranza." (Vittorio Sgarbi)
"Sono qui raccolti, per la prima volta convenientemente illustrati, alcuni dei saggi da me scritti nel decennio felice 1980-1990. Da un altro uomo, quindi, per il quale l'arte era soltanto fonte di godimento e non ragione di preoccupazione e di incertezza per il suo destino. Non mi riferisco, naturalmente, all'arte contemporanea a cui sempre minor necessità, almeno nelle forme tradizionali, si viene attribuendo di anno in anno. Mi riferisco alla conservazione di quella antica, sottoposta a restauri e a manomissioni che ne disperdono, assai frequentemente, l'aura e l'identità". (Dall'introduzione)