Tre spettacoli autonomi, eppure legati, per rappresentare i temi della povertà, della malattia e della vecchiaia. In Acquasanta un mendicante rievoca la sua vita da marinaio, ancorato alla prua di una nave immaginaria: ’O Spicchiato è stato lasciato a terra perché ha dichiarato il proprio amore al mare, “ ’a guagliona sua”. Il castello della Zisa è la storia di Nicola, un ragazzo down, che abitava nel quartiere popolare che dà nome all’opera. Da lungo tempo addormentato, in sogno si convince di avere una missione: difendere il castello che vede fuori dalla finestra. In Ballarini, due vecchi danzano e tirano fuori da un baule i loro ricordi: lui una bottiglia di spumante, lei un carillon. Sulle note del Ballo del mattone, festeggiano un capodanno di tanti anni prima.
La Trilogia degli occhiali è un’opera vulcanica, dolce e paradossale, che ci parla della nostra capacità (o incapacità) di vedere. Emma Dante conferma un talento poetico unico in Italia in questo nuovo lavoro che, alla ricchezza del mondo creativo dell’autrice, affianca una ricerca linguistica straordinaria sui dialetti dell’Italia del sud.
“Conversazione con la morte”, “Interrogatorio a Maria” e “Factum est” sono opere di vera poesia teatrale, nelle quali Giovanni Testori, il più forte e provocatorio drammaturgo italiano del Novecento, fa i conti con il mistero della propria fede. Una poesia caratteristica e inconfondibile, in cui sofferenza umana e religiosità sono inseparabili, e lo sperimentalismo – non solo linguistico – dello scrittore si mostra ormai maturo. Nelle parole dette dialogando con la morte, o interrogando Maria, e nel balbettio potente della vita che preme per nascere, Testori concentra e in qualche modo rivisita tutta la sua vasta esperienza di artista e di uomo. E pone sotto spietata inchiesta la cultura oggi dominante, indagandola con la sua lucida visione, la sua sincerità. E con il senso drammatico della sua personale speranza.
Un ritratto spietato e profondamente pungente del mondo della famiglia e dei rapporti tra i sessi, frutto di un'analisi degna della perizia di Freud. Un universo popolato da eroici capitani d'industria che sacrificano amore coniugale e paterno al lavoro e al potere, come il console Bernick o il costruttore Solness. Da antieroi o individui inetti sempre in attesa di compiere una trasformazione che non avverrà mai, come il dottor Stockmann o Johannes Rosmer. Da dolenti eroine, donne oppresse o represse, protagoniste di vicende luttuose e violente, come Nora o Hedda. E da strazianti figure di figli suicidi per amore dei padri come Hedvig e il piccolo Eyolf. Questa edizione raccoglie i dodici drammi (I sostegni della società; Una casa di bambola; Spettri; Un nemico del popolo; L'anitra selvatica; Casa Rosmer; La signora del mare; Hedda Gabler; Il costruttore Solness; Il piccolo Eyolf; John Gabriel Borkman; Quando noi morti ci destiamo) che l'inventore del "teatro del salotto borghese" dedica alla società sua contemporanea. L'aridità dei rapporti e la brutalità degli istinti si riflette nella lingua dura, carica di simbolismo, che questa nuova traduzione dall'originale norvegese restituisce in tutta la sua potenza innovativa e destabilizzante.
Medea ordisce una vendetta tremenda contro il marito che l'ha abbandonata, uccidendo i propri figli e negandogli così l'autorità paterna istituzionalmente riconosciuta. Il genio di Euripide ci presenta un'eroina tragica totalmente nuova per la cultura greca del tempo, una donna appassionata e lucida, in cui l'impulso emotivo si unisce a un estremo controllo intellettuale.
Sarebbe facile immaginare una messa in scena di "Spettri" con i protagonisti in chitone, maschera e calzari. Come nei grandi miti della tragedia greca, qui si mescolano incesto, follia, verità terribili dopo anni di menzogna. L'ambientazione però è quella di un'allucinata campagna norvegese, resa grigia e stagnante, come l'animo dei personaggi, da una pioggia battente. Un luogo in cui il sole e il calore arrivano inutilmente e sempre troppo tardi. Quello di Ibsen è un realismo che svela l'ipocrisia della morale borghese, fondata sul perbenismo e sulla religiosità di facciata. E questa storia è una denuncia coraggiosa che, come raccontano Roberto Alonge e Franco Perrelli nell'introduzione, fece bandire la "pièce" per molti anni dai palcoscenici norvegesi.
"Amleto" è l'opera che, più di ogni altra, inaugura la cultura moderna; anzi, per molti versi ne costituisce il mito fondante. Come personaggio "mitico", Amleto dà vita a un soggetto scisso, dilaniato, smarrito. Amleto è scisso, sul piano ideologico, fra fede umanista e scetticismo conoscitivo, fra segno e simulacro, fra cultura cattolica e riformismo protestante. È dilaniato, sul piano psicologico, dalla contesa fra nome del padre e richiamo affettivo della madre, fra passato aureo e presente decadente, fra eros e rifiuto del corpo, fra ragione e follia, fra follia recitata e follia sperimentata. Il titolo viene ripubblicato in una nuova veste editoriale, con la copertina che per l'occasione è stata realizzata da Giuseppe Palumbo.
"Addio eroi plutarchiani, eroi di Corneille, eroi da melodramma, tesi verso l'azione come verso l'unica verità, attratti dal rischio in cui si deciderà il loro riscatto o la loro eterna vergogna. Tale problema morale non sfiora nemmeno Pirandello, perché il problema non è nella scelta, nel dover essere, nella volontà ma nell'autenticità stessa dell'azione: che cosa è, cosa rappresenta in rapporto a noi che la facciamo, alla più profonda intimità e verità del nostro essere." Così, in un passo del celebre saggio che introduce questa edizione, Giovanni Macchia delinea l'essenza del teatro pirandelliano, "teatro-inquisizione", "stanza della nevrosi", luogo della "tortura dell'eterno divenire". Un'ampia e significativa scelta di ironici, provocatori, ispidi capolavori, da "Sei personaggi in cerca d'autore" a "I giganti della montagna", da "Ciascuno a suo modo" a "Questa sera si recita a soggetto", da "Così è (se vi pare)" a Enrico IV", conduce il lettore nell'enigmatico mondo delle i commedie dello scrittore siciliano.
Un'opera d'arte è veramente grande quando riesce a superare le barriere del tempo e a diventare patrimonio di molti. Questo è stato il destino di Shakespeare e del suo teatro. Lettori di ogni epoca hanno sognato, sospirato, pianto e riso leggendo le sue storie d'amore e odio, ambizione e orgoglio, invidia e tradimento, ingiustizia e riscatto. Questo libro è un'antologia di alcune delle sue pagine più belle, per imparare ad amarlo e magari farsi venire la voglia di conoscerlo più a fondo.
Scritto nel 1897, Zio Vania è uno dei capolavori assoluti del teatro cechoviano. Nei quattro atti si intrecciano le monotone conversazioni e le banalissime vicende di un gruppetto di personaggi. La ricostruzione minuziosa di atmosfere sospese e vagamente inquietanti, l'indifferenza abulica dei personaggi intorno agli eventi, l'indefinito senso di attesa di una catastrofe incombente rendono questo testo una geniale anticipazione della drammaturgia novecentesca.
Un innovatore e senza dubbi uno dei creatori di un teatro moderno, realista che ebbe sui contemporanei un effetto clamoroso, suscitando entusiasmi e polemiche. Inventore di personaggi immortali, ispirati all'osservazione del mondo reale, non gli eroi della tragedia ma nemmeno le maschere delle farse, figure che conservano nel tempo la loro modernità. Questo libro non si presenta come un "tutto Molière" da conservare in biblioteca, ma propone invece al lettore quello che è opportuno e divertente conoscere tra quanto Molière ha scritto e portato sulle scene.
Nella autorevole traduzione di Gabriele Baldini e con un saggio di Harold Bloom escono in un unico volume le dieci tragedie di William Shakespeare, massima espressione dell'originalità e superiorità del suo genio artistico. Tito Andronico; Romeo e Giulietta; Giulio Cesare; Amleto; Otello; Macbeth; Re Lear; Antonio e Cleopatra; Coriolano; Timone d'Atene.
"Cosa mi attirava di Molière, nelle sue prime farse e soprattutto ne Il medico per forza? La figura del ciarlatano, i meccanismi del potere, un uomo che finge di essere ciò che non è e induce tutti gli altri a crederci. Poi ho aggiunto la realtà odierna del nostro Paese. [...] La satira di Molière mette bene in luce come il potere (che può essere anche nelle mani di un finto medico) non solo si approfitta del più debole, ma lo convince anche che si stia lavorando per lui, e bene!"