L'amore è una tale gioia, perché privarsene? È un invito gaudente quello di Ovidio, che con squisita grazia scrive un intelligente breviario di seduzione proponendosi di guidare i più giovani e inesperti lungo il percorso che li condurrà a padroneggiare la più sottile delle arti. Idolo dei circoli mondani della Roma elegante che contava, poeta di enorme successo, Ovidio scrisse "L'arte di amare" agli inizi dell'era volgare. Nei suoi versi rivive la Roma raffinata delle feste, del passeggio nel Foro, ma anche la Roma dei piaceri occulti e dell'intimità piccante. Ode alla passione erotica ma soprattutto al brivido della conquista, gioco dei sensi e dell'intelligenza, il poema costò al suo autore l'esilio per immoralità, consacrandolo al contempo alla fama immortale.
L'epistolario di Paolo di Tarso è prima di tutto uno spaccato di vita, la testimonianza diretta della missione evangelizzatrice di un personaggio chiave del Cristianesimo delle origini. Le sette lettere autentiche del santo non furono composte per lasciare ai posteri una rappresentazione idealizzata della propria esistenza o una summa sistematica della propria dottrina teologica: sono lettere in cui lo spirito missionario si traduce in una comunicazione spontanea e appassionata dell'apostolo-mittente a questa o quella chiesa. Insieme alle lettere scritte da suoi discepoli anonimi del primo secolo, esse ci consegnano il ritratto di un uomo cosmopolita, dal multiforme bagaglio culturale, romano, greco e giudaico, la cui idea di Cristo morto, risorto e venturo come speranza universale di salvezza si è rivelata decisiva per la diffusione del messaggio cristiano.
L'oratore, secondo la celebre definizione di Catone il Censore, è un uomo onesto esperto di eloquenza. Quintiliano fece sua questa concezione e passò la vita a insegnare ai suoi molti discepoli, tra cui gli eredi dell'imperatore Domiziano e Plinio il Giovane, come la formazione oratoria non possa essere separata dal perfezionamento morale. Scrivendo "La formazione dell'oratore", Quintiliano volle dunque offrire un trattato di educazione dell'uomo nella sua interezza, dai primi passi del futuro oratore fino al ritiro dalla vita pubblica, in un intreccio indissolubile di maturazione professionale e umana. I libri IX-XII sono dedicati alle figure di parola e alle qualità morali e culturali necessarie all'oratore. Nel libro X vengono passate in rassegna le letterature greca e latina. Chiude il volume un utile indice dei nomi relativo all'intera opera.
L'oratore, secondo la celebre definizione di Catone il Censore, è un uomo onesto esperto di eloquenza. Quintiliano fece sua questa concezione e passò la vita a insegnare ai suoi molti discepoli, tra cui gli eredi dell'imperatore Domiziano e Plinio il Giovane, come la formazione oratoria non possa essere separata dal perfezionamento morale. Scrivendo "La formazione dell'oratore", Quintiliano volle dunque offrire un trattato di educazione dell'uomo nella sua interezza, dai primi passi del futuro oratore fino al ritiro dalla vita pubblica, in un intreccio indissolubile di maturazione professionale e umana. I libri IX-XII sono dedicati alle figure di parola e alle qualità morali e culturali necessarie all'oratore. Nel libro X vengono passate in rassegna le letterature greca e latina. Chiude il volume un utile indice dei nomi relativo all'intera opera.
In un remoto centro dell'Illinois un giovane medico scozzese, Rob J. Cole, stringe un profondo legame spirituale con un piccolo popolo di pellirosse. La sacerdotessa Makwa-ikwa lo affianca quotidianamente nelle cure ai malati con le sue arti magiche, introducendolo ai segreti più riposti della cultura indiana. Nella cornice spettacolare delle grandi distese americane, una saga d'amore e d'avventura, di altruismo e di guerra, pervasa dal mistero e dalla suggestione dei miti e delle credenze indiane.
In questo romanzo, ambientato nell'Inghilterra di Elisabetta I e di Maria Stuarda, Benson affronta e descrive il travaglio interiore che lo aveva portato alla conversione. Attraversato da due fili conduttori: la dialettica lacerante dell'uomo che quanto più è proteso alla ricerca della verità tanto più percepisce il dramma dell'ingiustizia e del peccato; la domanda che dà il titolo al romanzo, e che esprime l'insopprimibile esigenza dell'uomo di vivere pienamente solo nel seguire un'autorevolezza oggettiva. Proprio questa fu la chiave che aprì Benson alla Chiesa cattolica, l'unico luogo in grado di offrire questa Autorità liberando l'uomo dalla disperante solitudine del proprio criterio soggettivo, tipica del protestantesimo.
Figura demoniaca di maga barbara e crudele, Medea è uno dei personaggi più noti, estremi e coinvolgenti del teatro antico. Lucida e determinata nel compiere una vendetta atroce, l'assassinio dei figli, che la colpirà con violenza devastante, Medea appare perfettamente consapevole delle conseguenze del suo gesto estremo. Ma alla tensione emotiva ("capisco quali dolori dovrò sostenere, ma più forte dei miei propositi è la passione"), si unisce un'assoluta autonomia intellettuale, fino ad allora sconosciuta in una donna nel mondo greco. Nella sua introduzione Vincenzo Di Benedetto mette in luce la modernità di questa tragedia e spiega la dura polemica dell'autore contro la società ateniese di quegli anni.