Monumento supremo del classicismo di primo Ottocento, l'Iliade montiana riuscì nell'ardua impresa di mettere d'accordo, unendoli in un consenso senza riserve, classicisti e romantici. Come scrisse infatti Madame de Staël nel "manifesto" del Romanticismo italiano, "l'Europa certamente non ha una traduzione omerica, di bellezza ed efficacia tanto prossima all'originale, come quella del Monti [...]. Niuno vorrà in Italia por lo innanzi tradurre la Iliade, poiché Omero non si potrà spogliare dell'abbigliamento onde il Monti lo rivestì". Sull'unicità e grandezza della traduzione montiana si sofferma anche l'introduzione di Michele Mari. Sottolineata soprattutto l'eccezionale unità di tono del poema, il curatore analizza i passaggi che, in un interminabile labor limae, portarono Monti alla stesura della quarta e definitiva versione, quella del 1825 qui presentata, e fornisce un ricco apparato di commento delle più significative varianti rispetto alle precedenti edizioni.
Dal ruolo della schiavitù nell'antica Grecia al "comunismo" di Platone; dall'organizzazione feudale alla rivoluzione industriale; da Karl Marx alla Grande Depressione degli anni Trenta, fino allo sviluppo del mercato globalizzato nel secondo Novecento: in questo testo John K. Galbraith dimostra con sorprendente chiarezza che non si può comprendere il funzionamento dell'economia contemporanea senza conoscerne la storia, perché le teorie e le scelte economiche sono sempre un prodotto dei tempi e dei luoghi in cui nascono e si sviluppano. Accompagnando il lettore attraverso curiosi aneddoti e la lucida analisi di grandi temi - dalla distribuzione del reddito alla disoccupazione -, l'autore porta alla luce l'intreccio ineliminabile che lega questioni economiche, politiche e sociali. E spiega che l'economia non può essere socialmente neutra: ha sempre il potere di determinare, nel bene e nel male, la vita di una nazione e dei suoi cittadini.
Grandi virtù e grandi vizi: questo l'elemento che accomuna le Vite di Demetrio Poliorcete e Marco Antonio. Due personaggi che Plutarco pone non come modelli da imitare, ma da cui guardarsi, poiché se le virtù furono alla base della loro grandezza, i vizi ne causarono la rovina. Demetrio Poliorcete, figlio di uno dei più valenti generali di Alessandro Magno, fu uno dei più energici sovrani ellenistici ma, sconfitto e catturato dai Seleucidi, visse i suoi ultimi anni nei vergognosi stravizi di una prigionia dorata. Marco Antonio, braccio destro di Giulio Cesare in Gallia, fu uno dei più potenti uomini di Roma fin quando, trasferitosi in Egitto, si lasciò irretire da Cleopatra e combatté una disastrosa guerra civile contro Ottaviano. Le introduzioni di Osvalda Andrei e di Rita Scuderi analizzano le figure di Demetrio e Antonio nel contesto del loro tempo e nell'interpretazione che ne dà Plutarco.