Perché studiare latino? Molti interventi di questi ultimi decenni hanno insistito sul "piacere del latino". Le ragioni del latino si domanda, più radicalmente, se lo studio di questa lingua possa nuovamente svolgere un ruolo nella formazione. La proposta personale è quella di considerare la totalità della storia del latino, cioè più di due millenni di storia culturale europea, senza limitarsi a quel paio di secoli che viene definito "classico". Il volume si presenta come un invito a ripensare, anche operativamente, la lingua della cultura europea. Gli argomenti trattati spaziano dalla considerazione del ruolo linguistico del latino nella costruzione delle lingue moderne, alla costante presenza del latino nella storia della musica, al rapporto costitutivo tra latino e cristianesimo, alle indicazioni sul successo didattico del latino a livello europeo. Tutti i capitoli sono accompagnati da numerose illustrazioni ed esempi, con una essenziale bibliografia di riferimento, in modo da rendere la lettura agevole e permettere a chi intende documentarsi in modo completo di disporre della strumentazione necessaria.
Se la scuola deve servire a formare buoni cittadini, per essere pedagogicamente efficace dovrebbe affrontare soprattutto quegli aspetti che agli occhi dei bambini e degli adolescenti rivestono una immediata familiarità e importanza: l'Italia, la sua storia, la sua geografia, la sua cultura. In una parola, la sua identità. Un tema visto negli ultimi decenni con profonda diffidenza, soprattutto per ragioni ideologiche, e che invece è al centro della proposta di insegnamento presentata in queste pagine. Non una semplice formulazione di nuovi contenuti didattici né un modo nuovo di articolare quelli tradizionali, ma qualcosa di più grande e diverso: dare un significato del tutto nuovo al senso dei programmi di alcune materie d'insegnamento dei primi due cicli della scuola dell'obbligo e, forse, all'intero ambito dell'istruzione nel nostro Paese.
Perché l'Occidente ha smarrito gli strumenti concettuali per pensare la pace e non riesce a definirla se non riducendola a un generico rifiuto delle armi o a una mera assenza di guerra? Sergio Cotta, tra i maggiori filosofi del diritto del nostro Paese, pone all'origine di questo fenomeno le teorie che, da Eraclito a Hobbes e a buona parte del pensiero contemporaneo, vedono nel conflitto l'elemento costitutivo di una visione antropologica negativa e come appiattita sulla prospettiva del fare creare distruggere. Per capire la natura della pace occorre guardare a un'altra linea di pensiero che, da Platone ad Agostino, da Leibniz a Husserl e Lévinas, invita a conoscere se stessi, alla ricerca della verità, all'incontro con l'altro. Se l'essenza originaria e universale dell'umano è relazionale, comunicativa, solidale, accogliente, allora la pace è il suo dato primario e la guerra è solo una condizione "parassita", una trasgressione rispetto alla verità della coesistenza civile.
Puntare l'attenzione sulla formazione della nazione al centro è prospettiva ben diversa che guardare ai suoi margini, dove la ricerca di una propria fisionomia si configura nel confronto con quella di altri popoli. I rapporti qui si intrecciano dando forma a un disegno complesso, data l'evoluzione continua dei confini d'Italia, così come le narrazioni dei progetti di autonomia nazionale di volta in volta proposti. Sorprende l'immagine di un paese che dall'angolazione delle sue frontiere appare molto diverso da come si è proposto attraverso una ricostruzione mirata della sua storia e della sua letteratura. Le differenze profonde che segnano, ad esempio, la cultura trentino/alto atesina e quella triestino/giuliana sono evidentemente dovute non solo a motivi geografici, economici, morali, ma anche ai conflitti ideologico-politici che hanno talmente inciso gli animi da confermare l'idea che una demarcazione forte tra popoli esista. Così come il diniego degli svizzeri italiani a voler far parte della madre patria pone dei dubbi anche sulla capacità unificante della lingua. In un momento così delicato per l'unità europea può valere la pena interrogarsi sui motivi che l'hanno resa così fragile.