Ma quanto è fascista la Roma fascista? Come società di massa e cultura moderna si affermarono e si confusero nella realtà contraddittoria del regime mussoliniano. Roma fu il luogo dove l'atmosfera novecentesca abbigliata in veste fascista ebbe le sue maggiori manifestazioni pubbliche, dove il regime impregnò di sé opere e sogni, vie e piazze, campi sportivi e studi cinematografici, periferie e istituti culturali, testate giornalistiche e aule universitarie. Rimessa prepotentemente al centro della vita nazionale, la scena urbana della capitale fu per antonomasia la scena del fascismo. Adesso che il ventennio è una vicenda ideologicamente e politicamente conclusa, anche la Roma del duce può essere finalmente vista non solo come un panorama di crimini archeologici e urbanistici, ma nel suo rapporto con le grandi correnti culturali e artistiche del Novecento e come il luogo di nascita di una nuova società borghese destinata a stabilire una sorta di «egemonia romana» sulla futura Italia democratica.
Se la scuola deve servire a formare buoni cittadini, per essere pedagogicamente efficace dovrebbe affrontare soprattutto quegli aspetti che agli occhi dei bambini e degli adolescenti rivestono una immediata familiarità e importanza: l'Italia, la sua storia, la sua geografia, la sua cultura. In una parola, la sua identità. Un tema visto negli ultimi decenni con profonda diffidenza, soprattutto per ragioni ideologiche, e che invece è al centro della proposta di insegnamento presentata in queste pagine. Non una semplice formulazione di nuovi contenuti didattici né un modo nuovo di articolare quelli tradizionali, ma qualcosa di più grande e diverso: dare un significato del tutto nuovo al senso dei programmi di alcune materie d'insegnamento dei primi due cicli della scuola dell'obbligo e, forse, all'intero ambito dell'istruzione nel nostro Paese.
Grazie non poco alla sua scuola - in particolare grazie alle sue maestre che per prime affrontarono l'ignoranza nazionale - l'Italia del Novecento, partita da condizioni miserabili, arrivò a essere tra le principali economie del mondo. Ma oggi quella stessa scuola è lo specchio del declino del Paese. Abbandonata dalla politica con la scusa dell'«autonomia», essa appare sempre più dominata dal conformismo intellettuale, da un'inconcludente smania di novità e da un burocratismo soffocante che ne stanno decretando la definitiva irrilevanza sociale. Ernesto Galli della Loggia cerca di comprenderne le ragioni sullo sfondo della nostra storia indagando le origini e l'impatto, deludente quando non distruttivo, che hanno avuto le riforme succedutesi negli ultimi decenni e smontando le interpretazioni più convenzionali su cosa fecero o dissero veramente personaggi chiave come Giovanni Gentile e don Lorenzo Milani. Chi l'ha detto che cambiare sia sempre meglio di conservare? E che la prima cosa sia necessariamente di sinistra e la seconda di destra? Il libro mette sotto accusa i miti culturali responsabili della crisi attuale: l'immagine a tutti i costi negativa dell'autorità, l'obbligo assegnato alla scuola di adeguarsi a ciò che piace e vuole la società (dal digitale al disprezzo per il passato), la preferenza del «saper fare» sul sapere in quanto tale, la didattica «attiva» e di gruppo. Altrettanti ideologismi che sono serviti a oscurare il ruolo dell'insegnante, la misteriosa capacità che dovrebbe essere la sua di trasmettere la conoscenza e con essa di assicurare un futuro al nostro passato.
Dopo l’autobiografia intellettuale e politica di Credere, tradire, vivere, Galli della Loggia propone qui il nucleo forte della sua riflessione storiografica.
«… la nostra storia, che fino a non molto tempo fa avevamo il diritto di considerare tutto sommato felice, sembra per mille segni essere giunta invece a un presente (che ormai dura da anni) carico di incognite e di presagi che, sempre di più, felici non appaiono per nulla… Ci serve un’altra storia per tornare ad abitare il futuro»
un contributo a ripensare l’intero corso della nostra storia che l’approdo odierno, così intriso di senso di fallimento e di sconfitta, obbliga a ripercorrere. Ne emerge il viluppo di contraddizioni che l’Italia unita si porta dietro dall’inizio, cioè da quella «vera e propria cellula germinale» che fu il Risorgimento. Ad esso risalgono infatti non solo tratti strutturali del Paese come il divario Nord-Sud, ma anche caratteri del suo sistema politico come l’assenza di un partito conservatore, l’avversione per il costituzionalismo liberale, una «ideologia italiana» fatta di enfasi sul ruolo degli intellettuali, di populismo e di moralismo, che nutre di fatto tutte le pur diverse culture politiche del nostro Novecento.
«Una nazione al tramonto è un paese che non riesce più a crescere, che si smaglia e si disunisce, e che consuma una frattura con il proprio passato, non riuscendo neppure più a immaginare un futuro. Smarrito il filo della sua vicenda novecentesca, l'Italia odierna è in una condizione siffatta». Ernesto Galli della Loggia ha raccontato negli ultimi vent'anni la crisi del nostro paese in tutte le sue forme: la politica scossa dalla fine delle appartenenze e dal trionfo dell'antipolitica, la società incapace di conciliare multiculturalità e salvaguardia della tradizione nazionale, i valori cristiani indeboliti sotto il peso di innumerevoli tensioni. Passando in rassegna senza sconti tutti i sintomi di un malessere quotidiano - assenza di visione della politica, ristagno dell'economia, una giustizia piena di ambiguità e dai tempi esasperanti, un sistema d'istruzione che non riesce più a fungere da ascensore sociale, il divario Nord-Sud che si aggrava -, queste pagine restituiscono oggi un impietoso ritratto politico e sociale dell'Italia che non sa essere protagonista del proprio tempo. Una metamorfosi tale da indurre l'autore a una considerazione solo apparentemente paradossale: «Sono nato italiano ma mi viene da chiedermi, a volte, se morirò tale. Nella mia generazione, quella che ha visto la luce durante o a ridosso della guerra, sospetto proprio di non essere il solo che più o meno consapevolmente si pone una domanda come questa».
In politica come nella vita cambiare idea è inevitabile. E forse anche giusto, in un'epoca come la nostra caratterizzata da mutamenti così profondi e rapidi. In Italia però cambiare orientamento politico, in specie passare da destra a sinistra o viceversa, è sempre stato altamente problematico: chi lo fa si attira l'accusa di essere un trasformista o peggio un voltagabbana e un traditore. Aguzzo e scomodo come sempre, Galli della Loggia racconta come il cambiamento/tradimento è stato vissuto, interpretato e concettualizzato nella storia politica italiana. Poi mette in campo se stesso, ripercorrendo i momenti-chiave della propria esperienza e le molte polemiche che lo hanno coinvolto nei principali passaggi della vicenda ideologica del Paese: uno sguardo severo sulla storia intellettuale e culturale italiana, colta nei suoi inconfessati cambiamenti di fronte, le sue quasi sempre tacite abiure, i suoi pregiudizi, le sue bugie.
È ancora possibile un'Europa non matrigna ma fonte di benefici? Per Ernesto Galli della Loggia uccidere l'europeismo è la condizione necessaria per far ripartire l'Europa, rifondandola su identità, condivisione e riscoperta di una storia comune, e senza sognarne retoricamente l'estensione a confini impossibili. Pur mostrando tutte le contraddizioni che hanno portato al collo di bottiglia in cui si dibatte oggi il processo di integrazione, da parte sua Giuliano Amato resta persuaso che "Europa conviene", a patto di intraprendere il difficile cammino che porti a superare le fratture tra Nord e Sud, tra paesi debitori e non debitori, e a sconfiggere la crescente ostilità dei populismi antieuropei.
Da Pascoli a D'Annunzio, da Marinetti a Palazzeschi, da Ungaretti a Montale e Saba; ma anche Pavese, Sereni, Penna, Pasolini, Raboni. Tutti i nomi più importanti della poesia italiana del Novecento, letti attraverso quei testi che hanno saputo magistralmente cogliere, registrare, raccontare lo spirito di un secolo. Un percorso che prende le mosse dal sogno risorgimentale e, attraverso la formazione di un'idea di popolo, termina idealmente con il lucido sguardo di Pier Paolo Pasolini e con la sua riflessione su Gramsci con cui si conclude la stagione politica della nostra poesia. Ernesto Galli della Loggia presenta un'antologia dai caratteri forti, nella quale si colgono un gusto indiscutibile, una conoscenza profonda della materia e la spiazzante dimostrazione di come solo la poesia sappia raccontare, con straordinaria chiarezza e forte pathos, la vera storia morale e civile di tutti gli italiani.
Due intellettuali, diversi per formazione, studi e storie culturali, ma uniti dalla volontà di capire, in un dialogo sul loro Paese. Ora che l'ondata di celebrazioni per l'anniversario dell'Unità italiana sta per concludersi, si avverte la necessità di un bilancio: dove siamo esattamente, e in che modo e perché ci siamo arrivati? Solo così potremo renderci conto di come sia forte e realistico il rischio di un declino già altre volte sperimentato nella nostra storia, e quanto sia ancora possibile mantenere aperte le porte del nostro futuro.
Frutto di una vicenda millenaria, ricca di prestiti e contaminazioni, resa possibile dall'esistenza di un unico terreno storico: l'identità italiana è tuttora percepita come fragile e non ha saputo tradurre nelle forme della modernità un'idea unitaria del paese. È il paradosso su cui riflette Galli della Loggia, intrecciando molti fili: il paesaggio e il quadro ambientale, l'eredità latina e il retaggio cristiano-cattolico, il policentrismo urbano e regionale, l'individuo stretto tra famiglia e oligarchia, l'invadenza della politica e la debolezza dello stato.