"Nel momento del suo maggiore successo il partito nazista aveva conquistato il 44% dell'elettorato. Era una percentuale importante, ma dove era il 56% che non aveva votato per Hitler? Perché non si alzava in piedi e non gridava il suo 'no' a quella brutale esibizione di forza e di arbitrio? ... Come potevano tollerare che agli ebrei venisse vietato di esercitare le professioni liberali e che a ogni tedesco venisse imposto di boicottare il suo medico ebreo, il suo avvocato ebreo? Come era possibile che un grande popolo civile accettasse di rinunciare alla propria autonomia intellettuale quando veniva costretto a gridare 'Heil Hitler!' di fronte a una croce uncinata o di balzare in piedi se la radio trasmetteva un discorso di Hitler? Sono domande che l'autore rivolge anche a se stesso." (dalla prefazione di Sergio Romano)
Per la prima volta in italiano, viene qui pubblicato il reportage sugli ultimi giorni del Processo di Norimberga scritto nel 1946 dalla giornalista e romanziera Rebecca West, acclamata l'anno dopo "migliore scrittrice al mondo" da "Time". Con il suo stile asciutto, sarcastico e ricco di immagini paradossali, l'autrice ci permette di "sfiorare" i leader del Nazismo in attesa di una sentenza ineluttabile e di toccare con mano una Germania certamente prostrata dalla guerra ma impegnata con tutte le proprie forze a trovare una catarsi. Rebecca West tornerà altre due volte in Germania, tra il 1949 e il 1954, descrivendone vividamente l'incredibile ripresa economica, nonostante le pesanti costrizioni imposte dai paesi vincitori, i conflitti interni fra gli alleati, i 10 milioni di esuli che si sono riversati sulle sue terre... Emblematicamente, allora, l'anziano giardiniere con una gamba sola, tutto preso dalla sua serra e dalla coltivazione di ciclamini da mettere in commercio, diventa per West il simbolo di questa ripresa: "Era fuggito in un'altra dimensione, in cui il dolore non aveva potere su di lui. Era fuggito nel suo lavoro". Una rilettura del passato fondamentale per capire la Germania di oggi.
Il volume, così come i tre che seguiranno e completeranno la collana trattando il tema fino ai giorni nostri, propone una lettura inedita dello sviluppo storico della fotografia che tiene conto degli interrogativi suscitati da questo strumento e dalle sue molteplici storie. Si è scelto di utilizzare una voce narrante costituita da brevi monografie, scritte da Francesco Zanot, incentrate su quello che può definirsi il destino pubblico della fotografia: testi dedicati a mostre, libri, eventi, protagonisti che hanno segnato profondamente il discorso fotografico nelle sue diverse incarnazioni, attraverso numerose e spesso sorprendenti immagini emblematiche e simboliche. La lettura è completata da saggi affidati a tre noti studiosi internazionali: Quentin Bajac, che si concentra sulla percezione della fotografia alla sua nascita; Elizabeth Siegel, che affronta le vicende della pratica dell'album fotografico, e cioè di quella fotografia privata e apparentemente 'senza storia', e Walter Guadagnini - curatore dell'intera collana -, che colloca in una prospettiva storica uno degli usi più comuni del mezzo fotografico, quello del racconto di viaggio e dell'incontro con l'altro da sé, il diverso, il nuovo.
Attraverso le cinque conversazioni che compongono questo volume, l'arco di Costantino, nelle parole di Federico Zeri, diviene il paradigma di un'ampia panoramica sulle civiltà di tutti i tempi e sulle loro forme di espressione artistica: attingendo a un repertorio inesauribile di opere, dalle più famose a quelle meno note ma non per questo minori, l'autore provoca continui "cortocircuiti", nuovi e in ogni caso affascinanti, tra i più diversi campi del sapere, dimostrando quanto un approccio filologico al dato artistico non sia che il punto di partenza per una migliore comprensione della storia e dell'uomo.
"Ho cercato di esprimere col rosso e col verde le terribili passioni degli uomini", ha scritto Vincent Van Gogh. Nei suoi quadri l'elemento del colore vibra infatti autonomamente, costruisce lo spazio in tessiture fitte e preziose, con una violenza che dà spessore psicologico e simbolico all'espressione; la luce penetra ogni cosa, le forme sono solide e potenti, ma al tempo stesso amalgamate nell'unità sensibile della materia. In questa monografia analitica l'autrice esplora tutti gli aspetti della vita e dell'opera di Van Gogh, senza tuttavia assecondare i miti e le leggende che lo circondano e soprattutto il luogo comune che vorrebbe inscindibilmente connessi la follia, l'isolamento e la creatività.