Un libro che risponde ai grandi interrogativi sulla storia dell'umanità. È vero che i bufali delle pitture rupestri erano in realtà le ordinazioni di un ristorante? (Peraltro sono durate molto di più dell'Ultima Cena). E poi: ma quanta fatica facevano i giardinieri pensili? Cosa vorrà dire il fatto che l'homo sapiens avesse lo stesso taglio di Toto Cutugno? È vero che gli Antichi Romani erano la versione enduro degli altri popoli? Massì, un po' come i cinghiali con i maiali: facevano tutto uguale ma lo facevano di più.
E poi un giorno arriva, senza nemmeno avvisare, la maturità, sia quella artistica sia quella umana, e allora il comico decide di raccontare al pubblico un po' di quella vita giù dal palco, fatta di emozioni, paure e risate quotidiane. Come quella sera che aveva deciso di farsi trecento chilometri la notte di San Valentino per tornare a casa ed era finito in panne mentre infuriava la bufera; scampato per miracolo all'assideramento, si era sentito accogliere da un caloroso: "Sei in ritardo e senza fiori!?" O quando ha ricevuto la telefonata del signor Zalando: "Sono tre giorni che sua moglie non compra scarpe... tutto bene?" Qui racconta la sua formazione culturale, avvenuta nella sola alma mater di tutti quelli come lui, il bar, tra tuttologi del nulla sessualmente iperattivi e motorini truccati. Confessa le ansie che divorano gli uomini di spettacolo: "E stasera, dove si mangia?" Perché se fai centinaia di rappresentazioni nei teatri, in giro per l'Italia, la cena deve essere un momento intimo, sublime, così ignorante da doverci lasciare un pezzo di cuore e, a volte, pure di fegato... In questo libro, Giuseppe Giacobazzi si mette a nudo e racconta chi è davvero, sinceramente, con l'umorismo dissacrante di sempre e un pizzico di tenerezza in più. Perché ora c'è anche lei, Arianna, che lo chiama "papà" ed è il nome più bello del mondo.
Una sincerità spietata che se non fosse esilarante sarebbe quasi crudele. Un'autoironia esagerata capace di creare una gioia contagiosa. Ecco il mondo di Jenny Lawson, che fa ridere fino alle lacrime. D'altronde cosa puoi fare se ti ritrovi affetta da depressione cronica, agorafobia, autolesionismo e artrite reumatoide? O soccombi o decidi che sarai comunque felice. Anzi, follemente felice. Se la gente ti considera un po'matta, tanto vale fare tutto quello che ti passa per la testa. Per esempio, andare in Australia travestita da koala, organizzare un rodeo notturno con i tuoi gatti, noleggiare bradipi e canguri per la gioia di tuo marito (che, nonostante tutto, ti adora), inseguire ufo e tornado, o rifugiarti sotto le coperte, perché certi giorni l'ansia è troppo forte e semplicemente non puoi fare altro. Ma in un angolo della tua mente sai che appena avrai la forza di rialzarti, tornerai a gettarti senza freni nel presente, perché qui sta la differenza tra sopravvivere e vivere.
"No Sex Please, We're British": a giudicare dal successo di botteghino ottenuto dalla commedia del 1971, che a Londra fu rappresentata senza interruzione per sedici anni, con diverse migliaia di repliche, agli inglesi non dispiace essere considerati un popolo ordinato, compassato e pudibondo, un popolo "niente sesso". Le incursioni di Antonio Caprarica nella storia e nella cronaca della sessualità britannica rivelano al contrario la debolezza dello stereotipo e riservano la scoperta di una nazione ossessionata dai piaceri della carne, fra casi e personaggi sorprendenti. Vescovi che esercitano il privilegio di sfruttare i postriboli riscuotendo l'affitto dalle prostitute. Sovrani che trasformano la corte in un vero e proprio bordello. Maîtresse che inventano ingegnosi meccanismi per lo "spanking", la pratica delle sculacciate esercitata come castigo nelle severe scuole del Regno e trasformata in eccitante tortura per nobili natiche maschili o femminili. Aristocratici occupati ad aggiornare un libretto, vero best seller di vendite nel 1760, con le "specialità" delle "professional beauties" disponibili in città. Politici e uomini d'affari ricattati per la loro frequentazione dei "club sodomiti". Nel racconto dei peccati di Londra anche la rispettabilità vittoriana si mostra come una patina di ipocrisia che rende ancora più piccante la trasgressione.