La personalità di Emmanuel Mounier (1905-1950) è ormai considerata di prima grandezza nella storia civile e religiosa del Novecento, sia per l’apporto teorico offerto al movimento personalista, sia per le forti sollecitazioni che dal suo pensiero religioso sono venute al movimento di idee che ha preparato il Concilio Vaticano II. Questo volume, frutto di una lunga ricerca, mette a fuoco alcuni degli aspetti centrali del pensiero mounieriano, con particolare riferimento al suo progetto di una “società personalista e comunitaria” che ponga al suo centro l’uomo e l’umano, contro il rischio ricorrente della deriva tecnocratica e consumistica di un Occidente troppo spesso dimentico delle sue radici.
Giorgio Campanini, per lunghi anni professore di Storia delle dottrine politiche (Università di Parma), di Etica sociale (Università di Lugano) e di Teologia del laicato (Pontificia Università Lateranense), conclude con questa monografia il suo “ lungo viaggio” attorno a Mounier, avviato nel 1968 con un volume (La rivoluzione cristiana. Il pensiero politico di E. Mounier, Morcelliana, Brescia) e continuato con una serie di studi, incentrati soprattutto sulla proposta politica del personalismo. A questa proposta è stata presentata una particolare attenzione – in relazione al rapporto fra politica e morale e fra cristianesimo e storia – nel volume Testimoni nel mondo. Per una spiritualità della politica (2010), pubblicato dalle Edizioni Studium.
"Tanti fraintendimenti che vediamo diffondersi sempre più, o piuttosto un fraintendimento globale visibile che si sta diffondendo sul bergsonismo, sull'antico e sul moderno, sul classico e sul romantico cadrebbe, se ci si decidesse una buona volta a squalificare la rigidità del saldo e del duro. Sono le morali dure, dove possono esserci delle nicchie piene di polvere, di microbi, di muffa, degli incavi di putredine, degli angoli nelle rigidità, del deposito, lues, e quello che i Latini chiamavano situs, una muffa, una sporcizia che viene dall'immobilità, dall'essere lasciati là. Sporcizia per essere stati lasciati là. E invece le morali sinuose esigono un cuore perpetuamente tenuto in luce. Un cuore perpetuamente puro. Siamo lavati da una simile amarezza. E allo stesso modo i metodi sinuosi, le logiche sinuose richiedono uno spirito perpetuamente tenuto in luce, uno spirito perpetuamente puro. Sono le morali sinuose e non quelle rigide che mettono in atto le costrizioni più implacabilmente dure. Le uniche che non si assentano mai. Le uniche che non perdonano. Sono le morali sinuose, i metodi sinuosi, le logiche sinuose che mettono in atto le costrizioni somme. Ecco perché l'uomo più onesto non è colui che accetta regole apparenti. È colui che resta al suo posto, lavora, soffre e tace" (Ch. Péguy).
L'uomo è un essere con l'altro, mai senza l'altro, mai contro l'altro. Nello sguardo sull'altro, egli si scopre come sé, costruisce la sua identità ed è realmente se stesso. Il rischio dell'uomo, che si nega a questo destino comune, è la caduta nell'inumano, la sconfitta della ragione. Gli uomini fanno parte di un'unità plurale più grande, l'umanità, nella quale tutti gli umani si ritrovano come a "casa propria", rimanendo ciascuno nella propria individualità, ma riscoprendo e coltivando le radici comuni delle loro reciproche identità e appartenenze. Le identità di ciascuno, così come le loro appartenenze, non sono separabili dalle identità degli altri, perché solo coniugate al plurale si realizzino nell'accoglienza reciproca, nella ricerca della solidarietà e nell'esercizio della comune responsabilità per il mondo e per l'uomo. Lui è come me vuole riannodare i fili di una lunga tradizione, che ha difeso, non senza incertezze e ambiguità, le ragioni del "tu" contro lo strapotere dell'"io". Le sconfitte dell'uomo sono state assai più numerose delle vittorie. Ma gli esseri umani, volendolo e lottando per essa, possono ancora vincere la sfida decisiva. L'aspirazione alla pienezza e al compimento interiore, presente in ogni essere umano, rimane vana e illusoria, se l'io nel suo viaggio alla scoperta di sé, non incontra il tu dell'esistenza e insieme si riconoscono soggetti e protagonisti di una relazione fraterna. Lo stato di compimento e di pienezza dell'essere, che ogni individuo umano rincorre, più che un "territorio" dell'io, costituisce un "orizzonte" plurale, nel quale confluisce il noi dell'esistenza concreta, nella consapevolezza che senza di esso la vita non ha lo stesso valore. È una vita che si apre sull'orizzonte dell'altro ed è nella sua apertura più totale che si afferma e si realizza l'essere dell'uomo.
Ernst Hoffmann (1880-1952) appartiene a quel fronte di studiosi di filosofia antica che, nel primi decenni del Novecento, hanno dischiuso un nuovo accesso alla speculazione dei Presocratici. A questo proposito, di lui è da ricordare, soprattutto, un testo: Il linguaggio e la logica arcaica (1925). La sua riflessione testimonia una fedeltà ininterrotta allo studio di Platone e del platonismo. Esemplare, al riguardo, è il suo volume, uscito postumo: Platonismo e filosofia cristiana (1960): una ricognizione storico-teoretica del paradigma platonico di filosofia, dalle origini, attraverso il Medioevo, fino all'età moderna. Nel presente volume sono raccolti tre testi di Hoffmann - finora mai riuniti insieme - caratterizzati da un comune riferimento a Platone. Nel terzo di essi, in particolare, viene chiaramente in luce il presupposto teoretico che guida l'interpretazione della problematica della "partecipazione", proposta nei primi due. Il dualismo platonico, che è la chiave di volta di tale problematica, è visto come una forma di antitesi fra due termini di cui l'uno non è l'opposto polare dell'altro, ma vi si approssima secondo le gradazioni del più e del meno. Solo concependo la contraddizione in termine di "partecipazione", Platone sarebbe riuscito a "salvare i fenomeni", nonché a fondare la possibilità stessa del pensiero come atto sintetico di giudizio.
La filosofia ha ancora un ruolo nello spazio pubblico europeo e occidentale? Come si articola oggi il rapporto fra riflessione filosofica e istituzioni? Quale influsso ha la filosofia nelle scelte istituzionali, nella determinazione delle tendenze culturali e nella formazione delle correnti d'opinione? Partendo da queste domande e curvandole su un caso cruciale, cioè la progressiva scomparsa della figura dell«io» dalla scena principale in cui filosofia, cultura, sfera pubblica e azione istituzionale si incontrano, questo libro sviluppa un'articolata teoria fenomenologica dell'ego nella forma di riflessioni intorno alla coscienza e all'identità, e alla loro funzione nel percorso gnoseologico e nel destino storico dell'Occidente. Da alcuni decenni, nella filosofia e nell'orientamento culturale si è imposta una tendenza alla demolizione del concetto di «io» con le due principali nozioni che storicamente gli sono collegate: ragione e identità. La conseguenza è stata una profonda eradicazione della «prima persona» dal discorso filosofico e dalla coscienza collettiva, dalla sensibilità culturale e dalla percezione politica. Se la causa principale di questa emarginazione consiste in un'interpretazione che traccia un'equivalenza ovvero una relazione reciproca fra la filosofia della soggettività, le idee sociopolitiche del liberalismo e le tesi socioeconomiche del liberismo, allora è chiaro che una difesa delle ultime due sfere non risulterà efficace finché non implicherà la ripresa della prima, così come una rivalutazione della prima comporta chiaramente un giudizio positivo sulle altre due. Così, eliminando gli equivoci sulle possibili incrostazioni di ciò che Husserl chiamerebbe per un verso ingenuità naturalistica e per un altro arroganza positivistica, questa consapevole - critica e disincantata - apologia dellego vuole riproporre all'attenzione dell'attuale riflessione culturale occidentale, di quest'epoca e di quest'area cioè che sta perdendo il suo baricentro e, quindi, la sua prospettiva identitaria, un problema non più eludibile dal pensiero contemporaneo e una soluzione non più liquidabile con la sofistica decostruzionista e postmodernista. Il tema dell'io e dell'identità soggettiva, sia individuale sia collettiva, è infatti una questione di tale rilevanza, che intorno ad essa si gioca una partita cruciale, filosofica e politica. Mostrare gli scopi ideologici e le retoriche strumentali di questa esclusione dell«io» e del connesso rifiuto dell'identità, e contrapporvi una teoria dellidentità soggettiva è un compito urgente, possibile sulla base del metodo e del pensiero fenomenologico. Ed è anche la finalità di questo libro, che presenta una teoria unitaria dellidentità elaborata nel quadro metodologico e concettuale del pensiero husserliano.
"Il tentativo di Fausto Gianfreda è quello di muoversi all'altezza che il pensiero di Heidegger qui richiede; di provare cioè a pensare dentro la svolta che i "Beiträge zur Philosophie" costituiscono. E di rischio si deve parlare, perché quello che qui coraggiosamente si intraprende è il tentativo non tanto o perlomeno non solo di rendere conto della svolta all'interno di una prospettiva storico-genetica del pensiero di Heidegger, quanto piuttosto quello di esplorare, certo anche in relazione all'autointerpretazione che Heidegger offre del percorso che ad essa conduce. Ed è proprio il rapporto tra colui che accoglie e l'accolto, che è poi un rapporto che si dipana nelle sue più diverse declinazioni come rapporto tra esserci ed essere, ma anche, inevitabilmente, tra l'umano e il divino, il nodo dentro il quale si incunea il percorso che attraverso i "Beiträge zur Philosophie" (dentro il cammino di pensiero che essi sono e insieme ad esso), ma anche in connessione con la strada aperta da "Sein und Zeit", viene qui lucidamente tracciato da Fausto Gianfreda: il rapporto tra il Dasein e il Sein appunto, inteso ora, nei "Beiträge zur Philosophie", a partire dall'evento svoltante dentro il quale avviene qualcosa come il suo darsi al Da-sein." (Dalla Presentazione di Luca Illetterati)
Bacone selezionò dal copioso repertorio mitologico della tradizione classica e rinascimentale un manipolo di "favole" con cui avviò il suo primo, compiuto progetto di rinnovamento della cultura e della società del tempo. Concepite all'insegna dell'antiaristotelismo e di una inflessibile contestazione delle dottrine scolastiche, le "favole" baconiane prospettarono un esercizio di pensiero sui temi della filosofia, dell'etica, della religione e della politica che si tradusse in una vigorosa e nuova avventura intellettuale e nell'auspicio di un concreto e responsabile progresso dei costumi e delle menti. Qui se ne fornisce una ordinata ricostruzione, nel quadro delle dinamiche presenti nella cultura inglese e in quella europea del sec. XVII, fortemente debitrici nei confronti del sapere umanistico e rinascimentale; si fornisce anche una nuova versione del testo, condotta sulle fonti filologicamente più attendibili.
Martha Nussbaum è oggi fra ì filosofi che più destano la curiosità del mondo accademico e politico. I suoi testi tradotti in italiano sono richiestissimi nei corsi accademici e citati come letteratura di riferimento. Per far nascere "l'occhio della compassione" nei cittadini occorre stimolare la loro capacità di immaginazione, come avveniva nel mondo antico, quando le tragedie greche spronavano i cittadini ateniesi a riflettere sui casi umani e sui comportamenti etici. Le tragedie si calavano infatti all'interno del tessuto cittadino della democrazia ateniese ed erano destinate ad alimentare i valori civili che sostenevano le dinamiche governative e il progresso civico delle istituzioni ateniesi. Fabrizia Abbate si chiede se è possibile riproporre oggi, nello scenario allargato e multiforme delle nostre democrazie, quel connubio tra l'immaginazione letteraria e la responsabilità politica. Oggi che la globalizzazione orienta verso dinamiche sociali del tutto nuove si trova inevitabilmente a fare i conti con le culture non occidentali, con le minoranze, le etnie, le differenze razziali e sessuali, la proposta originale di Martha Nussbaum, è quella di rivalutare una componente del pensiero, senza la quale la razionalità scientifica sembra essere davvero inadeguata per rispondere da sola alle questioni urgenti del pianeta.