Tra il 1932 e il 1945, quattro ambasciatori rappresentarono in successione il nostro paese a Berlino. Furono l’avamposto di Mussolini nel Reich di Hitler, il caposaldo dei rapporti diplomatici fra regimi totalitari “fratelli” ma privi di vera fiducia reciproca. Furono uomini diversi, diplomatici di vecchio stampo e di formazione prefascista, eroi misconosciuti che tentarono di sottrarre l’Italia alla carneficina della Seconda guerra mondiale, grigi funzionari assetati di potere, fascisti convinti che scelsero di rimanere fedeli sino alla fine alla parte del torto. I loro nomi sono Vittorio Cerruti, Bernardo Attolico, Dino Alfieri, Filippo Anfuso. Attraverso le comunicazioni che correvano a ritmo quotidiano tra l’ambasciata italiana, Hitler e i suoi fedelissimi (Goebbels, Göering, Himmler, Ribbentrop) da una parte, Mussolini e i suoi gerarchi dall’altra, Gianluca Falanga ricostruisce una storia in larga parte inedita. Mostra l’intrinseca fragilità del Patto d’acciaio, le viltà e le colpe di chi per servilismo tacque di orrori e vergogne che i propri connazionali avrebbero dovuto scontare, l’opera tenace e silente di chi invece si oppose al male, pur essendo costretto ad avere commercio con esso. Una prospettiva di lettura coinvolgente, finalmente scevra di apriorismi e pregiudizi ideologici. Il lavoro di uno storico autentico, che appassionatamente, coraggiosamente fruga fra archivi e rovine, senza temere le verità delle ombre.
Il 17 agosto del 1893, nelle saline di Aigues-Mortes in Camargue, Provenza, dove la raccolta del sale riuniva centinaia di lavoratori francesi e italiani, avvenne il più sanguinoso pogrom della storia francese contemporanea, che costò la vita a otto operai, oltre a cinquanta feriti e 15 dispersi, tutti italiani, e per la maggior parte piemontesi, linciati perché “rubavano” i salari. Malgrado le prove schiaccianti, gli assassini furono assolti e la Francia si trovò molto vicina a una guerra con l'Italia. Alla fine, per preservare la pace, entrambi i governi preferirono insabbiare il caso. Gérard Noiriel, riconosciuto come massimo esperto di immigrazione e di problemi legati alla questione nazionale, riapre questo doloroso dossier e spiega come i cambiamenti politici ed economici di fine Ottocento siano stati all'origine di un tale massacro. Come i discorsi ufficiali sull' orgoglio di essere francesi abbiano finito per fomentare l'accanimento contro gli stranieri. Come i datori di lavoro, i militari, i giornalisti, i giudici e i politici siano riusciti a sfuggire alle proprie responsabilità. Con questo importante studio storico Gérard Noiriel restituisce al massacro degli italiani il giusto posto nella memoria collettiva, e ci mette in guardia su quanto la retorica di ieri somigli molto a quella xenofoba e razzista di oggi.
Nel corso del Diciannovesimo secolo, mentre l’Europa è incendiata dai moti rivoluzionari, Londra offre rifugio a gruppi di esuli provenienti da ogni focolaio di lotta contro la Restaurazione. Patrioti, avventurieri e massoni, propugnatori dell’indipendenza nazionale o di una società utopistica, sono accolti nel grembo di una città che offre libertà e anonimato, ma produce anche isolamento, povertà e spleen. Lungo le sponde del Tamigi, tra taverne fumose e alberghi, salotti aristocratici e quartieri popolari, si dipanano le esistenze in fuga dei protagonisti del Risorgimento italiano e dei costruttori immaginari paradisi socialisti. In particolare è su Giuseppe Mazzini, sconfitto dal mondo eppure mai domato nell’animo, che si appunta lo sguardo del narratore. Con minuziosa ricostruzione storica, Enrico Verdecchia scandaglia una messe di documenti editi e inediti, restituendone gli slanci ideali, i palpiti per una nazione unita e indipendente, ma anche il tormento interiore per un grande amore romantico e per un figlio segreto, morto prematuramente. Sono numerosi però i “cospiratori” che sono protagonisti di queste pagine. C’è Garibaldi che, unificata l’Italia, fa il suo ingresso trionfale a Londra, acclamato dalla folla. Ci sono Marx ed Engels, alle prese con la neonata Internazionale, con problemi filosofici e pratici e piccole miserie domestiche. C’è Bakunin, il gigante sognatore estremo in tutto, nella fame di vita come nella rivolta contro le ingiustizie del mondo. E poi Foscolo, i fratelli Ruffini, Prati, Berchet, i grandi intellettuali come Chateaubriand e Mill, gli esuli francesi e quelli polacchi. Sorretto da un incalzante ritmo narrativo Londra dei cospiratori è il risultato di una febbrile ricerca durata quarant’anni, un testo che inserisce il Risorgimento italiano in un movimento di passioni e ideali organicamente europeo.
Enrico Verdecchia è nato nel 1939 provincia di Ascoli Piceno. Cresciuto a Roma, dopo la laurea in Lettere con indirizzo storico ha intrapreso la carriera del giornalismo, prima nella redazione dell’Avanti! e poi in quella del settimanale Il Punto. Nel 1972 si è trasferito in Inghilterra dove ha esercitato una multiforme attività pubblicistica come giornalista radiofonico e televisivo per la Bbc, la Rai, Rete 4 e Canale 5. Ha lavorato come consulente e traduttore di soggetti cinematografici, doppiatore di documentari e pubblicità commerciali e infine, dal 1973 al 2000, in qualità di corrispondente da Londra per il settimanale Panorama e collaboratore di periodici tra cui Epoca, Grazia, Gente. Nel frattempo, mosso da un’intensa passione per i problemi della storia, ha raccolto nel corso di quarant’anni una biblioteca personale di 6.000 volumi di argomento risorgimentale, per il quale ha svolto indagini e reperito documentazione per diversi anni.
La lunga storia della magia e dell’alchimia.
Fuori dagli schematismi del razionalismo imperante, ma anche dalle semplificazioni dell' "esoterismo di massa".
Dall'Alessandria ellenistica ai campus americani in rivolta, dalla Firenze rinascimentale alla Zurigo di Jung, un viaggio attraverso l'eredità del pensiero magico, ancora attivo nell'Europa del razionalismo e del progresso.
«L'inclinazione al commercio, al baratto e allo scambio di una cosa per un'altra, è propria di tutti gli uomini, e non si ritrova in nessuna altra razza di animali». Così Adam Smith, in La ricchezza delle nazioni. Quello del commercio è il grande romanzo dell'uomo, che si mette in viaggio con l'animo incerto, tra il desiderio della scoperta e quello del ritorno. Una storia epica e drammatica, che comincia agli albori della civiltà, in Mesopotamia, dove i primi mercanti, carichi di orzo, rame e avorio, iniziarono a discendere e risalire il corso del Tigri e dell'Eufrate. Che si rinnova sulle rotte che dall'Oriente a Roma, attraverso le tempeste monsoniche, portavano la seta nel cuore del l'Impero. Che si afferma nel monopolio portoghese sulle spezie nel Cinquecento; nei tentativi della Spagna di aggirare i presidi di una potentissima Venezia; nella corsa allo zucchero della Giamaica, su cui l'Inghilterra fonderà il suo impero mercantile; nelle tecniche finanziarie che permisero alla fiorente e libera Olanda di costruire le sue fortune nel Seicento, mentre milioni di nativi africani erano deportati verso un destino di schiavitù. È però con l'era moderna che il commercio diventa materia di studio scientifico. Gli stati nazionali si dotano di ministri e tecnocrati, sorgono le banche centrali, Londra diventa la prima piazza di scambio; i commerci, per effetto dell'espansione imperialista e della Rivoluzione industriale, conoscono un'impennata straordinaria, mentre a inizio Novecento il mondo si contrae sotto la spinta di traffici sempre più frenetici, e lentamente si avvicina il momento del collasso. Dall'antichità a oggi, nell'era dell'interdipendenza globale, in questo percorso ricco e avvincente, con una narrazione scientifica stesso tempo fluida e unica nel suo genere, Bernstein ci fa rivivere l'avventura millenaria del commercio mondiale, e attraverso un mosaico fatto di storie, oggetti, uomini, culture e naturalmente guerre“, ci fornisce allo stesso tempo gli strumenti per comprendere presente.
A vent'anni dalla caduta del Muro di Berlino, gli autori di "La sfida della complessità", in queste pagine agili e illuminanti, tornano a riflettere sul senso profondo della storia europea. È una storia di unità e diversità, ricca di intrecci etnici e linguistici, culturali e religiosi, di conflitti disastrosi e di progetti politici costruttivi. Come mostrano gli autori, l'Europa si presenta come un progetto e non come un territorio, si definisce come entità politica e non geografica. Nata dalle rovinose esperienze delle due guerre mondiali, dei totalitarismi e della contrapposizione fra blocchi, grazie alla consapevolezza della sua storia, remota e recente, l'Europa ha imparato a pensare insieme identità e diversità, unità e molteplicità, concependo ogni cultura come incompiuta, multipla e in continua evoluzione. In virtù di questo patrimonio, l'Europa può diventare un laboratorio di innovazione, capace di raccogliere le sfide che gli orizzonti etici e politici del "mondo globale" pongono alle persone, alle collettività e alle istituzioni.
E se la storia degli Stati Uniti l'avessero scritta gli indiani, gli schiavi, i minatori, gli operai, gli immigrati, le donne? È quanto si è chiesto Howard Zinn affrontando questo libro e ripercorrendo i cinque secoli di vita del Nuovo Mondo. L'arrivo di Colombo sul continente, visto attraverso gli occhi degli arawak, apre un emozionante racconto che rivela le condizioni dei nativi durante la conquista del West, le proteste contro gli obiettivi imperialistici della Guerra ispano-americana, le lotte per la fine della schiavitù, la nascita dei sindacati e i primi scioperi, le rivolte prodotte dalla vertiginosa crescita economica dell'Ottocento e dall'ascesa degli Stati Uniti al rango di superpotenza. Il viaggio prosegue nel Ventesimo secolo attraverso il suo carico di guerre e rivoluzioni, speranze e disinganni. Zinn descrive la resistenza popolare all'aggressiva politica estera del governo, le grandi battaglie per i diritti civili e l'emancipazione femminile, le conquiste e le delusioni del pacifismo, le vicen de dei movimenti di contestazione fino alle soglie cupe del presente, con la guerra al terrorismo e il conflitto in Iraq. Corredata da un pratico glossario e accompagnata da testimonianze dirette di schiavi fuggitivi, attivisti politici e reduci di guerra, l'appassionante ricostruzione di Zinn scava nelle multiformi contraddizioni della democrazia americana.
Fino a non molto tempo fa, che la stirpe merovingia si fosse estinta nel 755 d.C., che il Graal non fosse altro che un calice e che Gesù Cristo fosse solo il figlio di Dio erano ritenute certezze. Tuttavia, da almeno vent'anni, attraverso le loro opere più o meno romanzate, molti autori si sono sbizzarriti per indurre un numero sempre crescente di lettori a ripensare il corso della Storia, a ripartire dalle sue fondamenta. Ora, due autorevoli storici del Medioevo riprendono in considerazione i temi più inquietanti e controversi del dibattito, esaminandoli da un punto di vista puramente storico, attraverso documenti oggettivi e fonti antiche. "Figli del Sangue Reale" è una ricerca inedita che con rigore risponde ai quesiti più scomodi che la letteratura di consumo e altri mezzi di comunicazione di massa, come il cinema, hanno reso popolari. Carlos Cagigal e Alfredo Kos spiegano le origini e i diversi significati del Santo Graal, ripercorrendo le tracce dei mitici Merovingi, i leggendari re franchi dalla folta chioma, custodi di un segreto millenario. E mostrano, infine, gli obiettivi occulti che la leggenda, promossa da poteri secolari, ha per troppo tempo lasciato in ombra. Conclusioni originali e sorprendenti su un tema sempre attuale.
Perché, nonostante gli orrori del Novecento, molta gente sembra essere ancora attratta dall'ideologia fascista? Perché in Italia, in Francia, in Austria, in Russia e in altre nazioni del mondo continuano a sorgere partiti di estrema destra? Potranno mai diventare una forza maggioritaria in quei paesi? E quali sono le regioni a maggior rischio di una deriva politica fascista? La paura irrazionale degli immigrati, l'antisemitismo, la folle negazione dell'Olocausto, la nascita di un "fascismo clericale", l'intrecciarsi di un fondamentalismo islamico militante a governi dittatoriali: da Mussolini a Zhirinovski, la lucida analisi dello storico americano Walter Laqueur illustra le tappe di un fenomeno che non smette di riproporre le sue antiche ruggini, alimentando nuovi, inquietanti scenari.
La prima raccolta di diari tenuti da bambini e ragazzi di ogni parte d'Europa durante la Seconda guerra mondiale. Dai ghetti della Lituania, della Polonia, della Lettonia e dell'Ungheria ai campi di concentramento di Terezin, Stutthof e Janowska, dalle strade bombardate di Londra e Rotterdam alla prigione nazista di Copenaghen, queste pagine, sconosciute al grande pubblico e conservate in poche copie superstiti, raccontano cosa significhi per un adolescente vivere ogni giorno con la consapevolezza che può essere l'ultimo. Ma è proprio in situazioni tanto drammatiche che la scrittura testimonia un'irriducibile voglia di vivere. Guidate dalla spontaneità dell'età infantile, le penne di questi giovani narrano l'incubo del quotidiano con una schiettezza sorprendente. I toni sono spesso amari, ma non mancano note umoristiche, espressioni di fiducia e, soprattutto, di grande coraggio. Il diario diviene l'unico sostegno, il miglior amico a cui confessare paure e con cui sfogare la rabbia per affrontare il domani. E, allo stesso tempo, una forma di resistenza alla follia dei tempi. Un modo per dare ordine al caos, per contrastare l'oppressione, per sopravvivere nella memoria. Per salvaguardare la propria umanità, e quella degli altri.
Guerra e informazione. Un binomio conflittuale e difficile, perché l'informazione vera, secondo l'autore, non piace a chi fa le guerre. Il paradosso dell'era della comunicazione globale e delle notizie in tempo reale, del dominio dei grandi network televisivi, è che non si è mai stati così lontani dalla guerra, dalla reale linea del fronte: il reporter si trova in una trincea mediatica, assediato da restrizioni e imposizioni, da manipolazioni e propaganda, mentre è sempre più difficile trovare gli spazi per approfondire le notizie, ci si riduce alla cronaca, ai luoghi comuni e alle frasi fatte. Un giornalista italiano ripercorre in questo volume i principali conflitti dell'era della comunicazione globale e li analizza alla luce di queste considerazioni. Giovanni Porzio, che ha trascorso gli ultimi venticinque anni sui fronti più caldi di Medio Oriente, Africa, Asia e Balcani, è stato testimone di quello che racconta. Dai deserti africani alle montagne afghane, svela i meccanismi occulti della propaganda e della disinformazione, in una riflessione sul mestiere dell'inviato "sulla linea del fuoco" che è anche un'indagine sul ruolo dei media.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, un convoglio di sommergibili tedeschi salpa dalla Norvegia diretto in America latina, con il tacito consenso dell'ammiragliato britannico. Questa operazione segreta degenera in tragedia con un conto finale di cinque navi colate a picco e più di 400 morti. Nella sua rotta verso l'Argentina, uno dei sommergibili affonda una corvetta in acque nordamericane. Un'altra delle imbarcazioni fuggitive si scontra con l'incrociatore brasiliano "Bahia" e lo affonda causando 336 morti. Contro ogni evidenza, tutti e due i fatti sono dichiarati accidentali. Poi, in momenti diversi, gli U-Boot arrivarono sulle coste argentine, coperti dall'Armada argentina in complicità con gli ammiragli di Gran Bretagna e Stati Uniti. Attraverso un'indagine storica dettagliata, sulla base di documenti inediti che tanto Londra quanto Washington sottoposero a segreto di stato per 75 anni, Juan Salinas e Carlos De Napoli squarciano il velo sull'ultima operazione segreta del Terzo Reich, gettando luce sulle manovre di quegli U-Boot e sulla possibile presenza a bordo di gerarchi nazisti in fuga. Emergono così i motivi della clamorosa complicità della marina argentina, dell'ammiragliato britannico e di quello americano, che coprirono la missione tedesca falsificando gli interrogatori dei marinai arrestati e sigillando i documenti con il segreto militare.